Ci sono cose nella vita inseparabili, e non appaiono tali, finché non li svela la Poesia: suono e senso, colori ed emozioni, Scienza e Filosofia e, nel caso di Soldà e del suo libro, Scienza e Arte, in particolare, Poesia. “E il fanciullino/ non è il Potassio quaranta/ che a nascondino/ con i suoi timidi neutrini/ gioca ogni giornata:// Fanciullino è ancora/ il suo cuore/ che indomito amora.” Il lunghissimo tempo di dimezzamento della radioattività del Potassio 40, è l’esempio di una “eterna fanciullezza” – certo nell’accezione pascoliana – che vive in realtà in un cuore che non smette di amare, anche in un “vecchio arrugginito”; che ha “saltato a sorpresa tanti anni/cercando di inseguire nel carminio – azzurro/ il movimento bizzarro delle nuvole vagabonde.”
Come pittore, Soldà sa bene che carminio ed azzurro formano il violetto; ma il carminio deriva dall’essiccazione di un insetto, quindi è un colore naturale, mentre l’azzurro di Berlino (blu di Prussia) deriva dalla reazione chimica di un sale di ferro e di ferrocianuro di potassio. Dunque, “sulla scia (cercando di inseguire) degli inseparabili” (chimica e natura): perseguire un sogno, “il movimento di nuvole vagabonde” vuol dire coniugare scienza e natura, alchimia e zoologia. Il blu e il rosso, ricorrono frequentemente nella sua poesia: blu del cielo, rosso del cuore d’anturium, metafora del cuore che mantiene la capacità di amare, ma anche “blu pavone” e “rosso melograno” – inseparabili negli omologhi “dei cristalli/ che mai più hai visto e trovato”
Ora che il poeta invecchia, gli “è difficile/ trasformare il pensiero in azione”; difficile “semplificare” perché il “pensiero debole…con i neuroni si trova un po’ spaesato” (Déboe xè el pensiero…ma coi neuroni el se xè càta/un fià spaesà). Ciononostante egli riconosce che “basso basso sì, ma si può/ si deve ancora volare” e quel “si deve” di vago suono beethoveniano, poggia sul “si può” , la possibilità, a sua volta fondata sull’aver, un tempo, trasformato le voglie con i colori delle foglie per colorare i sogni, in un mutamento non solo emozionale, poetico, ma operato pure dall’anima della matita, la grafite composta di tanti fogli di grafene, utilizzato come superconduttore nei nostri devices. Ecco ancora “gli inseparabili” : colori- sogni, tratto analogico (matita) – tratto digitale (grafene)!
Dal blu delle Notti blu, all’azzurro del nastro che lega il mazzo degli anni veloci; tra lavoro e gioco, si svolge la vita, coltivando “come fiori meravigliosi/ le domande sul senso/ di ciò che abbiamo vissuto e viviamo…nell’orto caldo del cuore”; mentre “Orme non lascia il pensiero/ e gli anni arano i cieli della mente”; accorgendosi che “Anche la bellezza ha le sue imperfezioni” perché “la stella blu” nella notte di velluto blu era “forse quel nostro sorriso stringato”.
E così, vedendo che il falcetto si è affezionato al colore rosso della ruggine, si può imparare, ci dice Soldà, il paziente rispetto delle cose: lasciare che le margherite filino coi fili d’erba (al ròs dea ruzene/ se zé fezionà./…lasàr le margarite e le vioe/ coi fili d’erba filàr.)
Ancor più, indossando la veste del dialetto – la lingua del padre e della madre – è necessario agire le parole, che sono talvolta cavai màti (cavalli pazzi), creando la magia della realtà che si mescola al sogno, sicché “l’acqua del canale/ ti spiattella una gamma di colori/ e sa perfino cantare” (l’àcoa del canal/ te spiatea na gama de color/ e la sa parfìn cantar). Si vive una nuova stagione, tornando da dove si era iniziato, come nella suggestiva scena finale del film “2001 Odissea nello spazio”, che certamente l’Autore conosce.
Perché la vita è compresa tra il bambino che soffia nel palloncino per gioco, e l’adulto che gonfia il palloncino per “mestiere” per dimostrare una realtà che ci trascende: ma entrambi ignorano se quel palloncino scoppierà o volerà in alto, consapevole l’uno, ma non l’altro, di una fisica “relativa” dell’infinitamente grande e di una “teorica” dell’infinitamente piccolo: ricomposte in unità, da una “teoria del tutto” che in questa raccolta è la Poesia.
Granito
Sembra ieri
tanto tempo fa.
Niente va
tutto ritorna.
Dentro quella mia casa vuota
abbandonata nella campagna
ci sono ancora i muri
ma non la porta:
il vento è diventato padrone
Ora anche i merli avvertono
del granito la radioattività.
Ora solo il gelso è la loro casa.
Il cielo è un cerchio vuoto.
Nelle notti sempre aperti
sono gli occhi delle stelle.
La matita
È dentro il vento
non fuori
oggi a rilento
Non sono foglie
togliete l’effe
mettete la vu
e contate le voglie.
Contate
tutti i loro colori
quanti sono i fogli
dell’anima della matita
la delicata tenera grafite.
Con lei
– chi può contare le volte –
Avete disegnato.
E tutte le voglie
con i colori delle foglie
i vostri sogni
avete colorato.
Il sogno
Dono l’ultima rosa al vaso di fiori,
li conto sulla punta delle dita
ma non ne ho abbastanza
tanti quanti anni sono passati.
Anche se mi sforzo non ricordo dove
in quale fosso
gracidava quella nostra rana…
…E ora fischia ancora
fischia un raggio astratto
smarrito in groppa all’onda autunnale.
Forse sarà perché
quando s’invecchia è difficile
trasformare il pensiero in azione
e tutto ti sembra chiuso nella prigione del cervello.
A fare la burrasca non s’impara più
presto come una farfalla a volare.
Eppure basso basso sì, ma si può
si deve ancora volare.
Sono stanco di sentire parlare
della foglia che cade,
di les feuilles mortes…
…Come vela nel mare oggi mi sono ritrovato
io fiore di campo selvatico rinato…
…Ora vezzeggiano il cielo
sprazzi di cremisi.
Rintraccia la scomparsa
sui vetri di una finestra
una musica vitale di colori
Gioioso lo sguardo del sole
sulla vela si posa.
Compendio di elementi e complementi
Orme non lascia il pensiero,
gli anni arano i cieli della mente.
Le nubi alzano le vele,
navigano in duplice fila
mentre il tondo di rame
si butta nel mare e si mette a nuotare.
Il sogno diventa preda del vento,
corre veloce la sabbia verde nel doppio
ventre della clessidra.
Oggi le molecole
solitamente sobrie,
sono inquiete e rosse.
Nessuna, nessuna vuole
più rimanere calma.
Anche quelle più disciplinate
sembrano avere la febbre.
Non più in letargo è la reazione,
oggi ad eliminare l’aura della probità
basterebbe la scintilla della mia ansietà.
Anche la bellezza ha le sue imperfezioni.
Ogni mattino con le luci dell’alba
le imperfezioni si risvegliano.
Il cane solitario abbaia
invidiando la veste bianca della luna.
La rana malinconica non si stanca
d’animare il canneto.
Forse anche tu guardi in alto,
ammiccando alle imperfezioni.
Le imperfezioni sono bellezza
come quelle del mio vitellino
Angelino diversamente bello.
Che mio papà non si dimenticava
mai di adornare
dolcemente accarezzandolo.
Perché diceva che chi si dimentica
sarà dimenticato.
A capofit
Pòesar che anca tì come mì
non te gapia mai imparà a nodàr
però coalche ‘olta anca a tì
te sarà capità de tufàrte
a capofìit spacaàndote ‘a testa.
Par capir doe e coando sia stà
che te gà sbalià qualcossa
che adès non te te ricorda
ma te devi avèr mal fàt.
I xè insinuài drento
pròfondi come granèi de sabia sti rùmegoni.
In vioea blu pavòn
e scarlàt rosso meagràn,
come i albari dei cristai
che mai pì te gà vedù e trovà.
Ma poèsar che là doe oltre
un jorno te jeri e doe te tornarà
quel che te gà desmentegà el tòrne.
A capofitto. Può essere che anche tu come me/ non abbia mai imparato a nuotare/ però qualche volta anche a te/ sarà capitato di tuffarti a capofitto/ rompendoti la testa./ Per capire dove e quando sia stato/ che hai sbagliato qualcosa/ che ora non ti ricordi/ ma devi aver fatto male.// Si sono insinuati dentro profondi/ come granelli di sabbia/ questi rimuginamenti./ In viola blù pavone/ scarlatti rosso melograno/ come gli alberi dei cristalli/ che mai più hai visto e trovati.// Ma può essere che là dove oltre/ un giorno tu eri e dove tornerai/ quello che hai dimenticato ritorni.
Selexion
A volte anca par vivàr
non in cìel ma in tera
no basta aver
voontà de lavoràr.
Ai tempi de me papà
anca par lavorar a tera
no bastea savèr
usar be el falzìn.
Parchè la selexion
par lavorar a tera,
dopo ch’el fromento
jera stà tajà,
i paroni ea faseva
non fasendo falzàr
l’erba soi prà
ma la spàgna
o el strafhòio
in mèzo a ‘e strepole.
Selezione A volte anche per vivere/ non in cielo/ ma sulla terra/ non basta avere/ volontà di lavorare./ Ai tempi di mio papà/ anche per lavorare la terra/ non bastava sapere/ usare bene la falce./ Perché la selezione/ per lavorare la terra/ dopo che il frumento/ era stato tagliato,/ i padroni la facevano/ non facendo falciare/ l’erba nei prati/ ma l’erba medica/ o il trifoglio/ in mezzo alle stoppie.
Roberto Soldà è nato a Musile di Piave (VE) nel 1942 e, dal 1972, risiede a Codroipo (UD). Laureato in Chimica all’Università di Padova, si è dedicato all’insegnamento nella Scuola Media Superiore fino all’anno 2003. Tuttora scrive articoli sulla ricerca nella Didattica Chimica. Accanto alla passione per l’insegnamento e la didattica, ha sempre coltivato l’amore per la poesia, la letteratura e la pittura. Ha tenuto alcune mostre personali e ha partecipato a diverse esposizioni collettive. Ha ottenuto riconoscimenti sia nell’ambito della pittura che in quello della poesia. Nell’ambito della poesia ha pubblicato: Le stagioni del calicantus (Udine, Campanotto Editore, 1986); In cucurbita d’alambicco (Udine, Campanotto Editore, 2011); Sempreverde d’alloro (Arezzo, Edizioni Helicon, 2014) e alcune poesie in riviste, antologie e on line.
Roberto Soldà, Sulla scia degli inseparabili, Ed. Cofine, Roma, 2019
Maurizio Rossi
Pubblicato il 22 giugno 2019