Pagine sul filo sottile del tempo di Lilia Slomp Ferrari 

Recensione di Maurizio Rossi

Lilia Slomp Ferrari è nata e vive a Trento. È vicepresidente del “Cenacolo Trentino di Cultura dialettale”, diretto da E. Fox. Ha conseguito numerosi premi per la sua poesia dialettale e in lingua. È stata pubblicata su varie riviste.

Ha pubblicato: “En zerca de aquiloni” (1987), Schiramèle (1990), Nonostante tutto (1991), Controcanto (1993), Amor porèt (1995), Leggenda (1998), Striarìa (2002), All’ombra delle nove lune (2005), Come goccia di vetrata (2008), Ombrìe (2012). È presente anche nell’antologia “Dialect Poetry of Nothern and Central Italy”, Legas. Ed, N. Y. 2001.

“Tu, però, hai scritto queste pagine non perché gli anziani lacrimassero di tristezza…È stata la tua, un’operazione, al tempo stesso affettuosa e pedagogica, ispirata al desiderio che i giovani all’alba del terzo millennio si riapproprino non solo di quel che i loro genitori e i loro nonni hanno vissuto da piccoli, ma soprattutto degli strumenti più importanti che possono dare un senso alla loro vita oggi: l’attenzione, l’osservazione, la condivisione, l’amicizia.”

Ho voluto riportare questa frase della bella presentazione di Mauro Neri, perché coglie, dello scritto, dell’Autrice, il respiro del ricordo e del racconto: l’aspetto affettuoso e pedagogico che già nelle favole, e ancor più nei racconti di vita, genera altri ricordi e racconti, in un filo sottile del tempo per annodare– senza spezzarsi –  cromosomi e neuroni, e che diciamo vita.

Lilia è poeta e ho avuto modo di apprezzarla e di recensirla come tale: forse la sua poesia fa arricciare il naso a chi cerca solo nuovi linguaggi ed ermetici orizzonti; ma la Poesia non è anche suono ed emozione, sguardo sulla realtà che crea altre e sconosciute immagini reali? Per questo il suo scritto diviene prosa poetica, impreziosita da frasi e termini dialettali, che non solo àncorano agli anni e ai luoghi, ma introducono suoni e fonemi necessari alla comprensione del racconto, ripresentando e rappresentando persone care a dialogare con l’Autrice.

E tutto giocando sul filo della metafora che gli era congeniale, pur non essendo poeta e non avendo studiato. I simboli poi se li faceva ballare tra le dita, come i ragazzini le palline di vetro colorato per fare busa” (L’attesa); “A un certo punto mi guardava con quel suo strabismo di Venere negli occhi. E non mi coccolava tra le braccia, ma solo di parole: Te prego matelòta, stà su drita come pòl star su drita na regina, no sta embriagàrte de ilusion, lassa perder tute le passion che te pòl dar la luna al firmament. I pèi tègnei encoladi en tèra, perché l’è da la tèra che vegnìn…(Fiori di zucca).  Due esempi di quanto detto, due frammenti evocativi di immagini che coinvolgono nella lettura,  convincendo il lettore a ricercare ancora altre magie, altri piccoli incanti tra le parole, nella lingua trentina, meno difficile a comprendersi di quanto possa sembrare.

In “Sentore di neve” la ricetta dello zèlten, tipico dolce natalizio del Trentino-Alto Adige, viene mescolata abilmente con immagini, suoni e profumi, per comporre un dolce ancor più prezioso: di “musica di parole, di sospiri a cantilena, di passi stanchi…” impastato “con mani grandi, quasi come i sogni d’allora” …Sicché si rinnova l’alchimia che trasforma il ricordo in un sogno realizzato.

Ancora, in “Fiori di zucca” la cucina, con le ricette che la nonna inventava in un quaderno dove annotava pensieri, la preparazione “dei fiori immersi nelle uova vagabonde di preghiera” si mescolava al racconto di una vita travasata nel presente “Son stada profuga en Moravia con tacadi al grombial na pìca de fiòi…E quel to nòno da la testa mata che gò ìl sospèt la soméia en po’ a la tòa…”

Se l’infanzia occupa così gran parte di queste”Pagine” è perché dalle sue radici ha preso nutrimento e vigore la bella pianta: dalle favole raccontate nel cortile dei Casoni, dove le lissiare “hanno profumato di sapone l’infanzia… e la flotta bianca di bucato ha veleggiato sicura in quegli spiazzi…”; nei giorni in cui si potevano acquistare dieci lire di conserva e venti lire di tonno, ma si trovava il sior Peterlongo, droghiere, pronto a “rubare a sé stesso” tre lire sul peso; fra ombrelli degli gnomi e angeli custodi, con le coccole-rimprovero della nonna mentre legava i riccioli ribelli in più composte trecce, perché “i ricci sono solo degli angeli”; sulle radure delle giàsene (mirtilli)- che non sono bastate a regalare al papà “la riva della salvezza”. Quel papà così importante per Lilia.

Sulla scia di rose canine, nei cui petali rugiadosi si annidavano le lacrime della luna e nei graffi sui rovi, la poesia: Sponzon de rosa/ a prima matina/ rosada su la sposa/ futura che la bina./ (Puntura di rosa/ aprima mattina/ rugiada sulla sposa/ futura che la raccoglie./)

Ma più feconde ancora le radici de “l’astuccio rosso…di vera pelle, di ventiquattro colori Giotto, penna stilografica Aurora compresa” ; dalla sua magia racchiusa, ha preso il via il “mestiere di vivere scrivendo” che non finisce, perché quell’astuccio prezioso e costoso al di sopra delle possibilità era rosso, “come il fuoco che ha saputo tener vivi i ricordi, come emozione, sentimento profondo…come amore, insegnato in un giorno lontano, condiviso tra padre e figlia e solo tra loro, rivelato con un semplice gesto: “senza batter ciglio…intascando il resto con eleganza.”

Dunque, “Pagine sul filo sottile del tempo” si può dire un mozartiano “racconto di racconti” concertato con leggerezza e suggestive melodie, non privo di discese nel profondo e spazi di malinconia; da leggere, magari, con l’accompagnamento di uno degli ultimi concerti per pianoforte e orchestra lasciatici dal Maestro salisburghese.

 

Lilia Slomp Ferrari, Pagine sul filo sottile del tempo, Arca Ed. Trento, 2017

 

 

Maurizio Rossi

 

 

9 Febbraio 2019