[GIUGNO 2019] Sulla scia degli inseparabili, poesie di Roberto Soldà, prefazione di Luigi Bressan, Roma, Edizioni Cofine, pp. 80, ISBN 978-88-98370-48-1, euro 18,00.
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dalla Prefazione di Luigi Bressan
Nel cuore scarlatto dell’Anthurium
Nelle “Due note dell’autore” è lui stesso a facilitarci la lettura e la comprensione del testo, suddiviso in due parti secondo la lingua: l’italiano e un dialetto veneto “ibrido”, a partire dal dato generale del “connubio tra scienza e poesia” per quanto riguarda essenzialmente la lingua della cultura, degli studi, della scuola.
Si tratta certo di ricorrenze lessicali, che acquistano “valenze multiple” e “valore evocativo”, ma va sottolineato il fatto che il poeta ne parla con sorpresa, riconosce un “mistero” nei significati, scoprendo già in questo la radice della sua poesia. Roberto Soldà è un chimico, ha insegnato questa disciplina, ma il dato curricolare può valere soltanto come premessa a una pratica rivelatrice, che include già una valenza “letteraria”. Essa abbraccia però un campo culturale vasto, direi di concezione umanistica, ma si rivela nel contempo sensibile alla “bellezza della matematica”, di cui parlava Dirac, che può essere facilmente estesa alla fisica (semplicità, eleganza, bellezza – già di per sé una poetica – della formula eisteiniana della relatività ristretta E=mc²) e alle “forme e figure” della scienza in generale.
Il fatto che Soldà abbia mantenuto un laboratorio domestico, privato, senza scopo di lucro, per proprie esigenze di sperimentazione e ricerca, appare oggi inconsueto e offrirebbe materia allo stereotipo del chimico d’altri tempi in camice bianco tra matracci e alambicchi, di lontane ascendenze alchemiche, mentre in realtà testimonia la stoffa dello studioso autentico.
Infatti il Nostro ha documentato la sua attività teorico-sperimentale in una serie di articoli, relativi a esperienze e ricerche in didattica della chimica, prossimi alla raccolta in volume. Spiccato è il suo interesse anche per la fisica, non solo per le attinenze con la chimica, ma in generale e per la fisica delle particelle, interesse corroborato da ampie letture e con un occhio sempre attento alle novità. Del resto, Roberto Soldà è un lettore “generalista” curioso e, per quanto schivo, sempre disposto a confrontarsi sui più diversi argomenti del sapere.
Le poesie della seconda sezione sono il risultato di un approdo recente, dovuto anche alla conoscenza della letteratura, della poesia dei dialetti. Il poeta ha ripreso contatto gradualmente con l’idioma dell’infanzia, dell’adolescenza, riallacciando le fila del tempo negli spazi d’una memoria pacificata.
Ma il chimico poeta è anche pittore. Nonostante egli estenda ad ogni campo l’autoqualifica di semplice sperimentatore, anche in questo le sue conoscenze e le sue tecniche non sono meno affinate. In effetti quest’ultime si appellano alla contaminazione, all’uso dei materiali più disparati (plastica, corteccia, frammenti di cd, vegetali, fili ecc. con risultati decisamente materici) la sua produzione è molto abbondante, in genere coloratissima (colori “chimici”) e dominata dall’horror vacui, un dominio su cui ritornare per ripartire incessantemente.
[…]
Quasi tutti i testi “scientifici” sono corredati di note, volte a chiarire termini di stretta attinenza. Vi compaiono il bosone di Higgs, la fusione fredda, l’azulene, il neutrino ecc., fin dai titoli, o nel corpo, talvolta con effetti di qualche sorpresa, come “ossigeno singoletto / ossigeno tripletto”.
Nel testo “Poesia resistenza passiva… attiva” c’è compenetrazione di significati e la nota diventa una dichiarazione di poetica citando Charles Simic. In “Granito”, pur voce di dominio comune, si prosegue con una quantità di dati specifici e con la citazione di un altro noto poeta, Jean Gelman. Con “Inniò” viene ripreso un titolo di Pierluigi Cappello, poeta personalmente conosciuto, e analizzato il principio di non località.
Insomma, in tutta questa sezione la novità è data dal modo di trattare i termini e i concetti scientifici, non come mere esperienze di nominabilità nell’ambito della poesia, tanto meno come esperimenti ludici, sì invece come intima necessità del dire. E questa, nelle altre poesie in italiano, come in quelle in dialetto, col significato su adombrato, si svolge prevalentemente dalla parte dei sentimenti, dei ricordi, dei sogni, ma con lo sguardo che li riassume nella consapevolezza del presente: il tempo, certo, ma soprattutto le “cose”, di sempre, del quotidiano, del mondo, dell’anima, osservate come portatrici di valore, degne perciò di rispetto, anche e soprattutto nel momento in cui si studiano, s’indagano, si scoprono, si dicono: “Vorrei scoperchiare il cielo per trovare / chi respira di nascosto / là dove non c’è timore né tremore. / Così contavo di poter trovare tutte le ragioni latenti / nel cuore scarlatto d’anthurium / tenendole strette tutte insieme in un grande mazzo. / Sono anni che m’alleno a darmi risposte, / un atomo – quante volte ho insegnato – / è formato da tanti strati. / Ed io, tu e tutti, proprio tutti, / di quanti strati siamo fatti?” (Cuore d’anthurium). La concezione del tempo è subordinata a una “presenza” a sé e alle cose come ancoraggio, resistenza vitale: “Il tempo è fuggito tanto veloce / che l’animo non è riuscito a invecchiare. / Così dipingo di rosa la nebbia / e tutto mi sembra illuminato. / Il silenzio mi respira accanto, m’avvolge / s’inerpica, sale nello sbuffo / delle gocce di pioggia là in alto / intorno al lampione malato.” (Andando per foglia).
Queste citazioni, scelte nei limiti concessi a una breve nota d’apertura, possono valere come promessa di un dire intimo, intenso, come invito al lettore a percorrerlo proprio con tranquilla attesa di scoperta.
Così nella breve lirica “Natura”, che qui si dà per intero in italiano a mo’ di conclusione (per il dialetto rinviando al testo) le cose, lo sguardo che le fa esistere, vivere, è la stessa luce che ne coglie, o ne determina, impercettibilmente, il mutamento:
Natura
Una piccola cuccuma di rame
un po’ malandata seduta
vicino a un bicchiere rotto
e a un grappolino di uva bionda
hanno rubato il sentimento e gli occhi
della figlioletta di Roberto pittore.
E ora anche lei
li vuole immortalare:
così una foto scatta
con il suo cellulare.
Codroipo, 28 febbraio 2019
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L’AUTORE: Roberto Soldà è nato a Musile di Piave (VE) nel 1942 e, dal 1972, risiede a Codroipo (UD). Laureato in Chimica all’Università di Padova, si è dedicato all’insegnamento di tale disciplina nella Scuola Media Superiore fino all’anno 2003. Tuttora scrive articoli sulla ricerca nella Didattica Chimica, che continua ad appassionarlo. Ma, accanto alla passione per l’insegnamento e la didattica, ha sempre coltivato l’amore per la poesia, la letteratura e la pittura, perché gli ha permesso e seguita a permettergli di realizzare ciò che lo psicologo americano Maslow definisce il bisogno di autorealizzazione di ogni persona. Ha tenuto alcune mostre personali e ha partecipato a diverse esposizioni collettive. Ha ottenuto riconoscimenti sia nell’ambito della pittura che in quello della poesia.
Nell’ambito della poesia ha pubblicato: Le stagioni del calicantus (Udine, Campanotto Editore, 1986); In cucurbita d’alambicco (Udine, Campanotto Editore, 2011); Sempreverde d’alloro (Arezzo, Edizioni Helicon, 2014) e alcune poesie in riviste, antologie e on line.
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Cuore d’anthurium
Sdraiato in mezzo ad un prato
con le braccia dietro il capo,
così quando sto con me
come una volta il più delle volte
sono già uno di troppo
e in non buona compagnia.
Ho saltato a sorpresa tanti anni
cercando d’inseguire nel carminio-azzurro
il movimento bizzarro delle nuvole vagabonde.
Vorrei scoperchiare il cielo per trovare
chi respira di nascosto
là dove non c’è timore né tremore.
Così contavo di poter trovare tutte le ragioni latenti
nel cuore scarlatto d’anthurium,
tenendole strette tutte insieme in un grande mazzo.
Sono anni che m’alleno a darmi risposte,
un atomo – quante volte ho insegnato –
è formato da tanti strati.
Ed io, tu e tutti, proprio tutti,
di quanti strati siamo fatti?
Le onde accarezzano la barca dei pensieri,
stanotte anche la luna ci spia di sottecchi.
Infine t’ho vista, t’ho scorta sotto un’alga,
t’eri nascosta nel tuo piccolo cosmo antico.
Al volo la mia ondata di piena
voleva acchiapparti.
Ma chi ama non deve osare.
Ho letto le e-mail e i like che ha ricevuto il tuo post.
Non so se anche l’amore, ma tu sì eri la mia luce blu
oltre il vetro della mia finestra.
Dove c’era il fumo del comignolo rosso,
che tu bambina hai disegnato nel tuo album,
ora floccula sul sentiero bianco
un accordo sinfonico di ceruleo viola.
Voglio restaurare con la mano dell’anima
il viso dei ricordi,
voglio svuotare la decrepitudine
di questo mio essere nessuno.
Ogni traccia deve portarsi via
il vento caldo di scirocco.
Seguo la linea della vita
nella parte interna della mia mano destra.
T’amerò ancora come amo i germogli
di frumento appena nati e tutti schierati sul campo
verde smeraldo per il nuovo gioco.
Sgranerò ad una ad una le pagine
per ritrovare la tua voce nel mio diario.
Forse nel cuore scarlatto d’anthurium
troverò le ragioni del mio cuore.
«Mangiano di furia… dormono della grossa…
– Vi faccio cambiar pelle come i bachi – ci gridava la nonna…»
L. Bianchi*
Andando per foglia
Il gelso piantato nel giardino
ha fatto fuggire velocemente il tempo:
i bachi sono tornati.
In quell’aria ricca di voli,
aria da curato di paesaggio astratto,
salgo a due a due i pioli della scala,
provo a plasmare con il fango
statuine viventi per l’imminente presepio.
Con le briciole m’accingo
a confezionare le primavere passate
per impreziosire cose di poco conto.
Il tempo è fuggito tanto veloce
che l’animo non è riuscito ad invecchiare.
Così dipingo di rosa la nebbia
e tutto mi sembra illuminato.
Il silenzio mi respira accanto, m’avvolge,
s’inerpica, sale nello sbuffo
delle gocce di pioggia là in alto
intorno al lampione malato.
Sono il muschio di velluto
per un sentiero di carta da pacchi,
sulla corteccia e sull’erba scavalco il cancello,
quel nastro bianco è di neve,
non di percalle.
In un porto sicuro va a gonfie vele
il turbine dei pensieri cinabro.
Mescolo il freddo con il caldo, la tazza
si dà pace, ritorna il vintage.
M’arrampico sulla parete verticale
nella compulsione del passato presente.
Arrivata la notte, a bordo della luna calante
inseguo la linea del firmamento.
Ho acceso un cerino,
il cuore non fa una grinza.
Forse un filo di speranza può
un cirro ancora diventare – io osservo.
Già – tu mi rispondi – già, mio caro,
talvolta anche guardando indietro
più oltre avanti si svolta.
* Luisito Bianchi, La messa dell’uomo disarmato – un romanzo sulla Resistenza, Mondolibri S.p.A. Mondadori, Milano 2004.
Natùra
Na cogométa de rame
on fià magagnàda sentà
vissin a on bicèr crepà
e a on rajòt de ua bionda
i gà robà el sentiment e i iòci
dea fijoèta de Ròber pitòr.
E adès anca ea
la vòl imortalàrli:
cossì ’na foto scàta
con el so celulàr.
NATURA – Una piccola cuccuma di rame / un po’ malandata seduta / vicino a un bicchiere rotto / e a un grappolino di uva bionda / hanno rubato il sentimento e gli occhi / della figlioletta del pittore Roberto. / E ora anche lei vuole immortalarli: / così una foto scatta / con il suo cellulare.
Còe de radicio
Anca àncuo
gò còrso tant
come se gavexi ancora
i piè con le pònte a sfera
desmentegando che àdes
le me gome xè squasi
sempre par tera.
Cossì pian pianin
anca stasera
la luce sbiadixe in sienxio
drio el muro
senza savèr chi e parché
me gà laxà questo zést
de còe de radicìo.
Non come quea ’volta
che me mama
la gà laxà il zést
con le còe de radicìo
par portàr de corsa
mi picinin in salvo
dentro un fosso suto
parché Pipo quea sera
jera tornà a visitàrne
un fià prima del soito.
RADICI AMARE – Anche oggi / ho corso tanto / come se avessi ancora / i piedi con le punte a sfera / dimenticando che ora le mie gomme / sono quasi sempre a terra. / Così piano piano /anche stasera / la luce sbiadisce / dietro il muro del silenzio / senza sapere chi / e perché mi abbia lasciato / questo cesto di radici amare. / Non come quella volta / che mia mamma / ha lasciato il cesto con le radici amare / per portare me piccino / di corsa al riparo / in un fosso senz’acqua / perché l’aereo Pippo quella sera / un po’ prima del solito / era tornato a visitarci.