Vincenzo Luciani

Poeta in lingua e in dialetto garganico

Vincenzo Luciani è nato nel 1946 ad Ischitella nel Gargano. E’ emigrato giovanissimo in Umbria, poi a Torino ed infine a Roma. Consigliere comunale a Torino dal ’70 al ’75. Vive a Roma dove dirige il giornale Abitare A.

Ha pubblicato Vocabolario Ischitellano (Cofine, 1994) e Ischitella, Gargano Italia (Cofine, 1995) un libro con guida storico-turistica, proverbi, detti, filastrocche, indovinelli e soprannomi del paese, I frutte cirve (1996) [I frutti acerbi] una breve raccolta di poesie in dialetto, ha curato il volumetto Poesie e canzoni Ischilellane. Sue poesie compaiono in Poesia dialettale del Gargano. Antologia Minima, a cura di Cosma Siani (Cofine, 1996) e sulla rivista Periferie.

Nel 1985 ha pubblicato Il Paese e Torino, raccolta poetica in lingua.
Nel 2001 la roccolta di poesie in dialetto garganico ischitellano Frutte cirve e ammature (Cofine, Roma).
La seconda raccolta di poesie in lingua è del 2005: Tor Tre Teste ed altre poesie (1968-2005), Edizioni Cofine, Roma. Il libro contiene anche la II edizione di Frutte cirve e ammature.

 

Le poesie di Vincenzo Luciani

Bambino e lontano

Erano giorni tristi

quando bambino e lontano

cercava un suo angolo buio,

chiudeva gli occhi

e vedeva sua madre.

Lentiggini e sorrisi

Ore per lei consumava allo specchio


a curvare capelli setolosi.


Geloso la spiava al capostrada,


sfrenata al gioco con le sue compagne,


contento se furtiva a lui rideva.


Mai ne fece parola,


neppure con gli amici,


e il cuore gonfio era di lei


partita all’improvviso per Milano.


Tutta lentiggini e sorrisi


Miliuccia era da bambina:


un’albicocca di Scarfagna.

Si va come alla guerra

Partirono inquieti

prima che fosse l’alba

come per una mala azione.

Il tempo appena

per rapidi saluti

e lacrime furtive;

e la corriera,

veloce giù pei neri campi,

li affidò al destino

e alla strepitante Garganica.

Li sorprese a Cagnano

il giorno, il lago, l’Isola ed il mare

e, stretto in cuore,

un pianto come di bambini.

Poi il treno si affannò tra le viti e gli ulivi.

Domani un altro giorno,

un’altra terra.

A Milano, a Torino

si va come alla guerra.

Raffaele ch’è stato alla Germania

Raffaele ch’è stato alla Germania

serrando i denti al gelo e alla fatica

per un pezzo di terra ed una casa,

con il fiele nell’anima invidia

l’operaio tornato da Torino:

con la seicento usata

mafiosamente gira per le strade.

(Fosse rimasto al paese

se la sarebbe sognata

la macchina).

Lui troppo presto tornò;

la nostalgia lo vinse del paese

così tanto lontano.

Affanculo la nebbia e la Germania!

E guarda torvo milanesi,

torinesi e germanesi:

si vergognano, adesso, del paese,

lo disprezzano e parlano impolito,

si vantano di case e di milioni.

E andarono lontano a mangiar nebbia,

le pezze al culo e le valigie di cartone.

Se di te mi ricordo!

Non è bastato sbattere le scarpe,

vestirsi a festa e partire lontano:

acre nelle narici è quella terra.

Se di te mi ricordo!

I nostri colli siepe aspra al mare,

fichidindia e torrenti disseccati,

gli ulivi e le macere.

Se di te mi ricordo! Ora che autunno

fa ritorno nei canti di vendemmia,

fichi pendono aperti.

Il muro

È l’alba. E il Sindaco è con me.

Inerpicati sopra

gli archi dell’Acquedotto Alessandrino,

guardiamo il sole in lotta con le nebbie

vagabondanti sui monti Lucrétili

su Guadagnolo e i monti Prenestini

e sopra i Castelli. “Meraviglioso”

dice il Sindaco. “Peccato

– rispondo – tra non molto un muro orrendo

opprimerà i nostri occhi e il cuore:

mai più le albe sorelle di questa,

e, la notte, le luci di Frascati,

di Rocca di Papa chi più vedrà?…”

 

Ma non c’è nessun Sindaco con me.

Forse a quest’ora apre la finestra

beata e incancellabile sui Fori

e sui Colli e le chiese di Roma.

Roma, 19 gennaio 2007