Nel suo recente volume Aperture sul latino. 23 poesie latine tratte da 24 secoli, inserito nella collana "Itinera Classica", che studia e analizza la poesia latina di 24 secoli, il prof. Nikolaus Thurn dell’Università di Berlino per ogni secolo ha scelto il poeta e la poesia di maggiore importanza.
Con la già nota lirica “In Vehiculo Subviario” Joseph Tusiani rappresenta il ventesimo secolo, ed è cosi’ nell’illustre compagnia di Livio Andronico, Catullo, Stazio, Apuleio, Ausonio, Nemesiano, Sant’Ambrogio, Venanzio Fortunato, Giovanni del Virgilio (al quale Dante dedicò una sua ecloga latina), Giovanni Pontano, Cowley, Rimbaud, e qualche altro di nazione nordica.
Quella poesia la sentii per la prima volta nel 2001 in un memorabile reading a Roma Colli Aniene in occasione della presentazione del libro Poeta in 4 lingue. Antologia di Joseph Tusiani. Poesia e narrativa in dialetto, italiano, inglese e latino a cura di Cosma Siani. Da allora soprattutto quel distico Unda profunda profunda profunda / Unda profunda profunda profunda (che riproduce il frastuono della metropolitana) declamato da Tusiani con la sua incantevole voce baritonale è rimasto indelebile nella mia memoria. E mi sorprendo talvolta a recitarlo io stesso mentre sono in viaggio in metro a Roma.
Perciò è con viva gioia che offro questa posia alla degustazione dei nostri lettori, non senza aver augurato a Joseph Tusiani (Iosephus noster) una felicissima Pasqua.
IN VEHICULO SUBVIARIO
Omni die, omni mense,
Statione Fordhamense,
Cum per nubes sicut rima
Lux insinuatur prima,
Sine pace, sine pausa,
Laborandi semper causa,
Mihi mobile est cubiculum
Subviarium vehiculum.
Tamquam miserae sardinae
Stant personae matutinae
Semper notae sed ignotae,
Mixtae maestae mutae motae,
Oscitantes ter et quater
Mater, filius, filia, pater
Atque avunculus et frater.
Unda profunda profunda profunda
Unda profunda profunda profunda.
Alter dormit, alter legit,
Alter nudum pectus tegit,
Oculosque alter fricat
Quamquam nihil nemo dicat.
Unda profunda profunda profunda
Unda profunda profunda profunda.
Vultus omnes ego rogito
In silentio et excogito:
"Quis ex istis hic non erit
Cras viator? Quidque gerit
Ista nova dies genti?
Nos lacessunt vitae venti".
Unda profunda profunda
Unda profunda profunda.
Si vis vivere et esse
Laborare nunc necesse.
Laborare laborare:
Quare quare quare quare?
Quid est ista vita brevis
Volans sicut umbra levis?
Quid est dolor, quid est amor,
Quid diurnus iste clamor?
Quid sum ego, quid sunt isti
Viatores? Mente tristi
Ego vehor, vehor ego,
Ac necessitatem nego
Usque ad mortem laborandi.
Sed hi strepitus nefandi
Cessant: strident omnes portae.
Pellens, agens et irrumpens,
Paene vixdum et procumbens,
Multitudinem non piam
Linquo et exeo in viam.
Ibi labor, vitae cursus,
Tenet me et tenet rursus.
NELLA METROPOLITANA
Ogni giorno, ogni mese,
nella stazione Fordhamese,
quando si insinua la prima luce
fra le nuvole squarciate,
senza pace, senza pausa,
– il lavoro ne è la causa –
per me è una mobile casetta
il metrò che giù mi aspetta.
Come misere sardine
stan persone mattutine,
sempre note e sconosciute,
miste, meste, mosse, mute,
sbadiglianti molte volte,
madre, figlio, figlia, padre,
e lo zio ed il fratello.
E’ onda profonda profonda profonda
E’ onda profonda profonda profonda.
Uno dorme, l’altro legge,
l’altro il nudo petto protegge,
uno si stropiccia gli occhi
ma nessuno dice niente.
E’ onda profonda profonda profonda
E’ onda profonda profonda profonda.
Ogni volto io interrogo
in silenzio e intanto penso:
"Chi doman non ci sarà?
e che cosa porterà
il dì nuovo a queste genti?
Della vita ci chiamano i venti" .
E’ onda profonda profonda
E’ onda profonda profonda.
Se vuoi vivere ed esistere,
su, lavora, non desistere,
lavorare tocca a te,
ma perché, perché, perché?
Cos’è questa vita breve
che va via come ombra lieve?
Cos’è il dolore? e l’amore?
e il clamore di ogni giorno?
che sono io? cosa son questi
viaggiatori? Tristemente
son portato, trasportato:
la necessità io nego
di faticar fino alla morte.
Ma lo strepito assai forte
cessa: stridono le porte.
Tra spintoni e urti uscendo,
e per più quasi cadendo,
la moltitudine non pia
lascio ed esco sulla via.
Qui il lavoro quotidiano
mi prende la mano.