L. di Francesca Del Moro

Recensione di Anna Maria Curci

 

Con il lapis* #41: Francesca Del Moro, L. Postfazione di Nerio Vespertin, Gattomerlino Edizioni 2024

Resto ferma sulla soglia

non forzo più il corpo

a sporgersi, il respiro

calma la vertigine,

mantiene l’equilibrio.

Ora abito la soglia

imparo la lingua

dei vivi e dei morti

l’esatta traduzione.

Non mi tremano più 

le gambe e la voce

fisso un punto all’orizzonte

tengo la posizione.

(p. 48)

Di sé dice «Ora abito la soglia» l’io poetico di L di Francesca Del Moro. Se è vero che la posizione di chi scrive poesia è prevalentemente sul liminare   L come liminare: “dialoghi sulla soglia” di Francesca Del Moro è il titolo della Postfazione di Nerio Vespertin -, sul limite, sul confine tra due mondi che comunicano a malapena, per i quali la creazione poetica si colloca e agisce da mediatrice e interprete, tutto questo diventa il passo decisivo e peculiare nel percorso compiuto dalla voce dell’autrice a due anni di distanza dalla pubblicazione di Ex madre.

È l’avverbio di tempo «ora» a gettare luce sull’itinerario, sul cambiamento, ovvero, per essere più precisi, su un apprendimento che procede: «imparo la lingua/ dei vivi e dei morti/ l’esatta traduzione». 

La L è l’iniziale di Lorenzo – la terzina iniziale, a mo’ di haiku, «Sera d’agosto/ ogni stella che cade/ porta il suo nome», lo ricorda – e l’intero volume con i suoi centotrenta componimenti porta l’iniziale del nome del figlio, disseminata, seminascosta oppure esplicitata, espressa chiaramente, a partire dalla catenina messa al collo e accarezzata mille volte al giorno, «segno di pace» (p. 16), passando dalle persone che appaiono e sono designate con i pronomi personali «lei» , «lui» e «loro», dalla poesia in inglese di p. 55 che inizia con un tautogramma in elle («Luck, Light, Lullaby.// Love, Life.// Limitless Love»), fino al testo di p. 141 che mette insieme il mese della morte del figlio, luglio, il lutto, Lorenzo, la luce: «L come luglio, come lutto.// Come Lorenzo, come luce».

L è anche l’iniziale della parola «lingua», quella che l’io poetico apprende per mediare, interpretare, raggiungere «l’esatta traduzione» e quella che condivide con gli altri componenti del gruppo dei sopravvissuti al suicidio di una persona cara, la «lingua dell’indicibile»: «Mi pungono gli occhi/ i loro cinque visi/ anche loro conoscono/ la lingua dell’indicibile./ C’è chi ci crede forti/ chi ci tiene a distanza/ chi ci chiede di far finta/ che vada tutto bene» (p. 61). 

La elle torna nelle parole legate alla tragedia della perdita, ripercorsa con la precisione di una lama affilata. Sono le parole, tra le altre, “indicibile”, “male”, “dolore”, “gelido”, “gelo”: «Lo abbiamo preso tutto/ il male che ci toccava» (p. 47), «Le depongo un dolore nel cavo delle mani» (p. 60), «Gelido, gelido natale» (p. 73), «Ricordo il vuoto/ il gelo dentro il corpo» (p. 117). 

La lettera “L” ricorre nei dodici sogni, numerati con gli ordinali e distribuiti all’interno del volume: «lontano», «lascio», «collana», «gola». La dimensione onirica è il luogo nel quale il terrore, il dolore, la speranza, il desiderio si incontrano con immagini che emergono con una forza espressiva notevole: «Un buio di scale, una porta./ Tiro il bambino a me/ ma lui vuole entrare/ nella casa del padre.// Mi sveglio e la collana/ si attacca alla gola/ mi strozza.» (p. 134).

La lingua condivisa nel gruppo, allorché esso si riunisce due volte al mese, per sbendare una ferita aperta, che «duole e sanguina/ e impercettibilmente/ si rimargina» (p. 135), è una lingua che riesce a oltrepassare la soglia, «lago verticale» (p. 72), per raggiungere chi è «sempre al di là». È una lingua che sa unire gli opposti: «Viviamo/ eppure siamo morti/ nel loro stesso giorno», che indica la strada per «imparare/ a stare al mondo/ come angeli» (p. 138); è una lingua che ha attraversato il terrore e che è stata resa più ampia e precisa non solo dalla vista e dall’ascolto reciproci, ma anche da una scelta d’amore e di riconciliazione: «Nonostante/ la bocca ferita, la lingua/ impastata di dolore/ imparare/ un linguaggio nuovo/ come dire/ l’amore buono/ tutte le parole/ del bene» (p. 132). Ecco che la lingua-idioma prova a superare le pastoie di una lingua-parte del corpo e apprende, piano (nel duplice significato dell’avverbio in italiano, dunque sommessamente e lentamente), a scorgere, a udire, ad articolare il bello e il buono, a pronunciare con chiarezza – sempre e non solo nelle poesie, qui presenti e provenienti dal canzoniere d’amore Questo posto buono (edizionifolli 2023) – ogni lemma del bene. 

Anna Maria Curci

*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.