Ombretta Ciurnelli, gí e ní

Recensione e scelta di testi di Anna Maria Curci

 

Nei testi di Ombretta Ciurnelli «nell’aspro dialetto perugino», come l’autrice stessa definisce l’idioma dimora della sua poesia dialettale, domina l’immagine del gí e del ní, andare e tornare. Quell’andirivieni allegoria dell’esistere e del fare e del disfare – o vedere disfarsi e disgregarsi – è altalena in due movimenti, slancio pungente e ritrarsi sognante, che si nutrono vicendevolmente e non possono essere separati l’uno dall’altro.
È un moto perpetuo che prospetta con immagine viva il perenne avvicendarsi, nell’opera instancabile di mediazione, quale essa sia e qui, principalmente, plurilinguistica e poetica, di resa – restituire e arrendersi, tuttavia, all’urto, al cozzo e al residuo dell’ineffabile – e azzardo, ponte sospeso su un abisso, coscienza dell’orrido che si spalanca, del vuoto in agguato. (Anna Maria Curci, dal risvolto di copertina)

Ho avuto il privilegio di leggere in anteprima, oltre un anno fa, le poesie che hanno costituito il nucleo iniziale della raccolta gí e  di Ombretta Ciurnelli. Con la gioia di chi vede profilarsi la forma e il suono del bello ho poi potuto leggere l’intera raccolta, pubblicata nel mese di marzo di questa strana e dolente primavera 2020 dalla casa editrice Cofine. Un altro privilegio si è così aggiunto a quello menzionato poc’anzi: la raccolta è andata in stampa con alcune mie annotazioni nella prima bandella.
Nel ripercorrere oggi le pagine di gí e ní, vorrei partire, seguendo la traccia dal testo in epigrafe, dall’origine dell’espressione che il titolo della raccolta riporta dal dialetto perugino e che significa viavai, andirivieni. Il testo in epigrafe è un passaggio da un libro dell’Antico Testamento, il libro del Qohélet (Qoèlet), conosciuto nella versione italiana anche come Ecclesiaste, nella versione tedesca come Der Prediger Salomo (Il predicatore Salomone). Il passaggio riportato da Ombretta Ciurnelli in epigrafe è nella versione di Guido Ceronetti, il quale rende il famoso brano iniziale («Passa una generazione e ne viene un’altra;/ ma il mondo resta sempre lo stesso» nella Bibbia in lingua corrente, «Una generazione va, una generazione viene/ ma la terra resta sempre la stessa» nella Bibbia di Gerusalemme) ricorrendo a un sostantivo che assume un valore centrale nella raccolta gí e ní: “vaevieni”. Ecco dunque la versione di Ceronetti: «Un vaevieni di generazioni/ e la terra che sta nel tempo».
Non è arbitrario, allora – tanto più che siamo autorizzati dalla stessa Ombretta Ciurnelli che vi fa cenno nella sua nota iniziale – attribuire a quel “vaevieni”, al gí e ní, la funzione di cardine di una visione del mondo, «allegoria dell’esistere» (Ciurnelli) nell’affanno del correre e del tornare, del fare e del disfare.
Ne sono investite tutte le categorie dell’esistente, che si imbattono, scontrandosi, nel mistero, continuamente interrogante (e si potrebbe dunque dire, fin dal Libro del Qoèlet, fin dalla notte dei tempi), dell’altalena che accompagna le generazioni, dall’infanzia e per tutto il tempo del trascorrere. Ecco che il terzo dei ventiquattro testi (in dialetto e con la versione italiana a fronte), tutti contrassegnati con numeri romani, coglie e restituisce a chi legge l’immagine dell’enigmatico dondolio nel vuoto: «ch’arà volsúto dí/ la bilimbènza/ quan che nti passe/ sigura nunn’éva// (quil gran gí e ní ntól gòito/ ch’arà volsúto dí?)».
In questa altalena dei giorni, dei desideri e degli affanni, il vento, altra costante presenza nella poesia di Ombretta Ciurnelli, presenza peraltro ribadita dal brano biblico in epigrafe, passa soffia, spazza, scombina capelli e certezze, mette in fuga e pone nello stato permanente di precarietà: «sarà che ‘l vento/ ntól su gí e ní/ spaja dentorno/ i triqle dela vita» (sarà che il vento/ nel suo girare/ disperde intorno/ le briciole della vita), scrive Ciurnelli nel testo V.
L’interrogazione, sostanza viva della poesia, si fa cura (assillo e sollecitudine) metapoetica nella poesia XII, guanto di sfida e gancio prodigioso, perché rinnova lo stupore, a chi legge e a chi scrive, apostrofato, dal Didimo dell’io poetico, dal suo doppio incredulo, con il tu: «ch’acapirà na lèttra de qui sòne/ ch’a mbellettà giròn tal tu descurre?» (che capirà una lettera di quei suoni/ che andranno ad abbellire la tua poesia?).

Anna Maria Curci

 

III

ch’arà volsúto dí
la bilimbènza
quan che nti passe
sigura nunn’éva

(quil gran gí e ní ntól gòito
ch’arà volsúto dí)?

 

che avrà voluto dire
l’altalena
quando nei passi
sicura non era

(quel gran dondolío nel vuoto
che avrà voluto dire)?

 

V

qui albre
che liggère lígion l’aqqua
’l currì lento del fiume acompagnanno
giorne e notte stòn sempre a chiacchiarà

sarà che ’l vento
ntól su gí e ní
spaja dentorno
i triqle dela vita

ma che dirònno mè dla bilimbènza
che la mujína ha lassà ggí tal vento?

 

quegli alberi
che leggeri accarezzano l’acqua
accompagnando lo scorrere lento del fiume
giorno e notte stan sempre a chiacchierare

sarà che il vento
nel suo girare
disperde intorno
le briciole della vita

ma che diranno mai dell’altalena
che la bambina ha abbandonato al vento?

 

VI

diem nox premit, dies noctem, aestas in autumnum desinit,
autumno hiemps instat, quae vere compescitur;
omnia sic transeunt ut revertantur
Seneca

e curre la notte addietro tal giorno
e curre la luce addietro tal bujo
l’istate ntó l’autunno va a murí
che lo nguèrno pu tristo l’arincurre
per gisse a sciòje ntol chiarore granne
del tempo ch’arinfióra, quan dentorno
gni cosa è offrór tamanto de turchino

ma pu l’istate arviene e abrúgia ’l monno
e arviene ’l tempo che ta j’albre gnuda
e che ntól gel pianín pianín armucce…

gni cosa cussì passa sol p’arní
ntra bujo e luce ntra galaverna e sole
ntra sciucco e mòllo, ntra ’l ventisótta
che fitto mpólvra financo i pensiere
e quil de nsú che ’n’aria nòva arlustra

tutto ’n gí e ní dua senz’aristillí
gni cosa arviene e armucce
arviene armucce…

 

e corre la notte dietro al giorno
e corre la luce dietro al buio
l’estate nell’autunno va a morire
che poi l’inverno implacabile incalza
per sciogliersi nella gran luce
del tempo che torna a fiorire, quando intorno
ogni cosa è profumo immenso d’azzurro

e poi torna di nuovo l’estate e brucia il mondo
e ritorna la stagione che spoglia gli alberi
e che nel gelo pian piano rifugge…

ogni cosa così passa solo per tornare
tra buio e luce tra gelo e sole
tra secco e pioggia, tra il vento del Sud
che impolvera fitto perfino i pensieri
e quello del Nord che un’aria nuova fa brillare

tutto un vaevieni dove senza tregua
ogni cosa ritorna e rifugge
ritorna rifugge…

 

XII

ch’acapisce l’arlóggio del gí e ní
de muje mujarèlle donne vecchie
che gni ora mitig(u)olóso arbatte?

ch’acapirà na lèttra de qui sòne
ch’a mbellettà giròn tal tu descurre?

 

che capisce l’orologio del vaevieni
di bambini ragazzi donne vecchi
che ogni ora meticoloso scandisce?

che capirà una lettera di quei suoni
che andranno ad abbellire la tua poesia?

 

XXIV

stracca momò
sta vòja smulicata
de seg(u)età la cursa ntlo stradéllo
e ’l gran gí e ní de scese e de sajite

già i pipistrèje
vònno a sfantazzasse
nclé lale ciufijate di pensiere

 
stanco ormai
questo desiderio sbriciolato
di continuare la corsa nel viottolo
e il gran viavai di discese e di salite

già i pipistrelli
vanno a divertirsi
con le ali gualcite dei pensieri

 


Ombretta Ciurnelli vive da sempre a Perugia, dove per molti anni ha insegnato Materie Letterarie e Latino nei Licei. Nei suoi versi racconta e si racconta con i suoni aspri e terragni del dialetto di Perugia, utilizzando il registro arcaico del contado. Dopo la prima raccolta, Badarellasse ncle parole, abbecedario di acrostici (Guerra Edizioni, Perugia 2007), nel 2009 ha pubblicato L’arcontastorie (Guerra Edizioni, Perugia), in cui in versi novenari narra drammatiche vicende di donne sullo sfondo di un’arcaica società contadina. Nel 2010 la raccolta Si curron le formiche (Guerra Edizioni, Perugia) e nel 2013 La città del vento. Poesie in lingua perugina (Edizioni Cofine, Roma), opera segnalata al premio nazionale di poesia “Sandro Penna”. Ha al suo attivo un testo teatrale in lingua italiana, Dai campi di granturco ai gelsomini (Fabbri, Perugia 2012), ed è tra i curatori dell’antologia oliveTolive. Poesia dell’Olio e dell’olivo da Omero a oggi (Effe Fabrizio Fabbri Editore, Perugia 2011). Nel 2015 ha curato l’antologia Dialetto Lingua della Poesia (Roma, Cofine), in cui sono raccolte poesie ‘metalinguistiche’ di cento poeti, da Carlo Porta ai giorni nostri, con l’intento di cogliere il valore e il significato del dialetto nella vita e nella scrittura poetica. Nel 2019 ha pubblicato il saggio Lingue allo specchio. L’autotraduzione nella poesia dialettale (Perugia, Ali&no Editore).
Vincitrice di premi letterari e inserita in numerose antologie, si occupa da tempo di letteratura dialettale con personali contributi critici apparsi in diverse riviste.

Pubblicato 20-21 aprile 2020