padre di case ancorate a calcare (bamboli nudi ributtano
il giuoco che rotola le noci negli angiporti azzurri
di cui le ombre so dei fichi ai pozzi e lo specchiarmi
nell’acqua del bacile) mai tornerò Già sale con lenti modi
la nebbia dalla via come talvolta fa vento libeccio che gonfia
polvere avanti la tempesta in quella terra chiara che il padre mio
esiliò per pane con nuvole di avviliti uccelli cui infebbra
l’iride il mais i legumi la frutta di stagione fazione che
in vento di fronda malasorte infine tramuta nazione senza
nome dove il polipo brucia di biancori al piede di frangenti
arrivati da fanciulli stillanti umido sale
cauterio da tempi oscuri aperto sapore di ghiarete giro
breve di gabbiani a filo delle spume nella cale e in
quotidiano traffico gente agli approdi Ivi risuona al batter dei remi
il grido dei rapaci che cadono dal cielo ivi mi ammalia ed è usuale
filtro accimato da tortile limone in calcinoso portico Anche oggi forse
è tolta a onta di intelletto che annera i vecchi profuga mandria dalla
mia terra Fanciulli antichi (contrabbandieri fumi su pioppete transeunti
tralicci d’olmi e viti canapa acqua e sole) formiche per
tronchi lacrimosi salgono ai fichi Ah mio grido di dolore senza
inizio e senza fine ti ripeto a scandaglio di cielo simigliante
MERIDIONE mentre si invola astuta
a rifugi disposti in due contrade
la gazza che non si cattura
(da L’ampiezza a dimora)