Aqquantu (All’improvviso) di Aurora Fratini

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

All’improvviso, ci colpisce un ricordo, un’immagine, un qualche moto dell’anima, che preme e vuole emergere; spesso viene alla luce con facilità, più spesso ancora va fatto uscire piano piano, per conservarne la densità e il colore.

La costruzione d’una poesia, a partire dalla “necessità” che è all’origine, dovrebbe dosare il linguaggio e la forma, così da non soffocare le immagini e il messaggio: sta qui la difficoltà, che porta ad un lavoro faticoso e a volte dolente, ma il cui risultato si vede e si sente.

Così è per Aurora Fratini, nella scrittura della quale si aggiunge l’impegno e la difficoltà del dialetto, ricostruito e usato con pazienza e umile perfezione. C’è un elemento in più, che impreziosisce la raccolta: l’accostamento di immagini “alte” frutto di letture e frequentazioni teatrali e letterarie, con immagini campestri, quotidiane e anche insolite per chi non si immerge nella vita dei borghi e non conosce tanti usi o suppellettili. Questa capacità di passare da un piano all’altro, anche nello spazio di un verso, arricchisce la Poesia di Aurora, dandole “verità”  e concretezza, senza sminuirne il lirismo. Viene da pensare alle architetture sinfoniche di Beethoven, Brahms, Dvorak, nelle quali gli autori “incastonano” arie e canzoni popolari, campagnole, nobilitando quella che alcuni definiscono “la liturgia del quotidiano”!

Per scovare dove sta Dio / devi attraversare l’oscurità / e non devi perderti. / nell’anfratto delle serpi. (Pe’ ’ndivinagliu, Dio, / a da passa’ gliu scuro / e nda’ ta sperde / pegliu serpendaru.)

e ancora:

A questa / notte di miracolo / devi estrarre il cuore, / riempi la luna nuova / del tuo seme / e la canestra vuota di giuncata. (A ssa notte ’egliu miraculu / a da’recaccia’’i core, / arerembi a juna nova / ella livina tea / e a canestra vota de giuncata).

Ma è ancora più evidente nella “Casa del Poeta”: tenea parole appiccate / alle trave come zazzicchie / ’e porcu da sicca’ / ’a cammora colema / ’e penzeri ’ngiafrugliati… (teneva parole appese / alle travi, come salsicce / di maiale da essiccare / la camera colma / di pensieri disordinati).

Il finale, poi, è sorprendente:

L’hanno trovato con quella penna / in mano a metter fine / all’ultimo poema. / Sta bene a pulire e buttar via / chi comprerà la casa.

Il dramma della morte, che interrompe la scrittura e taglia ogni cosa, si travasa in un pensiero, una saggia preoccupazione di tipo pratico, apparentemente irriverente, ma che riconduce alla normalità della vita e alle occupazioni quotidiane.

Per Aurora gli affetti vengono dal passato e rivivono, accompagnati dai suoni, dalle voci, dagli odori Il battere cadenzato / della sediola / un canto antico / come di usignolo / odore di umido / profumo di pampini / bocca di papavero (“Matre”): in questa poesia il racconto è fatto- come non riconoscerlo?- con voce di donna; del resto potrebbe un uomo, un padre, chiamare cimice (cemece) la propria creatura, senza offenderla?

Anche rincorrendo le memorie, trattate con rispetto, è difficile ritrovare la strada, la propria direzione, perché a tratti ci si smarrisce, tra l’azzurro traditore del cielo (‘nzuru ‘sdrailita) e l’ostinato silenzio (selenzio tignusu) di Dio; ci si chiede perché il mondo, pure tanto grande, finisca nell’intrico della vegetazione, tra i rovi: ma è proprio qui che occorre ritrovarsi, nell’ombra, nel buio della notte. Da notare anche l’originale scelta dei termini israelita (‘sdrailita), per indicare qualcuno di cui non fidarsi, proprio come nella storia sono stati vissuti gli Ebrei; e tignoso (tignusu), per esprimere il continuo silenzio, con la ostinazione esasperata e ripetuta, che è l’atto del grattarsi del tignoso!

Ricercando sé stessi, accade di scoprire assonanze inattese, non solo nella scrittura, ma anche nell’arte figurativa, senza però rinunciare alle proprie radici e alla propria storia…

“Dolce e chiara è la notte e senza vento” (“La sera al dì di festa”, Leopardi), Dolce è questa notte e senza vento / risplendente d’oro / immacolata / si scioglie nelle sorgenti / insieme a stelle di crusca / setacciate nel cielo (“A notte de Vancogghe”). L’Arte vive di queste assonanze, che raccontano la sua universalità e “atemporalità”: non appartiene né allo spazio né al tempo, anche se di questi è espressione.

Dunque un altro prezioso “aperilibro” questo della Fratini, con tutto il suo mondo poetico ed esistenziale, contenuto in una trentina di pagine; che, se fosse messo sulla bilancia dal dio Horus, come la piuma delle sepolture egizie, avrebbe la stessa leggerissima ricchezza del cuore dell’Autrice.

Qualche annotazione: l’aperilibro, si compone di 26 poesie, precedute da una nota autografa, che spiega l’intento poetico e l’uso del dialetto sambuciano, cioè di Sambuci, un comune di circa 900 abitanti della provincia di Roma, ai margini della Valle dell’Aniene, affine al romano, all’abruzzese, al campano. In chiusura la biografia, ricca, impreziosita dai riconoscimenti avuti dalla poetessa.

A cas’egliu poveta

Mbe’ penza:
tenea parole appiccate
alle trave come zazzicchie
’e porcu da sicca’
’a cammora colema
’e penzeri ’ngiafrugliati
e acciaugliate’mbizzu allo scrittoro
sillabe sciuricate, rime ’ndunate
e alla fenestra
signi arengriccati e soni
comme tande matte de jnestra.
Pettèra pundi e riche arezzelate
e paggine vuscichennose
aroto ’ndorno
e chenne sa’, guai a tuccagli!
parea comme ammanna’
ficora bone.
Che ciavea da fa’ co’sse parole…
ch’essinu tutte sciorne
curiuse…furastiere…
Comme issu.
Po’ ce piglia’na singupe
e jsse morse mmocca i verbu
che cerchea pe’gl’urdimu ricu.
Gliannu truva’ co vigliu stilu
mmani a mitte fine
agl’urdimo poema.
Sta be’ a puli’ e a ietta
chi sella da pigliane.

LA CASA DEL POETA – Ma pensa: / teneva parole appese / alle travi, come salsicce / di maiale da essiccare / la camera colma / di pensieri disordinati / e ammucchiati al bordo dello scrittoio / sillabe sdrucciolate rime intonate / e alla finestra / segni ammonticchiati e suoni / come tanti fasci di ginestra. / A terra punti e righe ben composte / e pagine scritte frettolosamente / tutt’intorno / e che ne sai, guai a toccare! / sembrava come guastare con le mani / i fichi maturi. / Cosa mai avrà dovuto farci con queste parole… / che erano tutte un po’ matte / strane, sconosciute… / Come lui. / Poi gli prese un colpo improvviso / e gli morì in bocca il verbo/ che cercava per l’ultimo verso. / L’hanno trovato con quella penna / in mano a metter fine / all’ultimo poema. / Sta bene a pulire e buttar via / chi comprerà la casa.

Aqquantu

Aqquantu
tell’aretrovi nvaccia
all’andrasatta,
Tess’accandoscia
te piglia pe’ raccittu
comme farià ’a cummare
rescita comme gnende
alla mimoria.
De bottu
commanda de ’ntriciasse
pe’ ssa via.
Arigna ucchi allappati
arocia labbore araciate,
te porta scauzzoni
a ’nzarteregliu tundu
te da’ vinu spundatu.
Po’ doppo ’ssi zovegli
mitte supre a stadera
’ssa cuscienza
e pesa a melarana abbugliurita.
Aqquantu
caccia i suricchiu
mète ’a zica c’aremane
stoccia i filo lendu
chette donnolea
te carea alla roppa
e precellosa
i cancellittu te fa scavallà.

ALL’IMPROVVISO – Te la trovi di fronte / all’improvviso, / inaspettata-mente. / Ti si accosta, / ti prende sottobraccio / come farebbe un’amica di sempre / spuntata come niente / dal ricordo. /Inaspettatamente / decide di intrecciarsi al tuo cammino. / Digrigna uno sguardo acre / acciglia labbra riarse / e ti conduce / a ballare a piedi nudi / un salterello matto / offrendoti vino acetato. / Poi dopo la baldoria / pone sulla bilancia / la coscienza / e pesa la melagrana marcita. / All’improvviso / estrae la falce / miete il poco che resta / stacca l’esile filo / che ti dondolava / ti carica sul dorso / e frettolosa / ti fa scavalcare il cancello.

Matre

’O batte batte batte
ella sedòla
’ngantu ’ndicu
comme de rosignolu,
addore ’e guazza
cologna ’e pampora
vocca de papambora
ucchi de celo
capigli pe ruzza’
na bella pezza.
E i’ sonno pe’ sonna’.
I grembu teo ’e zinne
’e mele latte e rose.
All’andrasatta tu
c’annazzechi a criatura
’ndramente t’addimammi
comm’a fattu
si propo tu si’ stata
a fa’ ssa cosa vera
che te fa ride ’nzemmora
e fa piagne.
E batte batte batte la sedola,
mo’, che si’ femmona fatta
che si’ Matre si’ Ddio.
E batte batte batte la sedola.
Ssa cemece
c’angora ’nde gognosce
’nge sende
de vulesse appenneca’.

MADRE – Il battere cadenzato / della sediola / un canto antico / come di usignolo / odore di umido / profumo di pampini / bocca di papavero / occhi di cielo / capelli per giocare / a lungo. / E il sonno per sognare. / Il grembo tuo le mammelle / di miele latte e rose. / All’improvviso tu / che dondoli la creatura / mentre ti chiedi / come hai fatto / se proprio tu sei stata / a far questa cosa vera / che ti fa ridere e piangere / al contempo. / E batte batte batte la sediola, / adesso, che ti sei fatta donna / che sei Madre sei Dio. / E batte batte batte la sediola. / Questa cimice / che ancora non ti conosce / non intende / di volersi addormentare.

A via nn’esiste

Me ve’ addimmanna’
‘ndovella via.
‘A via nn’esiste.
Essa è a pudende manu
egliu vendu
‘ntramezz’i ranu.
I munnu
cuscì ranne comm’è
eccu se more,
ndo’ a mulattiera s’abbusca
agl’abbuschittu
mmezz’alle muriche nere
mmezz’a porvere de quagliu
arengonocchiata alle cove
acciafroccat’egli cavagli
a po’ se scrìa.
I’ celu scrianzatu luce
de ‘nzuru ‘sdrailita
Tera acqua foglie
sdirinate, facce carpìte
cesse perdinu
so’ gnuttiti all’orma d’ommra
‘egliu selenzio tignusu de Dio.
Pe’ ‘ndivinagliu, Dio,
a da passa’ gliu scuro
e nda’ ta sperde
pegliu serpendaru.

LA VIA NON ESISTE – Vieni a chiedere a me / dov’è la via. / La via non esiste. / È la potente mano / del vento / attraverso il grano. / Il mondo / così grande che sembra / qui finisce / dove la mulattiera scompare / nel boschetto / tra i rovi di more mature / in mezzo alla polvere giallognola / attorcigliata alle code / scomposte dei cavalli / e poi scompare. / Il cielo sfrontato risplende / di un azzurro traditore. / Terra, acqua, foglie / sfinite, volti strappati / ci si perdono / sono inghiottiti dall’orma d’ombra / dell’ostinato silenzio di Dio. / Per scovare dove sta Dio / devi attraversare l’oscurità / e non devi perderti. / nell’anfratto delle serpi.

I vécchi

I vécchi so’ comme ’e cerque.
Stannu.
Sembre loco.
Colle radeca ’mbiandate
agliu sprifunnu
’nzinu agliu core ’ella tera.
Sulu issi sannu vello che è statu.
Sulu issi ce ponno di’
vello ca da vini’.
Pecché i vécchi
avardinu lundano
cogl’ucchi ’e mill’anni
e so’ ’rotte
e so’ macère
e so’ buci niri ’ella notte.
Quannu puro ’nzo’ piune
so’ fronne stecate all’aria
e candinu ’na canzona ’ndiga.
Collo casca’ pettèra,
areportinu ’a morte
a renova’ ssa vida.
A Vida.
Vella abbuscata
’nvonn’e scocciapile.

I VECCHI – I vecchi sono come le querce. / Stanno. / Sempre là./ Con le radici piantate / allo sprofondo / fino al cuore della terra. / Solo loro conoscono quello che è stato / Solo loro ci possono dire / quello che deve venire. / Perché i vecchi guardano lontano / con gli occhi di mille anni / e sono grotte / e sono pietre / e sono i buchi neri della notte. / Anche quando non ci sono più / sono fronde sgranate nell’aria / e cantano una canzone antica./ Nel cadere a terra, / riconducono la morte / a rinnovare questa vita. / La Vita. / Quella nascosta / in fondo al ciclamino selvatico.

Aurora Fratini,  Aqquantu (All’improvviso), Ed. Cofine- Roma, 2018

AURORA FRATINI è nata a Roma nel 1961, è laureata in Lettere ed è presidente dell’Associazione Culturale Terzo Millennio di Sambuci. È autrice e regista di 7 commedie in dialetto e 13 in lingua. Per l’Archivio Storico di Poste Italiane ha col- laborato a diverse pubblicazioni, alla catalogazione di testi storici, alla realizzazione del fondo storico-fotografico dell’azienda e al recupero di reperti rari e antichi. Su invito del Comune e della Parrocchia di Sambuci ha pubblicato opere dedicate ai culti e alla tradizione del paese. Si è classificata al primo posto al Premio di poesia e stornelli inediti nei dialetti del Lazio “Vincenzo Scarpellino” nelle edizioni 2011 e 2014; seconda classificata, al concorso nazionale “Salva la tua lingua Locale” 2014; prima classificata nello stesso nell’edizione 2015. Per le rappresentazioni di carattere storico Donne del Risorgimento (nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia) e La parola segreta era “Elefante” (nel 70° della Liberazione di Roma) ha ricevuto l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica.

Maurizio Rossi

 Pubblicato 7/12/2018