Una pesca animosa

Poesie 1960-1964 di Achille Serrao. II edizione

[OTTOBRE 2018] Una pesca animosa. Poesie 1960 – 64, di Achille Serrao, Prefazione alla II edizione di Manuel Cohen, Collana “I libri di Achille Serrao” n. 1, Roma, Edizioni Cofine; il libro contiene anche una cronologia della vita e delle opere con alcune fotografie, ISBN 978-88-98370-44-3, pp. 64, € 15,00.

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NOTA DELL’EDITORE. – Siamo lieti di inaugurare con questa sua opera prima (Una pesca animosa, pubblicata nel 1966) la collana “I Libri di Achille Serrao”.
È intenzione del Centro Studi Achille Serrao e di Edizioni Cofine di promuovere, con cadenza annuale, la riedizione di un libro del Poeta, favorendo così una approfondita e puntuale conoscenza delle sue opere, in gran parte esaurite o di difficile reperimento.
Contiamo sul sostegno degli amici sinceri di Achille Serrao che hanno già avviato una raccolta fondi per favorirne la pubblicazione e sul gradimento dei lettori che acquisteranno i volumi.
Siamo consapevoli di compiere una doverosa azione volta a rendere disponibili e fruibili i testi di un poeta e scrittore che ancora non ha avuto un giusto, adeguato e meritato riconoscimento.

La foto in copertina, di Rita Bastoni, ritrae il balcone fiorito di un appartamento in via Clelia a Roma, strada in cui A. Serrao ha vissuto da bambino con la sua famiglia.

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 L’AUTORE                         

ACHILLE SERRAO (Roma 1936-2012), poeta, scrittore e critico, è stato direttore fino al 2012 della rivista “Periferie” e del Centro di Documentazione della poesia dialettale “Vincenzo Scarpellino”.

Ha pubblicato i libri di poesia in lingua: Coordinata Polare, 1968; Destinato alla giostra, 1974; Lista d’attesa, 1979; L’altrove il senso, 1987 e in dialetto campano di Caivano: Mal’aria (1990), ’O ssupierchio (1993), ’A canniatura (1993), Cecatèlla (1995), Semmènta vèrde (1996), Cantalèsia (1999), Disperse (2008).

E’ autore dei libri di narrativa: Sacro e profano (1976), Scene dei guasti (1978), Cammeo (1981), Cartigli (1989), Retropalco (1995) e di saggistica (su Luzi e Caproni), Via Terra. Antologia della poesia Dialettale (1992), Presunto inverno. Poesia dialettale e dintorni degli anni novanta (1999), Il pane e la rosa. Antologia della poesia napoletana dal 1500 al 2000 (2005), Era de Maggio. Riduzione in quattro atti della vita e delle opere di S. Di Giacomo (2006), Torino & Roma: poeti e autori “periferici’ (2006), Poeti di ‘Periferie’ (2009).

Una raccolta degli scritti critici sulle sue opere e bibliografia completa dei testi e della critica è in Achille Serrao, poeta e narratore, a cura di Cosma Siani (Ed. Cofine, 2004).

Post mortem sono stati editi nel 2013 i libri: La soglia / El umbral / The Threshold (Ed. Cofine); Percorsi nella poesia di Achile Serrao, a cura di Luca Benassi; Per Achille Serrao, a cura di Vincenzo Luciani; e nel 2016 Achille Serrao. Antologia, a cura di Luca Benassi (Ed. Cofine, Collana ‘Aperilibri’).

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 NEL LIBRO                        

Dalla Prefazione alla II edizione di Manuel Cohen

Una pesca animosa e l’inizio di una mirabile avventura. – Il libro d’esordio di Achille Serrao, poeta in lingua e tra le voci più rappresentative della poesia neodialettale a cavallo tra i due millenni, critico e saggista raffinato (1936-2012), coincide con il compimento del trentesimo anno di età, nel 1966. Il volume raccoglie, quasi come in una cabala, 29 testi, uno per ogni anno di vita, scritti nella prima metà degli anni Sessanta; e viene stampato, quasi alla macchia, a Roma, nel mese di maggio, per i tipi di E.I.M. Si tratta, di fatto, del primo risultato, o del vero e proprio apprendistato, che di lì a poco e in significativa parte confluirà nel libro Coordinata polare (Crisi e Letteratura, Roma 1968).

Il volumetto, che per l’esiguità dei testi licenziati si allinea alla maniera del periodo, è suddiviso in quattro sezioni disomogenee per entità o ampiezza di testi: “Favole umane e non” (11 testi), “A capo chino” (2 componimenti), “Una pesca animosa” (13 poesie contenenti anche il testo eponimo) e un’“Appendice 1965” comprensiva di una nota e di “Il dolore riflesso” (3 poesie), per un totale, dunque, di 29.

(…) A rileggere il primo vere dell’autore romano di origini campane, risultano evidenti alcune costanti mai abbandonate e il fatto che si è di fronte a un libro che costituisce il serbatoio essenziale e fondamentale dei motivi, dei temi, a volte anche degli stilemi, cari al nostro.

(…) Il libro è contrassegnato al suo interno dal fil rouge della dualità continua, del dualismo di elementi contrastivi o contrastanti: esigenza del reale e necessità del sogno; desiderio di luce, di chiarezza, e costante attraversamento di stadi d’ombra o notturni… non risulta allora casuale il riferimento o l’allusione larvata alla lirica e al pensiero leopardiani. La necessità di calma, di quiete o di pace, viene assieme e mai prima di aver attraversato tutto un ‘universo o cosmo’ in guerra; tutta una figuralità che attiene a questo campo semantico, come ad esempio, ad un rapido spoglio, risulta costante il riferimento a un’ampia gamma di versi, di termini e di predicati verbali: ‘l’ultimo assalto’, ‘fronte di guerra’, ‘sabato di guerra’, ‘guerra senza esclusione di colpi’, ‘febbre di violenza’, ‘agguato di eventi’, ‘catene, rappresaglia’, ‘la ferita brucia’… Il combattimento è sì interiore, ed è certamente afferente a una vocazione eminentemente lirica, eppure costantemente sollecitata da eventi esterni; mossa continuamente in direzione della dialettica e dell’ascolto del mondo circostante o ‘esteriore’.

Di questo dualismo tra soggettività lirica e ascolto del mondo, nelle reti della poesia restano catturate per sempre immagini, sentimenti, creature, storie e vite esemplari: nomi che si fissano nella memoria di chi legge: Marta, Cosimo, o Anselmo, ‘sempre in guerra con se stesso’, nominati per rispondere a un’esigenza di realtà (il giovane autore si nutre culturalmente sia di ermetismo: Luzi, Gatto, Calogero; sia di neorealismo: Pasolini, Pavese, Scotellaro), di esperienza da riferire, a cui conferire dignità letteraria. Come pure sembrano registrarsi o in parte riverberarsi le ‘animosità’ dialettiche dell’epoca, anche in un autore che di certo non privilegiava nelle sue corde il ‘mandato’ sociale o civile dell’engagement della cultura degli anni Sessanta: il riferimento va a Questo paese, testo esemplare anche per la competenza retorica (i bellissimi richiami fonici, le rime lievi, eleganti e solo apparentemente blasé) dove si evidenzia un aspetto radicale di quegli anni: la trasformazione della società da rurale a industriale, e la critica al ‘sistema’ economico che fagocita e regola tutto: «Ora la fronte è prosciugata / e non lo è stata mai; / una fabbrica geme di terraglie / per quelle leggi dell’economia / necessarie / – intramontato gioco delle biglie / che ancora trasfigura / questo paese delle meraviglie –».

Accanto alle persone, un intero universo faunistico e floreale che partecipa dell’avventura e della ‘meraviglia’, quasi sempre ‘notturna’ (e dunque, insistentemente leopardiana) della creazione letteraria e della vita: rondini, passeri, albatro, allodola, merlo, gufo, lucciole, cane, gatto, alghe, grano, foglie, erba, tufo, ginestra, pino, ulivo, mandarini… Quasi anticipando la grande stagione dialettale della sua scrittura, Serrao sembra qui segnare il proprio elegante solco, le proprie radici etiche e sociali, tra natura e paesaggio, tra esistenze di vite e esperienze interiori. Le scene, i contesti, ricordano infatti l’esperienza nel dialetto paterno di Caivano, a cui approderà negli anni Novanta. L’universo simbolico è analogo, ed anche il campo semantico, lo spazio dell’analogia, lo attesta.

Ulteriore elemento di continuità, a conferma che Una pesca animosa marca in tutta evidenza un paradigma se non propriamente una parabola, è nella continua sovrapposizione, o dualismo tra testi afferenti alla lirica pura, ed altri più articolati o mossi, in campiture di versi che sembrano anticipare alcune fasi linguisticamente eversive o sperimentali della scrittura del nostro.

Alla lirica, ad esempio, sono ascrivibili almeno due testi esemplari e notevoli del giovane poeta: “Ottobrata” e “E pascola memoria”. In entrambi i casi, i versi sono brevi e i testi non eccedenti 9 e i 13 versi. Ma quel che colpisce è la assoluta freschezza culturale o la ‘modernità’ testuale e di pensiero in cui l’elegia è bandita, sostituita da una sottile luce di nichilismo razionalista. Accanto a questi testi brevi e di grande intensità emotiva e di pensiero, si repertano poi testi ampi (“Pensieri”, “Una pesca animosa”, “Forse sarà”, “Di quando mi faceva meraviglia”) dal periodare e dalla sintassi articolati: testi che raccontano in versi e che si aprono naturalmente alla prosa, a tutta la prosa del mondo. Non risulta infatti casuale che nella intentio del giovane autore alberghi l’idea di un lungo racconto delle cose e degli uomini: la ricerca di una trama, di un ordito o tela, di una rete da pesca che racconti tutto il possibile ‘pescato’. Il titolo stesso della prima sezione, “Favole umane e non”, introduce alla possibilità della fabula, dell’aneddoto esemplare, del racconto. Sono, di fatto, le due nature del poeta Serrao a emergere autorevolmente: la natura lirica, e l’esigenza di racconto con aperture alla prosa. Saranno due costanti mai venute meno in quarant’anni di poesia: sono le reti appassionate e razionali di una grande avventura, di una meravigliosa e irripetibile pesca animosa.

 

OTTOBRATA
Il giorno è dismesso;
mi ferisca il sole d’ottobre
che assapora
andirivieni e strascico di ontani preziosi.

Volo su volo
quando rondini assidue
segnano archi innumerevoli
attendo perché
m’uccidano.

E PASCOLA MEMORIA
Eclissi di luna
placida di venti.
Varianza di moti:
stupefatta una nuvola
postula luce o sciamare più oltre.

Inaridisce lo scoglio la risacca;
ecco, sta spalancandosi sul molo
all’abbagliante sazietà del mare
un occhio vivido di pruni
dall’entroterra.

E pascola memorie
in tutto questo
il primo giorno d’esistenza.

QUESTO PAESE
Mentre sviliva il giorno
disperavo per te dalle vetrate
una intrepida immagine di case;
nella prima gazzarra della sera
ad ogni ombra mi fingevo un topo
zoppo in amore.

Di questa realtà
cosa n’è stato;
chiederne ancora, ora
– crocifisso all’imbocco di una strada
dentro un muro di tufo
(tu) amorevole gufo
bersaglio di sassate –
se non è più memoria alla finestra
la ginestra d’estate.

Ora la fronte è prosciugata
e non lo è stata mai;
una fabbrica geme di terraglie
per quelle leggi dell’economia
necessarie
– intramontato gioco delle biglie
che ancora trasfigura
questo paese delle meraviglie –

 

FORSE SARA’
Cosa è accaduto
delle tue parole
recenti

– Datemi qualche cosa…
Iddio vi benedica –
musicate da tutti gli strumenti
i più accordati
mentre non ce la fai
neanche a trascinarti;

è un’orchestra: suona
(che sapore di neve)
una rima imperfetta
forse sarà la musica del mare
che in ogni vela fa tremare un cuore
(e ti scaldi dall’aria
che sogna la bufera
soffiando sulle dita).

Eri custode d’una incustodita
sinagoga;
volevamo sapere
della tua scioperata adolescenza
torna oggi vela e tu non…
(è una canzone in voga)

Guarda, sta nevicando
alla rinfusa
(la porta è chiusa);
volevamo sapere
delle tue parole

– Datemi qualche cosa…
Iddio vi benedica –
e del suicidio in fondo
al lago:
…che lacrime amare.

(apprezzabile mago)

– Niente più convenzioni
inutili,
ultime oscillazioni di pensieri.