Quale ricordo negli occhi di un bambino, nella sua anima e nel cuore, nelle sue parole di giovane e poi di adulto, rievocative gli anni del conflitto Iran-Iraq degli anni Ottanta del secolo scorso? Quando il passato non è mai veramente passato ma si perpetua senza soluzione di continuità sino ai giorni nostri? Con il corpo fatto di neve/sei morto/ma non ti sciogli, questa la tragica realtà, Questo è il Medio Oriente/ovunque scaverai la terra/spunterà fuori/ un amico, un caro, un fratello. Nelle parole del poeta persiano Garous Abdolmalekian onnipresente è l’odore, la presenza fisica della morte che riempie e svuota/i nostri polmoni/ La guerra brucia / e i vigili del fuoco/ non sanno spegnere l’omicidio. Tutto lo sgomento di chi ricorda e ancora assiste all’empietà si condensa in un grumo sanguinoso che investe la terra e il cielo da cui cadevano le bombe, cielo in cui Dio si palesa solo nella nube/ che passa in mille forme/ e confessa di avere le ali spezzate/(..)/ e confessa / che questo è/ un altro cielo. Passato e presente si fondono nelle parole terribilmente vere di un poeta con le pagine imprigionate e ferite, torturate, dolorose di un libro-testimonianza, Trilogia del Medio Oriente – guerra amore solitudine (Carabba 2021, collana Diramazioni diretta da Giovanni Tesio, traduzione, introduzione e note di Faezeh Mardani e Francesco Occhetto).
Pagine, versi che richiamano altre martoriate terre, altri territori segnati da lutto e distruzione infinita, Siria, Yemen, Iraq (in contemporanea cadono i colpi/su me, Siria e Baghdad //Il notiziario/ di me non dice nulla,/il notiziario dà solo notizie/per coprire notizie): ovunque un conflitto, l’esperienza della notte/morte intanto che il punto di vista testimoniale della vissuta vicenda personale rivive in forma di assimilazione di un dolore collettivo, che si esprime in un grido prolungato che rimbalza di luogo in luogo, con ritmo incalzante sposta coordinate geografiche e temporali; non soltanto evocazione e volontà di testimonianza di quanto accaduto e ancora accade, ma scrittura chirurgica, esposizione del sangue umano qui e ora: Non voglio bendare la ferita/…) /lascio uscire il mio sangue/ che gira per casa/ (…) /; lascio uscire il mio sangue e scrivere sulla terra/ quel che vuole/entrare in profondità sotterranee/ far leggere poesia/ anche ai morti. Linguaggio icastico, potente, nuda folgorante esposizione verbale dell’amore e della morte, del ricordo e del presente, della perdita e della solitudine, del vuoto con cui devono fare i conti i sopravvissuti, che pure sono tenuti a custodire e curare ciò che è appartenuto alle persone amate: Ora che non ci sono più /stira e abbottona/la mia camicia/ lucida le mie scarpe/tieni in ordine /la mia assenza.
Versi che chiamano a ulteriore testimonianza anche le cose, gli oggetti e soprattutto la natura e gli elementi, silenziosi astanti della fine: le nuvole, la luna, i fiumi/ che portavano i cadaveri verso il mare /non credo sia ancora blu/il fondo (…); e il vento e l’indifferenza del cielo, e le stagioni dell’uomo (Piego i giorni/ripongo i mesi nell’armadio/butto via gli anni), e i ricordi indelebili: Ora i carri armati/superano le trincee del lenzuolo/e lentamente entrano nel mio sogno:/(…)/mia madre lava i piatti/ mio padre coi baffi neri torna a casa/ e quando cadono le bombe/tutti e tre siamo piccoli.
Nota bio-bibliografica
Garous Abdolmalekian, poeta e saggista iraniano, nasce a Teheran nel 1980. Inizia molto giovane a scrivere e pubblicare poesie che gli varranno da subito l’interesse e l’apprezzamento unanime della critica, tanto da essere annoverato tra i più interessanti e persuasivi autori dell’ultima generazione della Poesia nuova persiana, quella successiva alla Rivoluzione iraniana del 1979. Dopo alcune raccolte di grande intensità poetica come Rang-hāye rafteh-ye donyā (I colori sbiaditi del mondo, 2005), Satr hā dar tāriki jā avaz mikonand (Nell’oscurità le righe si confondono, 2008), Hofreh-ha (I solchi, 2011), Hic ciz mesl-e marg tāzeh nist, (Nulla è nuovo come la morte, 2015), nel 2018 Abdolmalekian ha dato alle stampe la sua ultima raccolta dal titolo Segāne-ye khavaremiāneh, Jang Eshq Tanhāii (Trilogia del Medioriente, Guerra Amore Solitudine), pubblicato in Italia da Carabba Edizioni . Il riferimento tematico evoca i primi anni dell’infanzia del poeta segnati dalla tragica vicenda della guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) e richiama recenti conflitti in Siria, Iraq, Yemen, nei quali è stato coinvolto emotivamente. Oggi, Garous Abdolmalekian, con il suo stile minimalista e il suo linguaggio tagliente e scarno, è un autore molto apprezzato in Iran; sue poesie sono state tradotte e pubblicate in francese, inglese, arabo, curdo e turco.
I prefatori
Faezeh Mardani insegna Lingua e Letteratura persiana moderna e contemporanea all’Università di Bologna. Ha pubblicato per Vallardi il Vocabolario Persiano – italiano (2000) e Parlo Persiano (2002); ha pubblicato le poesie di Forugh Farrokhzād nella raccolta È solo la voce che resta (Riccardo Condò Editore, 2018) e l’ultima silloge poetica di Abbas Kiarostami Il vento e la foglia (Le lettere, 2014). Ha curato la pubblicazione degli atti del Primo Convegno Internazionale sulla Letteratura Contemporanea Persiana, Il giardino e il torrente, sguardi alla letteratura persiana contemporanea (Aracne editrice, 2016).
Francesco Occhetto è laureato in Lettere all’Università del Piemonte Orientale e sta per concludere la laurea magistrale in Scienze Orientalistiche presso l’Università di Bologna. I suoi principali interessi sono la poesia e lo studio delle religioni, traduce dal persiano. Redattore di Nuova Ciminiera, collabora a varie riviste culturali.