SUPINO (Provincia di Frosinone)

Dialetto e poesia nei Monti Lepini)

SUPINO. A 321 m slm. 4.958 ab. detti supinesi. Aggrappato alle pendici del versante orientale dei Monti Lepini, disposto come una lunga balconata, si affaccia sulla valle del Sacco.

1. I vocabolari e le grammatiche

Scritto da Lorenzo Pietrandrea Lingua Scordata, glossarietto supinese (Le Ortelle 2003) propone una raccolta di parole relative al dialetto supinese patrimonio del passato linguistico del paese. Una sorta di vocabolario Supinese-Italiano. Molti dei termini raccolti nel libro sono ormai scomparsi dall’uso quotidiano del dialetto locale che, se anche usato, ha visto col passare degli anni una evoluzione che ha apportato delle modifiche radicali a molte delle parole del linguaggio originale.
Dal libro di Pietrandrea preleviamo i vocaboli:
adduolì (annoiare), addéccata (da queste parti), affrisco (di recente), aggadià (impaurire), albuccio (pioppo), allatà (stendere la sfoglia), allicchinì (invogliare, prenderci gusto), àluma (anima), ammallozà (palpare, in particolare la frutta), ammorcà (ungere la forma casearia con la morchia a mo’ di conservante), andraperto (socchiuso), andovinà (indovinare), anghiappo (laccio per animali), annoccà (colpire, pestare di botte), appampato (bruciacchiato), appilamo (turacciolo), appocatro (fra poco), apprommette (promettere), appuzzutà (appuntire), assesso (talentuoso), babbalotto (ragnatela), bacando= vuoto; balorde (sporcare), battamaglia (pestaccio, lavata di capo), baucano (abitante del luogo pedemontano; rozzo), bravà (urlare agli armenti), buorono (letame diluito in acqua per concimare), butiro (burro), cacasicco (avaro), canaraiato (avido), cano (cane; capà (scegliere, selezionare), diunà (digiunare), dollozzà (agitare, detto di liquido in recipiente), erua (erba), falà (terminare di fare frutto), fenza (rete per recinzione),  ferato (gelato), filippina (vento, corrente d’aria), fiuci (felci), focono (esagitazione), fraffo (muco), frazzaraco (frassino), frelecà (piovigginare), fruccolo (unità di misura, la distanza tra pollice e indice), gnègno (maiale), jàuto (alto), jenga (vitello), jénnero (genero), lampazzo (ragazzo alto e magro), laniaturo (matterello); maddomana (stamattina), malucriscito (pane mal lievitato), masturzo (tutolo, parte centrale della pannocchia), mbalomito (di cosa che perde colore o si opacizza), mezzofelo (di persona non molto sana), moracciso (lenza), muglisco (muschio), muncio (lento), muttiglio (i,buto), nefa (accenno), ngavinà (ingarbugliare), olopa (volpe), pacchesecche (mele tagliate a fette ed essiccate al sole), panoruscio (pane di granturco), patino (padrino), pencia (pelletica, pelle floscia e cadente), pèto (piede), pinicareglio (altalena), pipià (stentare a fare qualcosa), piropolata (rimprovero), pittimo (persona fastidiosa), pizzo (pene), poeglio (arbusto ai cui rami i pastori usavano appendere le loro masserizie), pumpudoro (pomodoro), punnazze (ciglia), punnea (piccola rimanenza, residuo, rimasuglio), puparono (peperone), pupurunnella (peperoncino), puscolla (fossa piena d’acqua),raloma (lacrima), rapprusummolà (raffigurarsi), rauglià (borbottare), rila (ghiro), rilà (vantarsi), rolla (stalla del maiale), rollà (scuotere, detto delle piante da frutto), rucaccià (affibbiare un soprannome), ruoticà (ribaltare), ruótto (rutto), ruazzo (pettirosso), rusucà (tirare su con il naso), scauzzo (scalzo), schiama (schiuma), schitta (soltanto), scopiglio (arbusto per fare le scope), sdignà (troncare i rapporti), sdiunà (rompere il digiuno), sduina (seme di zucca), sfureggià (imbucarsi), sgrinà (spossare, affaticarsi), siccasì (proprio così), soriciomoscarolo (moscardino), sottocorpetto (tosse ostinata), spadaccino (detto di chi si cava d’impaccio agevolmente), spilapippa (detto di persona esile), sprugli (foglie di pannocchia), stannà (potare nel periodo primaverile), tétera (dito), uanno o vanno (quest’anno), ullicole (ombelico), ummì (tuonare), zambrico (cavalletta), zapputella (ragazza leggera),  zippuco (bastone appuntito), zirichizoraca (tira e molla).
 
Se oggi la processione di S. Cataldo ha mantenuto intatta la sua bellezza e i suoi momenti solenni, lo si deve alla volontà di persone tenaci e credenti quali sono gli "incollatori ". La figura dell’incollatore rappresenta nella coreografia della processione la fatica, il sudore, la volontà ferrea di portare a termine un dovere, ma anche soprattutto la fede, che li contraddistingue nei confronti di S. Cataldo.  Essi ogni anno il 10 maggio, in una splendida cornice di fedeli, dotati dal 1987 di una smagliante "casacca rossa con stemma del Santuario" hanno il compito di custodire e "incollare" la Statua del Santo nelle processioni ufficiali. 
 
2. I proverbi e i modi di dire
Da Lorenzo Pietrandrea Lingua Scordata, glossarietto supinese:
tu no m’allappi (non mi convinci); parlà ambizzo (sfoggiare un’improbabile pronuncia italiana); tè anfaccia la casa (detto della titolarità di un immobile); glio vaglio angalla la caglina (accoppiamento del gallo); portà annanzipétto (travolgere); à ruscito gli’annotto (quello che si temeva è accaduto; annotto: previsione); n’appeti (non vedi l’ora); n’t’appugli (non ti calmi); vacci aruscì ’ncontra (accogliere); cavaglio biastomato ci lùcia glio pilo; prima da parlà fa glio bumbo (bumbo: gonfiare le gote), tè na canassa! (molare; appetito); sa dacizzo (detto di alimento specialmente delle carni); dò! I che si fatto (esclamazione di meraviglia); dotta tè! (accipicchia); atténti ca ci sbatti lo froce; passà furuni furuni (scantonare); sì fortunato c atei la magnatora bassa!; alla mmusciala gli confetti (elargizione di confetti ai convitati alla festa di nozze); a patuglio (ritirarsi, detto delle galline); to mannono a tò l’acqua cu glio pulliccio (toi mandano a prendere acqua col setaccio per cereali); glio merlo ancìma alla fica dicia: “comm’è brutta la fatìa”, ci rosponno glio roazzo: “se non laùri to magni ’sto cazzo”;
 
Un paio di proverbi
Glio caggio (cafone) no mora mai, uno mora i cento no runasciono; i mariti so serpi do canniti (canneti); fa gli ruótto glio signoro ci dicono salute, fa glio ruótto glio poretto ci dicono porco
 
3. I toponimi e i soprannomi
“Ie’ so du Supino”
“Ie’ so du Supino”, all’interno del territorio di appartenenza si qualificava – dice Renato Santia – indicando il nome del quartiere, del borgo, del rione entro il quale si viveva: “Ie’ so du Santa Nicola”, “Iè sò dulla piazza”, ecc. io credo che rimarrebbe molto meravigliato chi, volendo oggigiorno rendersi conto di questa definizione di appartenenza al proprio territorio, scoprisse quanto ristrette fossero tali aree considerando che per coprire quella dell’intero paese, camminando lentamente, non occorre più di un’ora. Sovente tra gli abitanti di detti quartieri si creavano situazioni di incomprensione se non addirittura di rivalità quando, ad esempio, si cercava di corteggiare una ragazza che non abitasse nel proprio. Ancora una volta era sempre in riferimento alla difesa di un certo spazio vitale che tali aggregazioni particolari di individui si costituivano. (…)
Questo processo di frantumazione dell’unità politica in tante piccole sottounità, trovava il suo culmine in un’altra espressione sulla quale ho avuto modo di riflettere soprattutto in una forma di richiesta specifica, avanzata da persone anziane e da emigranti assenti dal paese da un certo numero di anni. Per costoro, infatti, nella ricerca di una più precisa e particolare forma di identificazione, molto spesso, le due qualificazioni: “Ie’ so du Supino” e “Iè sò dulla piazza”, non soddisfano alla loro esigenza di ricostruire in modo inoppugnabile la discendenza genealogica dell’interpellato.
È in questo contesto, allora, che si inserisce l’altra più particolare qualificazione: “Iè su figlio a …” a cui si fa seguire il nome proprio del padre con l’indicazione del relativo soprannome. Riguardo quest’ultima consuetudine, essa ben rispondeva alla necessità di una organizzazione sociale dove era necessario poter individuare con quasi assoluta certezza ogni singolo individuo che ne facesse parte. E poiché i nomi propri ed i cognomi appartenendo contemporaneamente a più individui potevano molto spesso indurre in errore, ecco la consuetudine dell’uso del soprannome. Essa rispondeva ad una forma di economia mentale, di pratico espediente che tornava utile nella ricostruzione di tanti avvenimenti della vita del paese. In questo modo si è potuto dar vita ad una storia orale che ha egregiamente sostituito parallele storia e cronaca scritte praticamente difficili a realizzarsi anche in considerazione del basso livello di scolarizzazione della gente.
 
Il gran carnevale dei soprannomi del comune della Rava di Nicola Lespi è un testo giocoso che raccoglie una serie di soprannomi di Supino. È suggestivo che nel lontano 1951, in Argentina, Nicola Lespi, appelli “Ravanesi” i cittadini di Supino. Il richiamo della “Rava” (la roccia a strapiombo sul Paese), dunque, doveva essere fortissimo. Tra i i soprannomi raccolti da Lespi selezioniamo:
Abbatessa; Abbato; Abbatovecchio; Baffetta; Bailoni; Bandeca; Bandozzo; Bannera; Bravaccio; Broccardo; Brucculitto,; Bruttolla; Cacagliufoca; Cacalaneva; Cacasicco; Cacchiarona; Caciaspa; Cacumo; Cammillono; Camorgio; Canassa; Caparda; Cargiasecca; Cargiono; Cargitto; Cavuglio; Cazzera; Cellacchio; Cencetto; Cenciono; Chiappono; Cicio; Cicorietta; Cicolire; Molono; Moniteo; Mortalo; Negus; Ndruppaciocchi; Paga; Pandora; Pilaroscia, Piloruscio, Pilucchio;Pimpitella; Polosella; Pranzarella; Praticana; Primozzo; Schifalacqua; Sciabulla; Scialappa; Scucchia; Siamintesi; Sorcitto; Stracciacappeglio; Tascapano; Tittino; Toccaiasono; Togliatti
 
Palazzo Balestro
 “In data 2 giugno 2004, – sostiene Elia Torriero nel “Bollettino di San Cataldo 2005” – all’interno del “Palazzo Balestro”, è stata inaugurata la nuova sede del Comune di Supino. Al di là dell’aspetto tecnico, ciò che incuriosisce è la denominazione di Palazzo Balestro, dato all’immobile oggetto della donazione, posto che tale appellativo non risulta in alcun punto dell’atto. Dalle mie ricerche, è scaturito che la denominazione è derivata dal soprannome, quello di “Balestro”, che veniva dato al donante Bizzarri Giovanni. Da quanto mi è stato detto, tale soprannome gli proveniva dal fatto che egli camminava con un’andatura barcollante, come appunto, il movimento non uniforme della balestra. D’altra parte che “Balestro” fosse certamente un soprannome supinese è circostanza sicura. In questo senso, infatti ho avuto il riscontro nella lettura del “Il Gran Carnevale dei Soprannomi (Comune della Rava – Senatus Populusque Quiriens Ravanensis)” dell’indimenticato nostro concittadino Nicola Lespi, scritto in Argentina nel lontano 1951. Nella grande sfilata dei gruppi in costume rappresentanti i propri soprannomi, all’ottava fila del quindicesimo gruppo, troviamo gliu Turiceglio, seguono Laurenti e Marteglio, Commendatore e Ciraseglio, Belgiovane e Zibbacchieglio, Balisca e Camardeglio, la Spia e Taccareglio e, appunto, Balestro ecc. ecc. 
 
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi- gastronomia- feste&sagre-altro
 
 
 Nella IV rassegna”Poesia a Supino” del 1991 riportiamo il seguente canto di Devio Barletta:
A mesu allu muntagne culucato,/ du macchie d’insiti i castegne circondato,/ lu culline addurunu du tante ‘’inestre,/ i lu cuntrade d’azzalee a cestre,/ la pace s’appiccica agliu coro,/ la gente penza sulo aglio amoro,/canta gliù cchiocchiorrocchiò alla Puzzella,/ rusbiglia ‘’na bella uttarella,/ ca ’ota su senta puro gliù cuculo,/ca ruchiama dalla Tora sulo sulo, /chisto è Supino accusìsia,/ piino du “Musica i Poesia”.
 
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni e scongiuri
 
4.3 Giochi
 
 
4.4 Gastronomia
Iniziamo il nostro viaggio tra i prodotti tipici, considerato anche il periodo(siamo alle porte di carnevale) con due dolci carnevaleschi i struffoli e le frappe. (Gli struffoli i lu frappe)
Uno dei primi piatti tipici della Ciociaria e quindi anche di Supino sono le fettuccine fatte in casa.
Tra i piatti davvero tipici di Supino e che riconducono alle tradizioni della cucina più povera: gli Gnocchitti Longhi altrove noti come strozzapreti. (da: https://www.comune.supino.fr.it/).
Ernesto Carbonelli esalta i due capisaldi della cucina povera supinese: “Lu Vino” (vedere in Antologia) e “La Pulenta”: Tolla nu pignato cu gliu culo tunno, / Gliu foco du lene fatte alla muntagna, / na mazza ca’nnu scortaca gliu funno, // cu nu poco d’erua pazza du campagna, / i tu tu fai na pulentata ca’a stu munno / para ca ci volessa dice: magna magna! // Calla, spariata sopr’a chella spinatora, / cu ’ncima l’erua fritta, fummuchenne, / tu f’addocì gliu petto accomm’addora. // I sì facennala ci’ammischii poche fave, / ci’aggiugni na zazzicchia spuzzigliata, / allora sulo a vudela tu cadono lu vave. // Magna fin’a ché la trippa la pò regge, / attenti, nun ti ci beve tropp’acquata, / su nnó rannula a forza du scuregge!
 
“La polenta di Sant’Antonio – secondo Cesare Corsi – è uno dei pochi vincoli rituali rimasti nel nostro calendario. La festa nella semplicità del suo svolgimento, cottura e distribuzione in piazza della polenta prima benedetta, è tuttavia piena di significati.
Rimanendo nell’ambito della nostra cultura, gli studi storici (G. Giammaria, Organizzazione ecclesiastica e società a Supino, Frosinone 1979 ) ci trasmettono memoria di una festa di questo genere, la panarda, che si celebrava nel Cinquecento a Supino nella chiesa rurale di S. Sebastiano il 20 gennaio, quindi in prossimità della festa di S. Antonio. La festa si basava sul pranzo collettivo e ad esso erano associati elementi rurali e simbolici veicolanti dalla musica e dal ballo (“fit festum que dicitur la panada et fiunt tripudia et saltationes et foro”). (…) Quel che più interessa è la partecipazione che il rito mostra con il fondo culturale comune di ogni attività umana: dominio e controllo su elementi essenziali come il fuoco, la coltivazione di cereali e l’invenzione della cucina, il cibo cotto. (…) In questo contesto, importanza dominante rivela l’istituto della cucina – il cibo cotto contro il cibo crudo – in cui si veicolano le scoperte culturali del fuoco e della coltivazione dei cereali. La cucina è intesa in questo senso come uno degli elementi d’ordine che contraddistinguono la cultura umana, luogo fisico e della mente, in cui in tutte le culture etnologiche non si può fare chiasso (caos, disordine). In cui il silenzio è un obbligo rituale prima che una buona maniera. A meno dell’inversione del momento ludico. Inversione che si celebra ancora nelle filastrocche della nostra infanzia e di chissà quante altre civiltà del nostro pianeta: Ti rompo piatti, scodelle, tutto quello c’hai … povera Maria Spillò …
 
Video https:////www.youtube.com/watch?v=gTlDOY99PnQ – Supino Polenta – Caricato da steveclendenin in data 24/gen/2011 – Supino Polenta Festival
 
Tradizioni popolari
 
Nel volume San Antonio Abate: culto, riti e tradizioni popolari in Ciociaria (Atti del Convegno svoltosi a Patrica il 22 gennaio 1995 – Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale), consultabile presso la Biblioteca Comunale di Supino e presso le Biblioteche dell’Associazione Intercomunale Biblioteche “Valle del Sacco è ospitata un’interessante comunicazione di Giuseppe Agostini su “La Festa di S. Antonio a Supino” dalla quale apprendiamo che: “I giorni di Sant’Antonio Abate sono la festa dei poveri, la apparizione e la rivelazione della tenacia, dell’ingegno, dell’immaginazione estrosa, dell’organizzazione puntigliosa, del decoro della improvvisazione, virtù magistrale delle contrade lepine. La vigilia della festa viene preteso e effettivamente elargito, da qualche famiglia preminente, il risarcimento del pane, in forma di fuso o di pesce, confezionato con farina lutea di granturco, chiamato mollemente panicella, spesso corteggiato dalla salsiccia vile di fegato di maiale, la mazzafetaga, fortemente agliata e impeperonita (gli aromi della provvidenza apotropaica) per scoraggiare una consumazione illimitata. I signori – pochi – si concedono il brivido della beneficenza e per la famiglia cuociono forme di pane con farina bianca o gialla. I poveri – moltitudine – cuociono sotto cenere e brace, imballate nelle grandi foglie di cavolo, le placentari pizzòle, estese panicelle domestiche. La panicella si reclama senza arroganza, senza piaggeria, anzi, come contropartita vantaggiosa, con la formula di investitura magistrale: dammo la panicella i dammala addavero, che pozzi fa’ ’no figlio cavaliero. 
 
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
Ernesto Carbonelli, supinese residente in Canada è autore di Eroi e vittime dimenticati, un  libro che tornando indietro negli anni relativi alla seconda guerra mondiale, ripropone attraverso un diario di quelle tristi giornate eventi che hanno segnato una intera generazione di donne ciociare e nello specifico supinesi. Triste e commovente il ricordo di quegli eventi che hanno visto trasformarsi quelli che dovevano essere i liberatori in spietati carnefici ed al contrario gli oppressori in eroi.
 
6. I testi di poesia
A Supino sono state dedicate dai suoi poeti numerose poesie sia in italiano che in dialetto.
Tra le prime non possiamo non ricordare “Tarantella per Supino” di Libero De Libero (Supino, 11 agosto 1979): Supino Supino aprimi la porta / c’è una ragazza che mi morde il cuore / e rubo le penne al suo guanciale / supino Supino mettiti a correre / per quel ricciaro di stelle a tarantella / appendo la bandiera della luna / all’alba ridarella dei castani / mi chiama la tua voce mi chiama / col fazzoletto ricamato da un pulcino / l’oboe non se ne andrà dei tuoi canti / nel concerto degli occhi ballerini / amici degli inchiostri e del tuo vino
sono la tua colomba pellegrina / nelle tue braccia l’edera è già nata.
Ed ancora “Lode a Supino” e “Paese mio Supino tra le Colline” di Devio Barletta (Amo il tuo superbo Monte Gemma, / il verde intenso delle colline / che ti circondano, / le chiare e fresche acque / del “Pisciarello”…), “Supino” di Maria Caprara Ruzza, “Campanile del mio Paese” di Edoardo Cerilli. Tutte queste poesie si possono leggere in https:////www.comunesupino.it/sito/pagine/storia/cultura/cultura.htm.
Su questo stesso sito anche le poesie in dialetto di Ernesto Carbonelli “La cronaca dugli statuti”, datata Primo Agosto ’91, articolata in quattro sonetti “Pu Cumenzà…” (Da banni i manifesti pubblicato:/Munate tutti, gli’hanno rupurtato! / Gliu libro “Gli Statuti” dugliu paeso / A rumunutu a esse supineso! / Na cerimonia degna du signori: / Guardie i carabinieri a fa gli’onori, / gliu sindoco, onorevole i comitato / staranno alloco quando vè rudato! / Gliu sindoco cuntento ha dichiarato:/ mo ca gliu libro a stato rupulito, / i appena si gli simo aracchiappato, / gli rumittimo dentro ’gliu comuno, / d’andò trent’anni fa ci’aveva scito, / oggi: Primo Agosto ’novantuno), “La Runtrata” (S’arancuntrimo atter’a San Bastiano. / Tutti vustiti a festa i da cristiano:/sindoco, assistenti i consiglieri/guardie du municipio i carabinieri. / Su mittono a stirà certi’ orghinetti, / cu ciocie, cu pannelle i gli murletti, / sti ciociaritti cu stu ciociarelle, / fanno zillà lu crespe allu unnelle. / Doppo la messa, la predica i raziona, / su mittono a sunà ddu’ ciufulitti, / ca raluma ci scappa: è cummuziona! / Agliu communo su fanno i discursitti, / na firma, stimo alla cummortaziona, / attrippati, su nnu imo zitti zitti!), “Pulla Via du Santa Sarena” (Lu tromme ’gliu giudizio ’niversalo, / pareva du sentì attera agli Casalo. / I fin’ancima pu gli Punnucali, / gli corni che sonenno agli Canali: / Cumenza Carlo dalla mani ritta, / la musica rucrescia, su sta zitta, / l’aracchiappa Guelfo alla mancina, / rabbomma cugli lagni i s’abbutina; / su senta, mo, pu tutta la vallata, / accumpagnata da nu corno alpino: / s’aizza an’ celo commo a ’na fumata, fa sdrelegà lu frasche du lucino… / dicia la genta a vocca spalancata: / Ddò, avéta che su senta pu Supino?!) “Pu Funisce…”;  “Gli’Allimalo (cioè l’uomo, da quando Caino uccise Abele. D’allora tir’annanzi a stà manera / Cummatta culla genta, fa la guera, / Cu gliu ’nteresso tu fa a curtellate, / Cu poca tera va fà a schiupputtate. // Pu gliu partito i pu gliu cannarilo / S’abbrucess’accommo a nu stuppilo. / Su creda n’omo quanto ci paresse, / Più bestia d’accusì nun’ci pò esse!). Ancora l’uomo, peggio della gramigna, “La Ramigna…” (Ci stà na guera tra i chiericali / i chigli dullo scenzie naturali: / chi dicia culla fanga gli’ha criato, / i chi ca ’na scignozza gli’ allattato./ Vè dalla fanga, mica dalla scigna / purch’è cattivo ’comm’alla ramigna! – scritta a Toronto nel 1989); si può discutere (Chi dicia culla fanga gli’ha criato, / I chi ca ’na scignozza gli’allattato). Ma secondo il poeta: Vè dalla fanga, mica dalla scigna / Purch’è cattivo ’comm’alla ramigna!). Infine due cardini fondamentali dell’alimentazione ciociara “Lu Vino” (vedere in Antologia e “La Pulenta” (vedere nella sezione Gastronomia).
Ernesto Carbonelli, che è anche autore del volume di poesie in dialetto supinese La rava allu frisco e Fieno secco poesie in italiano
Angela Ruschielli ha dedicato nel 1991 con il libro L’Emigrante “una bella retrospettiva poetica in un “ibrido” dialetto supinese che ripercorre le tappe dell’emigrazione attraverso aneddoti, storie di saggezza popolare e del vissuto quotidiano e che ha un suo valore antropologico anche al fine di studiare la trasformazione degli idiomi oriundi “contaminati” con il lessico della terra ospitante. (presentazione di D. Cerilli, Ceccano, Bianchini, 1991, pp. 48). La lingua usata, consapevolmente non è l’italiano “puro”, nemmeno è dialetto supinese “puro”; si potrebbe addirittura pensare ad un linguaggio intermedio, scaturito proprio da una amalgama dei termini originali con quelli appresi nella terra straniera. I vocaboli, i termini usati, le espressioni in generale, sono facilmente comprensibili e costituiscono, senza dubbio, un … “italiano-paesano-statunitense”. Nello sviluppo delle tematiche pare avvertire una chiara punta di amarezza che si intreccia, comunque, agli stati affettivi dell’animo più sofferti e sentiti… E a questo si unisce anche il dolore degli stenti iniziali ed una sorta di attrazione-repulsione nei confronti del paese natio: meta sempre vagheggiata e additata come luogo depositario di ansie, di aspirazioni, di elevazioni; oppure come luogo che a volte non lascia emergere e che in un certo senso… emargina.
Dice nella prefazione Angela Ruschielli: ho dato alle stampe piccole storie che mi raccontavano i nonni, mio padre, ed i paesani emigrati da Supino. I loro ricordi erano così interessanti che, pur non pensando di doverli scrivere, sono ora contenuti in questa raccolta, la quale, dunque, vuole conservarli per il futuro. (…) il motivo che mi ha spinta a pubblicare questo lavoro è la gratitudine e la riconoscenza che provo per mio padre, Giusino Caprara (…) festeggiato in Supino come il più anziano degli emigranti viventi, nell’agosto 1990. E “Gli primi emigranti (circa 1900)” è il titolo della poesia che proponiamo in Antologia
“Munno pazzo” (in Antologia) è una delle più significative poesie di Devio Barletta che ha attirato su di sé quest’attenta disamina e l’apprezzamento del prof.Francesco Boni Università di New York:
“Un’esclamativa ed ardua sentenza dall’inizio della poesia ci fa subito consapevoli dello stato d’animo del poeta. Il mondo è cosi cambiato per il peggio che lui sente di non farci più parte. Infatti, per lui, il mondo è diventato pazzo. Quindi egli contrappone al presente ‘munno pazzo’ una rievocazione malinconica e nostalgica del senso di naturalezza, spontaneità e fraterna amicizia, come ad esempio ‘su purteva gliu rucunzolo pu Zi Peppo’, della comunità supinese con attività di adulti e giuochi di ragazzi. Il giuoco che merita un richiamo più degli altri, poiché se non si è supinesi non si potrà certo comprenderlo, è ‘Girolomo iescia sulo’. Se ci atteniamo solo al significato di questa frase in se stessa è del tutto insufficiente per spiegare il giuoco nella sua interezza. Non solamente Girolomo può uscire solo, ma a volte con tutta la sacra famiglia; ed a volte può anche inviare fuori solamente uno dei figli. Quindi il significato della frase richiede più d’una spiegazione. Riguardo ad altri giuochi, attività e luoghi si possono apprezzare con meno difficoltà rispetto alla lingua vernacola e partecipare a quel senso di ‘contentezza’ che da loro emerge. Inoltre, la ricordanza religiosa più importante è quella della festa ‘du Catallo’. Ora a questa pratica e salubre vita del paese, o analogicamente a quel ‘Sabato del villaggio’ leopardiano in vernacolo dove si sente nell’aria un brusio allegro per l’animazione di attività e giuochi, e dove il camposanto di Supino ‘puffino gli fiuri finti tenenno gliu prufumo!’, il poeta contrappone il mondo d’oggi. Lo descrive  come una Babilonia, una confusione in tal maniera che tutti i valori supinesi che umani sono stati corrotti, travisati e degenerati. Questo stato deplorevole e smisurato è espresso con la parola ‘zzazzauglia’.”
(Il termine ‘zzazzauglia’, su cui si diffonde a lungo nel prosieguo del suo commento il prof.Francesco Boni va inteso sia come “Confusione di linguaggio, come la vecchia Babilonia della Genesi” che come “un’infima melma dove i Supinesi ed il resto del mondo vivono oggi in un modo snaturato, smoderato, smisurato, degenerato e cosi via in una parola, è un modo di vivere contro natura. Qui la gente non solamente ha perduto il ben dell’intelletto, ma il ben di vivere con naturalezza, spontaneità ed amicizia”).
Devio Barlettaè presente anche in Poesie ciociare. Letture Ferentinati, Pro Loco Ferentino, 1997, pp. 10-11 con le poesie “La sorica” e “La Matonna Lurito” dedicata ad un’antica chiesetta),
È nato e risiede a Supino. Ora in pensione, si è sempre dedicato alla poesia in dialetto ed in lingua. Instancabile animatore di concorsi e gare poetiche, a sua volta ha partecipato con ludinghieri successi a moltissime rassegne di poesia provinciali, regionali e nazionali.
Un testo di Roberto Ciaschi “Voglio ulà” è presente  inPremio di poesia dialettale lepino-ciociara Attilio Taggi terza edizione 2003, p. 29: Arrapro l’ali i volo / verso iù solo / che cocia accomo lu foco. // Correnne più forte de iù vento / fino a rumanì senza rufiato, // marraggiro a commo na foglia / che cada da n’albero a iautunno. // arrapro iocchi i l’ali nu tenco più / è stato nu sogno.
Citiamo infine: Girotondo di poesie dialettali, Scuola elementare Supino “Capoluogo”, Anno scolastico 2003/2004, classi Va e Vb
In Settima Rassegna di Poesia, autori Vari, Supino 2009 figura una poesia di Sebastiano Ancinelli e Marco Erdos – classe V intitolata “Filastrocca a Supino”. Dopo aver descritto le bellezze del luogo un ammonimento “pu chigli grossi”: ca sta natura cialla tennata lassà / ca quando simo grossi nui / ’ntenimo manco nu posto pu icci a ruposà. / Sta natura sa la tenima mantenè / ca agli figli nostri che ce faimo udè? / Quattro rave arangriccate, / quattro zippi sicchi / i lu funtane can un pisciono più.
Da un articolo di Franco Caporossi in “Cronache Cittadine” ANNO XVI N° 34412 GIUGNO 2005 titolo: Poesia a Supino, la natura racconta… / La cultura lepino-ciociara nella III Rassegna curata dall’Associazione culturale “Poesia tra le Note”, apprendiamo della presenza a quella rassegna di un folta rappresentanza di poeti di Supino tra i quali: Antonio Agostini, Enrico Battisti, Patrizia Bernardi, Franco Bonanni, Maria Caprara, Dante Cerilli, Eraldo Cerilli, Silvano Coletta, Serenella D’Alessandris, Paolo Fiaschetti, Domenico Marzaroli, Elio Torriero.
Altri poeti supinesi citati fra i partecipanti alla quinta rassegna di poesia Versi di solidarietà a Supino in https:////www.cronachecittadine.it/ArchivioCC/389int/Pagina6.pdf: Vincenzo Amato, Rosa Boni, Geltrude Borgetti Belli, Raffella Capodiferro, Vincenzo Ceccamo, Silvana Coletta, (o Silvano?), Biagio Congedo, Domenico Di Stefano, Chiara Foglietta, Gianna Formato, Evelyn Labasi, Aurelio Mazzaroppi.
Tra i poeti di Supino, anche se in lingua, ricordiamo inoltre Sergio Zuccaro e Gloria Rossi scrittrice e poeta in italiano di Supino ha un suo sito www.gloriarossi.it
In Poesia a Supino (Autori Vari) a cura di Devio Barletta e Dante Cerilli sono presenti testi in italiano dei poeti supinesi: Anna Rita Fracassa, Renato Santia, Eligio Vespaziani.
In un video (https:////www.youtube.com/watch?v=jwIs4WVYvFg) SUPINO – POESIA TRA LE NOTE[C0006372].mpg Caricato da cinziavalentina in data 04/apr/2010 Valentina Ferrante Extratv Intervista Renato Santia – Supino, Poesie Tra Le Note 2009
 
 
Antologia
 
ERNESTO CARBONELLI
 
 
Lu Vino
 
Gliu fiaschitto cullo vino,
Nu bicchiero sempre piino
Ca ogni tanto su sbacanta,
Nun tu piega i nun t’ancanta.
Quando tei che bicchiero,
Pensi d’esse pu’ ddavero,
Fort’a’com’a’nu montono
Cu gliu coro du leono.
Ma gliu uorgio su ruscalla
I la menta tu traballa,
Tu fai n’atro bicchieruccio
I tu senti pecuruccio.
Mo gliu capo nun’t’areggia,
Areggennete a’nna seggia
Tu funisci gliu fiaschitto…
I’ddiventi purcillitto!
 
 
DEVIO BARLETTA
 
Munno pazzo
 
Accommo si cagnato munno pazzo!
’Na ’ota giuchemo a pirupulocca,
a mazze i lippi, a Girolomo iescia sulo,
ficchemo gliu zippo a n’culo alla firufuzzella,
faciemo a nascunnarella
partenno da “Ciccamagna” lu barchette du carta
mettemo lu rete a gli passarotti
allu ’rotte la “Puzzolana”
aspettemo la serata la tuana pu rappinicasse
alla coda ranturcigliata dugliu porco
s’attrippemo du pulenta, vallini, callaroste
I lu curie caccenno, la lampa…..
Addurenno du cuntentezza!
Su festeggeva la nascita du Catallo
su purteva gliu rucunzolo pu Zì Peppo
a camposanto puffino gli fiuri finti
tenenno gliu prufumo!
Mò nù n’zù capiscia più gnente!!!
Magnimo l’anzalata “cernobilla”
bevimo lu vino “metanolo”
cu ’na nottata crescia gliu carciofo
I s’addricca gliu citrolo.
Munno pazzo….. quanta zzazzauglia!!!
Ma si proprio campanaro
nu’ n’zenti ca la gente taruglia?
 
 
ANGELA RUSCHIELLI
 
Gli primi emigranti
 
(circa 1900)
Parremo da Supino tutti a gruppi.
Supino, Napoli, Nova Iorka.
Appena sbarcati da gliù legno
Ci portevono a la Batteria.
Alloco tutti parlevono
Ma niciuno su capiva.
Su guardemo anfaccia uno a gliatro
Nu vedemo n’anima che conoscemo.
Presto, presto simo visto
Ca quando all’America simo addutti,
Ogn’uno per se, i Dio pu tutti.
Ecco che arrivono gl’appaltitori
Offrendo a nui emigranti vari lavori.
Nu mettevono dentro vagoni du ferrovia
Pu giorni i giorni gliù treno fileva.
Niciuno a nui diceva ando su ieva.
Quando arrivemo andò ci portevono
Gli lavori non manchevono.
Ferrovie, industrie du ferro,
Costruzione, stradoni,
Sotto comando du severi padroni.
Nui zappemo forte i tiremo avanti
Senza laminti e senza pianti.
Pericoli tenemo sempre attorno;
Giornate longhe – i puro a turno –
Sedici ore gliù giorno pu nu scudo.
Pu d’avero, era nu munno duro.
 
 
Cenni biobibliografici
 
Devio Barletta È nato e risiede a Supino. Ora in pensione, si è sempre dedicato alla poesia in dialetto ed in lingua. Instancabile animatore di concorsi e gare poetiche, a sua volta ha partecipato con lusinghieri successi a moltissime rassegne di poesia provinciali, regionali e nazionali. Figura anche in Poesie ciociare. Letture Ferentinati, Pro Loco Ferentino, 1997, pp. 10-11 con le poesie “La sorica” e “La Matonna Lurito” dedicata ad un’antica chiesetta),
Ernesto Carbonelli è nato a Supino. Nei primi anni Sessanta del Novecento è emigrato in Canada. È autore di La rava allu frisco, un libro di poesie in supinese, e Fieno secco, un libro di poesie in italiano, oltre a Eroi e vittime dimenticati. Supino 1944. È un attivo protagonista della scena comunitaria e culturale in Ontario. Infatti è vice-presidente del Club Socio-Culturale Supinese di Toronto e cura una interessante e aggiornata website: www.supino.ca.
Angela Ruschielli ha pubblicato nel 1991 il libro L’Emigrante.
Roberto Ciaschi poeta di Supino “è presente  inPremio di poesia dialettale lepino-ciociara Attilio Taggi terza edizione 2003, p. 29.
 
Bibliografia
Pietrandrea, Lorenzo, Lingua scordata, glossarietto supinese, Le Ortelle 2003 (dizionario)
Munno pazzo, Devio Barletta
Ruschielli Angela L’ emigrante; presentazione di Dante Cerilli, Luogo di pubblicazione non indicato – s. n. 1991 (Ceccano – Tip. Cav. M. Bianchini & figli)
Poesia a Supino – Chiesa di S. Nicola 25 aprile 1992 – quinta rassegna / a cura di Devio Barletta, Dante Cerilli, Supino – Comune di Supino, 1992 ; Tecchiena di Alatri (FR) – Edi.Graf
Poesia a Supino – quarta rassegna – Chiesa di S. Nicola, 25 aprile 1991 / (Autori vari ; a cura di Devio Barletta ; introduzione di Dante Cerilli) (Luogo di pubblicazione non indicato – s. n., stampa 1991 (Tecchiena – Eda.Dac ’90, (Frosinone)
 
 Webgrafia
https:////www.supinonline.it/scrittori.htm
https:////www.supino.ca/Vernacolo.html
https:////www.supinonline.it/
 https:////www.comunesupino.it/sito/home.html
 https:////www.comunesupino.it/sito/pagine/storia/cultura/emigranti.htm