Gí e ní di Ombretta Ciurnelli

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

 

Movimento, fretta, periodicità; andare e venire del verso, ritmo ed accenti, compiuta brevità dell’immagine. Poetare e vivere, mestieri che si intrecciano, per una misteriosa investitura o scelta dettata da necessità: “quel gran dondolio nel vuoto” che è la Poesia, resta domanda per alcuni, risposta per altri. “ma che diranno mai dell’altalena/ abbandonata al soffiare del vento?”

Escher: “Relativy” (1953)

Come in un’architettura borrominiana, è un rincorrersi di pieno e vuoto, dove la visione-emozione è luce e suono che ne vengono catturati e poi sfuggono “continua il rumore del mare/ e quello dei sassi/ tutti lisciati / dal viavai delle onde”. Ma alcuni non comprendono: coloro che seguono la regolarità dell’abitudine, o l’efficienza del messaggio, perdono il suono dell’imponderabile e del Tutto. L’ordine stesso delle cose e della vita non ha nulla di statico, come annuncia l’immagine di Escher sul frontespizio della raccolta; neanche ha un verso univoco, semmai condiviso, individuale e relativo.

Così, il tempo “convenzionale” scandito dal “campanone”, regolare nei giorni pure diversi, contiene un “tempo” difficile da misurare, a volte impossibile da comprendere; in una partitura musicale, ci sono pause, strutturali e interpretative: queste ultime significative quanto e più delle note.

Tra note e pause, gí e ní, c’è il rischio d’una lacerazione, o semplicemente di straniamento: “straniero resterai / ai tuoi respiri” specie se “in queste stanze, qui, / non ci sono telai” quando l’ambiente è ostile o non aiuta. Le memorie – storie e mai cronache – ritorni o riletture “poi in un alternarsi di nebbie / e di azzurro / ti avvolgono ondate / di immagini / che tu non lo sai più / quando sono vere / o quando respirano / il vapore dei sogni /” non si sottraggono a questo andare e venire tramutato in un tempo fatto breve, e fasciano l’io quasi a proteggerlo; proprio come tentano di fare il sentimento, la passione.

Il vento, il tempo nel volgere del sole, il rancore, può darsi che si plachino, o che ad essi sfuggano il pensiero e l’affanno, facendosi sottili per non farsi riconoscere: dunque la via d’uscita è nell’aritmia del pensiero che fa capriole o nel limitare, contenere, l’affanno. Non è necessario che le pause siano scritte nella partitura e, se ci sono, vanno interpretate.

Si sta “in braccio al sole” a “lanciare parole in aria”, coscienti dell’imbrunire, quando i pipistrelli giocano con i pensieri più stanchi, o forse meno “alti”.

La silloge strutturalmente pone a sinistra la versione in lingua e a destra quella dialettale, a specchio, per sottolineare che non si tratta di traduzioni – alcune o molte espressioni dialettali non possono tradursi se non con un giro di parole – ma di un dialogo interiore ininterrotto, eppure scandito dal gì e nì, sistole e diastole, inspiro espiro, scrittura e lettura. La numerazione romana, anteposta significativamente alla versione dialettale, è la pausa che individua le misure e detta i tempi della lettura: che sia strutturale o interpretativa, poi, è volontà di chi legge.

che avrà voluto dire
l’altalena
quando nei passi
sicura non era

          (quel gran dondolio nel vuoto
          che avrà voluto dire)?

 III

ch’arà volsúto dí
la bilimbènza
quan che nti passe
sigura nunn’éva

(quil gran gí e ní ntól gòito
ch’arà volsúto dí)?

 

******

 e lei, scontrosa,
chissà le volte
che torna e che fugge
si riempie e si fa vuota
e ritorna e rifugge
raccontando con ostinazione il suo vaevieni
con le stelle affacciate a pendoloni
con cui cuce gran parte del suo dis-correre!

        – ora soltanto una piccola virgola
         leggera va a posarsi
         sulla punta che pende
        di quel cipresso grande
        tra un po’ lei, piena,
        si specchierà vanitosa nel Lago –

e il tuo girare
un po’ alla volta
solo a rimpicciolirsi
lentamente corre

VII

e lia, mutriona,
l’ sè tu le volte
che viene e che mucce
s’ariempe e s’argòita
e arviene e armucce
arcontanno ncón tigna ’l su gí e ní
ncó le stelle afacciate a pendolóne
che ce cuge bompò del su des-curre!

– adè sol che ’na virg(u)ola cinína
liggèra va a posasse
ntó la punta che pènne
de quil cipresso granne
tra ’n po’ lia, tónna,
s’armirerà pettég(u)ola ntól Laco –

e ’l tu gí e ní gni
po’ na mulichina
sol’a rincininísse
pianín pianino curre

 

***** 

che capisce l’orologio del vaevieni
di bambini ragazzi donne vecchi
che ogni ora meticoloso scandisce?

che capirà una lettera di quei suoni
che andranno ad abbellire la tua poesia?

XII

ch’acapisce l’arlòggio del gí e ní
de muje mujarèlle donne vecchie
che gni ora mitig(u)olóso arbatte?

ch’acapirà na lèttra de qui sone
ch’a mbellettà giròn tal tu descurre?

 

Ombretta Ciurnelli, Gí e ní, Ed. Cofine, Roma, 2020 

 

Ombretta Ciurnelli vive a Perugia, ma è nata a San Martino in Campo, un piccolo centro della valle del Tevere. Si è laureata in Lettere Moderne e ha insegnato per molti anni nei Licei. Nella scrittura, per raccontare e raccontarsi, utilizza il dialetto di Perugia, una lingua molto povera, legata alla concretezza del vivere. Ha pubblicato: Badarellasse ncle parole – Abbecedario di acrostici, 2007; L’Arcontastorie, 2008. Nel 2010 la raccolta Si curron le formiche (Guerra Edizioni, Perugia) e nel 2013 La città del vento. Poesie in lingua perugina (Edizioni Cofine, Roma), opera segnalata al premio nazionale di poesia “Sandro Penna”. Ha al suo attivo un testo teatrale in lingua italiana, Dai campi di granturco ai gelsomini (Fabbri, Perugia 2012), ed è tra i curatori dell’antologia oliveTolive. Poesia dell’Olio e dell’olivo da Omero a oggi (Effe Fabrizio Fabbri Editore, Perugia 2011). Nel 2015 ha curato l’antologia Dialetto Lingua della Poesia (Roma, Cofine), in cui sono raccolte poesie ‘metalinguistiche’ di cento poeti, da Carlo Porta ai giorni nostri, con l’intento di cogliere il valore e il significato del dialetto nella vita e nella scrittura poetica. Nel 2019 ha pubblicato il saggio Lingue allo specchio. L’autotraduzione nella poesia dialettale (Perugia, Ali&no Editore).
Vincitrice di premi letterari e inserita in numerose antologie, si occupa da tempo di letteratura dialettale con personali contributi critici apparsi in diverse riviste.

Maurizio Rossi

Pubblicato il 16 aprile 2020