Una raccolta di poesie in perfetta, ricercata lingua siciliana

Recensione di Arturo Messina a “Vinnigna d’ummiri” di Salvatore Bommarito

Pubblichiamo qui di seguito una recensione di Arturo Messina apparsa sul quotidiano di Siracusa e provincia “Libertà”  l’11 gennaio 2013, con il titolo: “Vinnigna d’ummiri”. Se il dott. Romeo è il commediografo che cura tanto l’ortografia siciliana, c’è un medico poeta che fa altrettanto. E’ il dr. Salvatore Bommarito da Palermo con la sua raccolta di poesie in perfetta, ricercata lingua siciliana.

Nel ben noto libro “I poeti italiani della corte di Federico II”, l’ultimo che il compianto chiarissimo prof. Bruno Panvin (che fu anche mio docente di Filologia Romanza all’Università di Catania) scrisse nel 1989, Edizione C.U.E-C.M., tra le profonde e importanti considerazioni della sua Introduzione, troviamo, tra i criteri dell’Edizione il terzo e il quarto punto che dovrebbero tenere presenti tutti -diciamo tutti!- coloro che scrivono poesie o prose in lingua siciliana, così come tutti coloro che hanno scritto o ancora intendono scrivere in lingua latina devono attenersi quanto più fedelmente allo stile ciceroniano…:
3) Convinto che i poeti siciliani, imitatori dei provenzali mirassero alla perfezione formale dei loro componimenti, ho ritenuto che i loro versi dovessero sempre avere la corretta misura metrica, il ritmo adeguato e la perfetta rima” (pag.XXXIX)
4) Convinto che i nostri antichi poeti lirici, essendo persone dotte, rispettassero le leggi della grammatica e della sintassi e che in ogni parte dei loro componimenti il senso, anche se a volte non facile a cogliersi a primo acchito, fosse sempre saldo”.
Prima di queste considerazioni lo stesso chiarissimo professore Panvin nella premessa (pag. VIII) aveva affermato che “Un’edizione di testi deve paragonarsi in certo qual modo a quella sapiente opera di restauro di antichi dipinti, la quale riesce, più o meno perfettamente, a riportare alla luce in quelle opere i loro colori e le loro immagini originali che il tempo o maldestri e arbitrari ritocchi hanno alterato”.

Ho ritenuto opportuno riportare l’opinione del mio illustre e stimatissimo maestro per affermare che ho letto con la più viva attenzione, unitamente alla più viva meraviglia, la raccolta delle sue liriche “Vinnigna d’ummiri”, che
il dott. Salvatore Bommarito, medico chirurgo specialista in Reumatologia, mi ha inviato da Balestrate, via San Giovanni Bosco, provincia di Palermo, dopo di avermi telefonato per dirmi che aveva letto e collocato accanto al Pitrè, la mia Grammatica sistematica della Lingua Siciliana che il prof. Daniele Galea ha adottato all’Università
Ektòs di Mosca e che chiunque oggi gratuitamente può consultare nel sito che ha realizzato per me colui che a buon diritto viene definito “la biblioteca ambulante della siracusanità: il poetico scultore Antonio Randazzo “ca di nutizzi supra lu scogghiu è ’n puzzu”.

Fin dalla lettura dei primi versi, dei suoi componimenti poetici, per quanto a ritmo e misura liberi – scelta stilistica oggi la più appropriata per potere esprimersi con la massima libertà, senza le pastoie accademiche di metrica e rima -, mi sono reso conto di avere tra le mani l’opera siciliana migliore che mi sia finora capitata tra le
mani, sia come contenuto, sia come stile e forma, avendo egli “ripulito il parlare materno del municipalismo e mobilitato sul siciliano letterario dei motivi dell’isola”( Panvin, idem, XXXVIII).

Che si tratti d’autentica poesia di raro livello basterebbe leggere la traduzione delle stesse liriche in prosa (mi hanno fatto ricordare quelle così meravigliose di Giovanni Papini) dove a ogni verso libero, così breve ma così intenso, ci è dato di riscontrare i più originali topici, i termini più ricercati e rari, le metafore, più impensate, che rivelano la più straordinaria creatività di immagini, la più impensabile ricchezza linguistica, lessicale, a prescindere dalla non comune polla inventiva degli argomenti: è realmente un straordinaria “vinnigna d’ummiri”, ovvero di momenti rappresentativi del suo vissuto, dall’infanzia al presente, dei suoi ricordi, dei suoi sentimenti, delle sue aspirazioni, del suo ambiente paesano e familiare. Quello che più mi ha sorpreso è stato, comunque, il rilevare l’impegno linguistico morfosintattico, nella sua pur così ardua impresa di comunicare tutt’altro che popolarmente, ma come i poeti della corte federiciana, nella lingua vera siciliana, così ricercata, così nobile, così ricca, segno d’applicazione che è ben lungi dalla lingua parlata dal popolo, sia come perfezione lessicale, sia e soprattutto come ricchezza e ricercatezza e proprietà del vocabolo, il che denota un’applicazione assidua e profonda di anni, che non si può apprendere dalla parlata comune, popolare, come direbbe qualche semianalfabeta, bensì dalla memoria, dalla lettura, dalla ricerca certosina, dal confronto, dall’eccezionale esperienza; il che finora non mi è stato dato di riscontrare nessuno allo stesso livello, in nessuno dei tantissimi poeti e scrittori siciliani che hanno ricevuto premi e riconoscimenti ai concorsi e di alcuni dei quali ho persino fatto recensione…

In particolare, tra l’altro, mi sono compiaciuto come da lui la mia grammatica sistematica sia stata utilizzata nell’applicazione del passaggio dal fonema al grafema, dall’ortoepia (ché anche la buona pronuncia siciliana è indispensabile per poi scrivere e questa non si apprendeva se non minimamente dal ristretto ambiente familiare o paesano!) all’ortografia, nonché come egli abbia aderito alle soluzioni da me propugnate nei minimi particolari, anche se sicuramente è in grado di approfondimento e di superamenti di certe “distrazioni” come quando il più caratteristico fonema siciliano deve essere reso nell’esatto grafema: quello che la così palese e logica differenza, ad esempio, tra <addhumarisi- accendersi> e <addunarisi- accorgersi>, oppure il rispetto dell’aferesi (esatto, ad esempio <d’’u> con apostrofo e aferesi della < di lu=d’’u>, (pag. 21) dove, tuttavia, 3 versetti sotto troviamo erroneamente <’ntt’’o me’; la <o> al posto della <u> e al quinto versetto della stessa lirica:<’nt’’e> anziché <’nt’’i strati>. A proposito dello stesso articolo <u>, quando è fuso con la preposizione <a>, cioè <a lu> la resa deve farsi con la contrazione o sincope <ô> e non con l’apocope <o’>.
Ma sono accorgimenti che si suggeriscono soltanto a chi è già così addentro nella cura dell’ortografia, ché a chiunque altro sarebbe come <lavari ’a testa ô sceccu>!

di Arturo Messina

Salvatore Bommarito, Vinnigna d’ummiri, Edizioni Cofine, Roma 2012.