SEZZE (Provincia di Latina)

Dialetto e poesia nei Monti Lepini

 SEZZE (24790 abitanti, detti setini). E’ posto a 319 m slm.

 

1. I vocabolari e le grammatiche
 
Da Il dialetto di Sezze di Luigi Zaccheo (Roma, 1976) ecco i termini di alcune parti de “Il corpo umano”, a cura della prof.ssa Flavia Pasquali Zaccheo:cipézza, (occipite), ciuriciùccola (la testa, si usa molto raramente), recchie (le orecchie), recchialo (il lobo dell’orecchia), froce (narici), pennazze (le ciglia), canasse (i denti premolari e molari), ignine (le gengive), cannarilo (gola, canna, esofago), sezzeleca (ascèlla), rigni (le reni), fritto (il fegato), ntréccia (l’intestino, budella attorcigliate), zizza (mammella), zizzòtto (capezzolo, la mammella degli animali si chiama zinna), ndriòle (le budella), ûiglicolo (ombelico), meuzza (stomaco), mazzo (il sedere, compresi i glutei, le natiche e l’ano), cutrizzo (l’osso coggigeo), pipo (pene), pipa (vagina; altri appellativi: la cella, la fregna, la cula, l’annasela, la fica, la soreca, la patacca, la spaccazza, la ’ntacca, la ciciotta, la pencia, la perchiacca, la tópa, la picchia), uto (gomito), puzzo (polso; pl. pózzera), cosse (le gambe), iamma (gamba), inucchio (ginocchio, pl. inòcchiera), ósso puzziglio (malleolo), pèto (piede), í ditiglio (mignolo sia delle mani che del piede), i’ ditóno (pollice e alluce).Dal Lessico dell’opera di Zaccheo selezioniamo: A bénda (a vanvera, senza senso), a fratta (modo di dire per indicare la vicinanzafra due luoghi o fra due persone), aggricciógli (brividi di paura), ammuccato (imbronciato, adirato), anfanzia (somiglianza, fisionomia), àpoca (contratto tipico di Sezze dicompra-vendita dei carciofi), artècima (sigaretta confezionata a mano con tabacco ecartina), assorà’ (prendere rnoglie, per le donne si usa maritarsi), azzeccà’ (salire lescale o un’altura), baócchi (ragnatela), blobbla (melma, fanghiglia, onomat.), cacaglia,  cacagliuso (fifa, paura, persona paurosa), càchino, càchini (caccole), càimà’ (pioverein modo fine e leggero), calandrella (piccola anfora di coccio con beccuccio), canagli (coppi di terracotta, tipici delle case di Sezze), cannarilo (gola, esofago), cannaruto (divoratore insaziabile), cànnela (la fontanella pubblica), càsola (mucchio dicovoni di grano, di forma rettangolare, sistemato in modo da proteggere le spighe conle gregne che fanno da tetto alla càsola), catubbe (strumenti a percussione costituiti dabidoni e da casseruole. La serenata con le catubbe si faceva in segno di scherno ai vedovi che si risposavano), caudiglio (persona dispotica. Dallo spagnolo), cèntra (la cresta del gallo), cernécchia (gomitolo di lana da filare), ciafrèlle, ciabatte femminili di poca consistenza), ciammaruca (chiocciola commestibile, c. gnuda, lumaca con corpo allungato e viscido, non commestibile, ciammòtto, ciarmottóno, chiocciole di mdimensioni più grandi e commestibili, ciammachèlle, di minuscole dimensioni e commestibili), ciaûaréglio (tipico pane di Sezze fatto con farina di granoturco e normalmente lievitato), cica (un poco, una piccola parte. Dallo spagn. chico, chiquito, piccolino), cicaròle (vertigini, capogiri), ciféglio, (grido accorato, pieno di dolore, disperato), cinetica (bambina che si muove di continuo, fastidiosa. Dal greco kinetikós), ciuccio, tipica pettinatura delle setine, che si attorcigliavano i capelli dietro la nuca, formando una protuberanza), crascia (saliva molto grassa, catarro), cunnula (culla per bambini), cùnsulo (pranzo fatto dai parenti o dai vicini ai familiari del morto), cusce (vestiti lunghi delle donne, che quasi toccano terra), fallóno (focaccia fatta con farina bianca, si fa appena la pasta è lievitata e si mangia caldo), fanfara (fame molto forte), fatìa, fatià’ (lavoro, fatica, faticare, lavorare; fatiato: amante del lavoro), fèlla (grossa fetta di pane, di prosciutto, taglio profondo fatto con un coltello sulla mano), fìcora, fico, (fico, fichi; le fìcora San Giovagni: di colore chiaro e si raccolgono per la festa omonima; le fìcora monache: i fichi più comuni; le fìcora sauci: più grandi del normale e molto dolci; le fìcora ûerdesche: di colore verde-rossiccio, si raccolgono a stagione inoltrata, i più gustosi; le ficoronchie: di forma allungata, di colore verde-rossoscuro; le fìcora occhicòtte: molto piccoli e assai dolci; le fìcora San Pietro: grandi, di colore scuro, si raccolgono nei giorni prossimi alla festività; i columbri: i primi frutti, anticipano di qualche mese la vera e propria maturazione; le fìcora bastarde
(sono le piante che si trovano sui muri vecchi delle case e sulla collina di Sezze), fulìme (fuliggine),
giobbaròlo (operaio giornaliero, parola íntrodotta durante la bonifica della Palude Pontina, deriva dall’inglese job), graspéglio (strumento per recuperare secchi caduti nel pozzo, formato da una corda con alla estremità: uncini rivolti in alto), ialà’ (sbadigliare, ma anche dare l’ultimo respiro: ha ialato), ìnzito (il frutto del castagno, dal lat. insitus, inerente, ingenito, che è dentro. Inzito bastardo, il frutto non commestibile dell’ippocastano. Camaróno, castagna grande selezionata, marrone. Causéglio, castagna molto piccola, commestibile), itticà’ (spaventare), làcchene (tipica pasta di Sezze fatta di farina impastata senza le uova. Molto gustose le làcchene co gli fasogli), lanca (punta della coda dei gatti), lòchi (cesso, fogna ricavata dalla parete di un muro sul tipo a madonnina, nel quale si gettava il liquame), luccicandrèlla (lucciola), luìna (seme delle zucche, dei cocomeri, ecc.), macèra (macera; più macère formano le sportèlle; terrazzamenti artificiali fatti sulla dorsale di una collina per ricavare terreno coltivabile), mandriglio (piccola costruzione di legno di forma rettangolare, sollevata da terra come su palafitte, destinata al maiale), mannà’ (fare la richiesta di fidanzamento ad una ragazza), Maria centopéchi (il millepiedi), màrina-màrina (piano-piano, es. ce ne sémo ichi màrina-màrina), màula (malva), mblumblo (quantitativo di acqua che si riesce a tenere in bocca, tenendo gonfie le gote), mu frà’ (caro amico, caro fratello, espressione di affetto verso un amico), ncalemàta (le ultime ore del pomeriggio estivo di caldo insopportabile), nfrocià’, ‘nfrociato (bere alla bottiglia direttamente senza bicchiere), ’nganiènne (cercare disperatamente qualcuno, gridare per farsi sentire e contemporaneamente camminare e cercare), ’nghiaccà’ (congiungere, unire, fare un tutt’uno, es: i cani si su ’nghiaccachi), nghiastéma, nghiastemà’, nghiastemato (bestemmia, bestemmiare, bestemmiato), nianza (interiezione, mi scusi, mi arrendo, quando i bambini giocano usano spesso il termine nianza per chiedere un attimo di pausa), nòmmera (soprannomi; m’hao ditto le nòmmera: hanno parlato male di me), ntósto (tipico pane di Sezze fatto con la pasta avanzata dalla lavorazione delle pagnotte), ólle (bollire), óso (voragine, grande inghiottitoio, famoso l’Óso della Variante), ottacòla (grosso grappolo di ciliege sapientemente intrecciato), papàmpino (papavero), pénnela (altalena, gioco infantile), picugna (tedio, senso di profonda noia e di grande stanchezza), pinnénchi (grossi orecchini di forma allungata), pinto, pénta (tacchino, tacchina), pipilà’ (agonizzare, respirare a stento, lamentarsi), pìpolo (lamento continuo con voce sommessa),  pizzénchi (semi di granturco abbrustoliti, quando i semi sono del mais di tipo americano, abbrustolendo, diventano grandi e gustosi, allora si chiamano signòre), prefazio (proverbio, detto popolare), pricòca (albicocca), quagliéro (il deretano), rancicanìro (ragno), réflo (il fucile, lo schioppo, dall’americano the rifle), sànnolo (grossa barca con il fondo piatto della Pianura Pontina), scafurno (capanna di paglia adibita a ricovero degli animali, presenta un ingresso più largo e più alto rispetto di quella abitata dall’uomo), scaggià’, scaggiato (essere vanitoso, fare mostra di sé), scuntérbo (strettoia tra la parete e il letto, sufficiente a far passare le coperte), sezzeleca (le ascelle, parte del corpo), sgrégne (smorfie, boccacce), Sibbòleca (i sepolcri, il Giovedì Santo i Setini vanno a visitare quelli allestiti nelle chiese), sicca (di più, ancora di più), spinamentosa (agave), spipilà’ (sollecitare a parlare, interrogare con astuzia), sprémeto (diarrea, dissenteria), stòccoro (cavalletta), stunzà’, stunzato (saltare, saltato dallo spavento), sullotróno (caduta col corpo disteso completamente per terra), taûèlla (raganella, strumento di legno sul quale battono due pezzi di ferro mobili che provocano un rumore continuo ed assordante, usato nella settimana santa), tutaruglio (torsolo della spiga della pannocchia), ûado (passaggio, ingresso abusivo in una proprietà recintata), ûammàna (levatrice), ûaûa (bava dei bambini o dei vecchi; ûauso persona bavosa), uccia (buio pesto), ûétta (una coppia di buòi o di muli. Si usa ûauglia da solo, riferendosi a una coppia di buoi), ûia de Roma (coccinèlla), ulimo (olmo), uma’ (si dice di un recipiente che lascia trasudare acqua o vino), ura (fiamma del fuoco molto forte), zanzia (rassomiglianza), zillósa (donna sporca, che si lava poco. Insulto che è rivolto alle donne), ziro (grosso piatto pieno di cibo), zurlà’, zurlato, zurla (agitare i numeri nel sacchetto della tombola).Da Sezze e il suo dialetto di Renato Sauzzi preleviamo: accalamarato (calamari,lividi cerchi attorno agli occhi per malattia, fatica o stanchezza), accuncio (corredodel neonato), accitrito (avvilito, scoraggiato), annuccatu (percosso).
 
2. I proverbi e i modi di dire
 
Da Il dialetto di Sezze, ordinati da Flavia Pasquali Zaccheo ecco una scelta modi di dire: Mo ti canto la pàmpena (ora ti aggiusto io!); Mi sento accomme a ’na ûigna rimossa (per indicare che una persona sta male ed è stanca morta); Di’ la ûerità e di’ malo di patto (pur di dire la verità è lecito parlar male anche del padre); Attocca morì di cauci di mosche (a volte è necessario sopportare; pure le più pesanti ingiurie da persone inferiori); Cià mancato ’nu naso di iatta (cioè appena per un nonnulla); Cu le créste a gli occhi (per indicare l’azione di una persona accecata dall’ira e dalla vendetta); Se n’ha ito a pecore a mè (per ubriachezza o per stanchezza è rientrata a casa carponi). Selezione di proverbi da https:////www.sezzeromano.it/sezzeproverbi.htm: I’ sasso che ’n’è bbóno pe’ muratura, è bbóno pe’ riempitura (tutti nella vita sono utili, anche i più deboli e i più umili); Lòcca di luglio, niciuno puglio (a luglio non nasce nessun pulcino); L’oncia dà di sponta alla decina (anche i piccoli possono aiutare i grandi); Chi tè la curela va alla chiesa (Chi è in peccato va in chiesa); Quando Del Duca ha sete, Maratoce stà appicciato (Quando il padrone Del Duca ha sete, ilsuo garzone Maratoce sta bruciando dall’arsura); Mica stonco a gli tafri! (economicamentesto bene); Tu fai accome agli ’utteri: vai sempre cerchenne feschi, ma lu tempo è mortorità dei padrugni (Tu fai come i butteri che desiderano sempre, per non lavorare,le feste, il maltempo e la morte del padrone); Senza la tua panara inforno e sforno, senza la tua sutuccia ammasso e cerno (non ho bisogno del tuo aiuto); Gli asino, pe’ non move la coda, se fece magnà i’ culo dalle mosche (si condanna la pigrizia); Più si ietta a capoculo, più aresce caporitto (persona fortunata).
 
 
3. I toponimi e i soprannomi
 
Dall’ampia trattazione sull’onomastica setina, tra i tantissimi soprannomi indicati da Zaccheo pp. 84-98 e ss. citiamo:Budellóno; Bacchecchi; Catenaccio; Ciócco; Ciavottóno; Capo leggero; Carafèlla; Cantanapogli; Cannappino, Chià-chià Dinsanchi Frascóno Faccia fresca; Fifòtto; Ficacciotto; Gli aringo; La cavalla ceca; La sfollata; L’ommassora; La cispadana ; La tópa; La féra; La fontana; La sorecaccia; La pignatèllo; Marandògna; Mucco di ronca; Micalóne; Mantellà; Nuiuso; Pippa nera; Pilo ruscio; Portabandiere; Policio’; Policitto; Scaprasoraghe; Terramuto; Trentanoúe; Zénga; Zinnaccalo; Zigo-zago. La toponomastica setina è ripercorsa approfonditamente in un capitolo (pp.103 e ss.) dell’opera di Zaccheo a partire dai nomi delle contrade e rioni di Sezze: Porta di Piano; La Sgurla; Gli ulimo (Piazza Santa Maria); L’accareccia (Via Vaccareccia); I’montono (Piazza Indipendenza); La capo croce; I’ ûigliétto (il Guglietto); Porta Pascibella; Le ostarie; Le prète calle (Via Piagge Marine); Ferro di Cavallo; La Fanfara; Porta Sant’Andrea; I quattro cantugni (Via San Carlo); gli Aringo; Piazza gli liugni; Piazza gli cranunghi; Piazza d’erba; Piazza San Rocco; Gli scasato (dietro Piazza San Pietro); La cacacciara (presso il Vescovado); Gli scuato (il Vescovado). nLa Fossa gli ’diavolo (presso Porta Paolino); La stretta le bare (dietro la ex chiesa di nSan Rocco); Porta Paolino; gli Cauto. Le scorciatoie che ascendono a Sezze, chiamate coste: La costa gli re; la costa San Luigi; la costa gli Capannaccio ; la costa Celeste. Molti anche i toponimi del territorio di Sezze opportunamente ricordati “poiché molti nomi di luoghi o di contrade stanno lentamente cadendo in disuso e già alcuni sono stati sostituiti con altri toponimi”. 
 
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi- gastronomia- feste&sagre-altro
 
 
 
 
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni e scongiuri
 
Filastrocca ne Il dialetto di Sezze a cura della prof.ssa Flavia Pasquali Zaccheo: Oi Abbramo, / ti l’aricurghi le parole / che ti disse Gesù Cristo / pe’ la ûia di Roma? / Si… / Acquarella nu’ ûeni / Giasù Cristo sta ’ddurmì / sta’ ’ddurmi a le quarantore / caccia l’acqua e manna i sólo. // Tito titiglio / prèto d’anéglio / maggiore di tucchi / lecca piacchi / accichi pitucchi.
 
Un indovinello: Tè l’ossa e n’è crapitto / tè la chierica e n’è prèto (le nespole di Suso, in dialetto pranespole).
 
Alcune ingiurie e imprecazioni: Te pózzeno spizzà’ (fare a pezzi) accomme a gli pórco. Te pózzeno fa’ le cotezzie (a pezzetti minuscoli). Puzzi campà’a ’nu funno di létto (paralizzato e immobile sul letto). Puzzi crepà’ di notte accosì nisciuno t’araccòlle (ti può raccogliere). A cauze calate e a zizze sciòte (le donne per darle maggiore efficacia si abbassavano le calze e mettevano fuori il seno davanti a tutti). Puzzi i’sempre inganeiènne (andare in giro alla ricerca del cibo). Te pòzza nasce’ ’na figlia femmena e puttana (ingiuria per le donne incinte).
 
4.3 Giochi
 
Nella poesia di Antonio Campoli “Il ragazzo terribile” sono rievocati i giochi e i luoghi di una volta: So giucato a cicalacchi / pe’ le strette e pe’ le fracchi // so giucato a patalòcco / pe’ le scagli di Sa’ Rocco // cu’ la lippa e gli zaccuúi / a la piazza gli Liuni // a tremila so giucato: / a San Pietro e a gli Scasàto // cu’ la stròppola e gli pitto / so rimasto sempre ritto // cu’ le cosse e cu le bracce / so giucato puro a stacce // a pribíscigli a zuppì / cu’ la ruzzula cu’ ttì // a la Porta puro ’ntre / so’ giucato a carachè // cu’ la canna e gli zammùco / mi so fatto i’ stuppacculo // mi so fumata la carta suga / cu’ gli struglio e cu’ la puca // cu’ gl’acchièttro so tirato / alla porta gli curato // so schiuppato lo carburo / sa zziccato p’ogni muro // so arubbachi gli lupini / so frigachi i mandarini // i piségli so cagnàchi / e gli tutri so’ sfilàchi // so giucato alla Mpianata / cu’ la palla rappezzata // so giucato a ziccanétto / alle mucchira a caretto… Nel sito https:////www.butterflymajorettes.it/ si ricorda nonno Toto, in classe tra i bambini di una scuola, che mostra come costruire il cuticù. Nel libro di Rosolino Trabona e Umberto De Angelis La Ludoteca e le tradizioni popolari. Sasso di Capodanno a Sezze, nel capitoletto “La Tombola dialettale”, sono riproposti i numeri e le significazioni: 12: addorici – gli Apostogli – 13: Santa Lucia – la sisa/35, ecc.
 
4.4 Gastronomia
 
Leggendo la poesia “Or che vorria non pote…”di Antonio Campoli ritorna alla mente la dura esistenza che erano costretti a condurre molti uomini, un tempo. All’insaziabile fame: Mi ni iéûa alla léstra sdinuito; / m’aruscicaûa andanno ‘na,sciuscèlla / che ni’ scacciaûa mai gl’apputito: / m’aruzzulaûa sempre ‘na budella. // Quante òte so fatto gli ûitéglio / a zizz’ammocca drèt’a ‘nu stradóno… Ed ora che ne avrebbe i mezzi economici non è possibile mangiare perché gli stómmoco n’è bbóno.“La paniccia” era il cibo consueto ed ecco descritta in questa poesia di Campoli il cerimoniale: Tata metteùa sotto a la callara / cu’ gli manico staccato, / ca’ turzo, ca’ passono, ca’ tratturo: /nonna ittaûa la farina róscia, / mamma utaûa / gli nacculaturo. // Pusata a ‘na cassetta pummutòro / già steûa pronta la ‘ntaûotatora / Mamma utaûa. // Dalla cazzaròla / risceùa ca’ ciammotto di farina. / Mamma utaûa. // Gli trepit’ogni tanto ‘ndrunducaûa. / Quando era cotta, / tata la cacciaûra; // gli fumo si pirdeùa ’m paradiso. / ‘Nci arimaneûa manco nu cucchiaro.
Tra i cibi rinomati di Sezze tramandati sino ad oggi vi sono: la Bazzoffia, zuppa con verdure di stagione e la Zuppa di Fagioli, entrambe da assaggiare in occasione delle rispettive Sagre. Il vanto di Sezze è il tipico Carciofo dall’aspetto tondeggiante e senza spine. Da apprezzare i noti dolci sezzesi a base di semplici ingredienti quali: le Ciambelle d’acqua e di vino; le Paste di Visciole, tipica marmellata asprigna di piccole ciliegie; il Tortolo, pagnottella di uova; la Crostata; il Ciambellone e la Caciata, tipico dolce pasquale realizzato con la ricotta.
 
 
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
 
Ne Il dialetto di Sezze Luigi Zaccheo (p. 72) ecco La storia gli cicio: ’Na úòta ci stéùa ’na femmena di nómo Maria che arezzeccaûa le coste pe’ aradduce a la Casa. Ûicino a gl’órto Santoluca ’ncontraûe ’na commare séa che stéûa a ûatte i cici ûicino a la capanna. Maria acchiappa ci pitiûi ’nu cicio, ma la commare ci arispunniûte ca, nonci poteùa dà, perchè i’ marito i teneûa cuntachi. Maria mpro nun se ne iètte e ci diciûe ca i cicio ûoleûa pe’ forza e quando iéssa ne troûaûa doa ’nghiaccachi, uno ci i teneûa da dà. La commare dóppo ’na cica troûaûe da cici ’nghiaccachi; gli schiaccaûi e uno i dètte a Maria. Questa tutta cuntenta aricchiappaûi la ûia la casa, ma prima di iógne ûidiûe ’n’atra commare che steûa a laûà i pagni e ci diciûe se ci poteûa lassà ’na cica i’ cicio, ca iessa teneûa a i fa ’nu cummanno e ci si araccummannaûe di stazze atténta a gni fa magnà a la caglina, pe’ sicuranza gli ficcaûe dentro a ’nu bucio gli muro. Quando Maria ariûeniûe iètte a ritòllese i’ cicio a gli bucio, ma nun ci steùa più: la callina se gli era agliuttito. Allora Maria ’ncominciaùe a ûrià e ripeteûa sempre a la commare: “O me ridaie i’ cicio mé o me daie: la caglina té, o me ridaie i’ cicio mé o me daie la caglina tè”. La commare, pe ’na sentì più, ci dètte la caglina. Maria cu la caglina ’n magni se né iètte cuntenta. Pe’ la ûia ’ncontraûe ’n’atra commare che steûa a fa lo pano a gli furno e ci diciûe se ci poteûa lassà pe’ na cica la caglina, ca iéssa teneûa a i fa nu cummanno, ma ci si ariccummannaûe assai che se stesse atténta. Quando ariûenne, cercaûe pe’tutto la caglina, ma la caglina se l’era magnata i’ pórco. Maria prima s’araiaûe pe’ gli strigli e dòppo ’ncominciaûe a dicce: “O me ridaie la caglina mé o me daie i pórco té, o me ridaie la caglina mé o me daie i porco tè”. La commare pe ’na sentì più urià ci dètte i’ pórco. Maria tutta cuntenta se chiappaûe i’ pórco e se ne iètte a la casa. Pe ’la ûia ’ncontraûe ’n’atra commare che steûa asseduta a scelle lo grano a gli capistriglio dinanze a la stalla séa. Maria ci diciûe se ci, poteûa lassà pe’ ’na cica i’ porco, cà iessa teneûa da fa ’na cica e ci s’ariccommannaûe assai che se stesse atténta. Quando Maria ariûeniûe mpro troûaûe i’ porco morto acciso cu ’na curnata da ’na ûacca. Pe’ ’n’atra cica nun ci ûenne mino pe’ gli doloro, ’ncominciaûe a urià accomme a ’na matta e doppo strigliaûa a la cummare: “O me ridaie i’ porco mé o me daie la ùacca té, o me ridaie i’ pórco mé o me daie la ùacca tè”. La commare pe ’na sentì più ci teniûi da dà la ûacca. Maria cuntenta accome a ’na pasqua chiappaûe la ûacca, ci mittiûe ’na bella corda a capezza e se la riportaûe a la casa. La ûacca mpro nun ûoleûa camminà ca nun cunosceûa la ûia e accusì Maria la tiraûa cu forza pe’ falla camminà. Doppo che aûeûano camminato pe’ ’n po’ i briganchi annascusci arisciònno da drète a ’na gróssa prèta, taglionno la funi, ci lionno ’nu sasso tunno e si purtònno cu isci la ûacca. Maria nun s’accorgiûe niente e cuntinuaûe a camminà tirènne sempre la corda. Dóppo ’na bella fatta iugniûe a la casa e tutta cuntenta chiamaûe i’ marito pe’ facci ûede la ûacca. Quando si iétte a gira, pe’ ’n’atra cica ci deûa ’nu córpo: a gli posto la ûacca ci steùa ’nu sasso tunno tunno liato a la corda. Si mittiûe a piagne e diciûe ca n’aûria tuccato piu niente a niciuno. Altri racconti nel volume citato: La moglie, i’ marito e gi-i briganchi; La storia di Gioûagni senza paura. Antonio Campoli è autore di opere teatrali di fondamentale importanza quali Livio va in pensione, I due compari, Un giorno in Pretura, Una vincita al totocalcio e Studio Legale. Il gruppo Folk Città di Sezze “I Turapitto”il 9 agosto 2009 ha portato in scena “Processo a Peppo”, una commedia indialetto, liberamente tratta da uno scritto dell’autore e poeta setino Alberto Ottaviani.La regia è stata curata da Piero Formicuccia.
 
 
6. I testi di poesia
 
Enzo Cavaricci, autore di numerose raccolte poetiche in lingua, ha al suo attivo anche la plaquette Otto poesie laziali e una campana (1999) in cui ci sono cose comuni di tutti i giorni e quadretti di vita, “il tutto ben messo nell’intelaiatura dei versi” secondo Franco Caporossi. Di origini setine si esprime con sagacia e temperamento tanto in lingua che in setino, anzi in susarolo, che in torriciano (da Torrice, FR) e napoletano. È autore del “Canto quasi disperato di un pendolare dai Monti Lepini” in cui descrive la sorte condivisa dei pendolari delle fabbriche di Colleferro, della Valle del Sacco e di Pomezia, degli uffici e attività terziarie di Roma, una poesia che la giuria della quinta edizione del Premio biennale letterario internazionale dei Monti Lepini decretò vincitrice nella sezione poesia dialettale (Segni, 1992).
Alberto Ottaviani dopo la prima raccolta di poesie in setino Emozioni e Ricordi (2006), nel 2011 ha pubblicato “Crachice – Radici che, secondo Remo Grenga, “richiama il concetto dell’identità setina che trae origine dalla civiltà contadina, espressa con l’uso del dialetto, dai toni caldi e benevoli. Svolge un importante lavoro di promozione e valorizzazione della cultura, delle tradizioni e soprattutto del dialetto di Sezze”. Egli è presente in Premio di poesia dialettale lepino-ciociara (2003) con “Giuagni e la rucertola”, un dialogo tra un vignarolo e una lucertola sul tema della fame e della lotta per la sopravvivenza, con una desolata conclusione: Quisto è propita nu munnaccio / chi s’abbuffa e chi ’n s’attrippa / la rucèrtola è accome a gli poraccio / uoi sdiuna, addumano aritè uòta la trippa. In Poesie e Racconti premiati nelle prime quattro edizioni del Premio Monti Lepini (1999) figura con la poesia “Za Maria e gli orario”, protagonista una vecchina che tineua 91 agni, / ma ’n conosceua né acciacchi né malagni: / schitto la uista ci s’era ’n po’ accurtata, / ma ’mmai frèue l’aueua allettata. / Aglio e cipolla èrno le medicine / e gli sciroppo lu uino delle meglio cantine. Finché un brutto giorno, costretta a stare a letto, mentre de fore faceua acqua e uento, / uidiui arentrà ’na femmina drento: / Arizzaui i capo, l’arimiraui / e co ’n’oncia di fiato ci addummannaui: / – Ch’ora è, bella signora? / – Uì co mmì: è arriuata l’ora. –
Francesco Vicario è nel libro appena citato, con  “Fiuggi 77”, una spiritosa poesia sull’esperienza di una cura termale: Ma che è vita puro questa! / Culla brocca stretta ’n magni, / quando arìntri e quando arìsci / e fa’ sempre bivi e pisci? / I ’n ci stongo a capi’ più! / – Ti’ apputito, ularischi ’m po’ magna’. / Ma chi fai? Non capisci? / Si nni bivi accume pisci? – / E passiggi la dumano / culla brocca stretta ’n mano . / Isci e arìntri, intri e arìsci, / bivi e schitto pisci. Come uscire dall’incubo termale? Ecco il consiglio: Furastiero ch’arrivi a Fiuggi, / stacci poco e doppo fuggi. / Ui’ a Sezze! / Alloco sì ca tu / pù magna’ e durmi’; / senza sta’ sempre a pensa’ / ca teta béve pi piscia’. Antonio Campoli è il più prolifico e rappresentativo poeta dialettale lepino contemporaneo. L’ispirazione è pregevole, il lirismo è misurato, scherzoso, animato da una volontà narrativa che riflette il suo legame con la gente e i luoghi della sua terra. Campoli nel dialetto di Sezze, di cui mostra assoluta padronanza, narra, come sottolineaLuigi Zaccheo:il trascorrere delle stagioni e della vita, i segni del tempo sulle cose e sui volti, lestorie dei sezzesi, le voci dei suoi paesani, i fatti di quelle donne e di quegli uomini semplici e veri, le storie di carne e di sangue dai cuori teneri ed aspri di corpo robustoe di passioni tenaci. Vive la sua poesia con quei toni ammiccanti e simpatici e conquella vena di ironia che resta discreta e composta. (…) Alita nell’opera di Campoliun refolo della sua fantasia svariona, scanzonata, frizzante che traduce un temperamentopropriamente classico (…) che ora fa il verso di Orazio, ora nei componimentiove si celano le battute o l’aforisma, prende da Marziale. Il suo dialetto ha una sostanzialitàantica ove la parola morbida, polposa, gustosa come un frutto indeiscente rinserraun seme acidulo di sorridente e cattivante ironia nient’affatto tossica. (…) Campoliè poeta serio e lucido, scherzoso e riservato, curialesco ed umile, comunque sempre ricco di umanità, portatore di un rapporto vivo con la sua Sezze, intenso con le persone,anche le più umili, rispettate sempre nella loro dignità umana. (…) Il suo impegnoletterario non è affatto un elogio del tempo passato, ma rappresenta la convinzione chesoltanto conoscendo la propria storia si può ben progettare il proprio futuro.
Egli rappresenta con rara concisione i tanti aspetti della vita quotidiana a Sezze: i suoi bozzetti sono gustosi, efficaci, freschi, ricchi di umanità e di buon senso popolare. Eccelle nell’analisi del carattere delle donne di Sezze, dimostrandosi profondo conoscitore della psiche femminile, cogliendone un aspetto peculiare: la risolutezza di fronte a situazioni difficili, che a volte rasenta la sfacciataggine. Come ad es. in “Partita a tombuletta” in cui alla irresolutezza del fidanzato, dopo averlo invano stuzzicato con il piede sotto la tavola, la donna così reagisce: Chiappai ’na manicciàta ciuciliano / ci l’allanciai ’n faccia e gli cacciai. È ancora la donna che assume l’iniziativa quando il fidanzato si dimostra troppo timido in “Primo incontro”: Ma mi chiamaûe iéssa e disse: “ianna, / ca’ tu su grusso e ti li spalle ’bbòne”. / drént’alla ’ócca mi sintii la panna; / “ianna bbéglio giuûinò, ûimm’aiutà ’mpóne” // Ci ’mpunii gli cuncóno e quigl’ammìto / ci ha facchi diûintà moglie e marito e in “La fidanzata impaziente”: Ma ’Ndrino si sparagra, ’n tè  curaggio… Se ’aggira gli capo, nse m’appiccio / dumanassera ci dongo gl’alliccio). Ed è sempre lei a cacciare di casa in modo spiccio il suo fidanzato poco intraprendente. Che tè’più de mi? – chiede alla sua ex, “Il fidanzato abbandonato”, descrivendo i gravi difetti fisici di chi lo sta soppiantando: gli naso s’assumiglia a ’na carciòffola / la ’occa la tè’ accume a ’nu scafurno (…) le spalle le tè’ fatte a pagliariccio / ci puzzuno gli péchi accum’a gl’oso, / ’n capo porta le puche de gli riccio. Eppure: mo’ti si fa spuso! Ed è presto  detto perché ca’ccósa ’mpro le te’, le tè’ddaúéro: / tè’ la baròzza,’nu caretto ruscio, / le cese pe’ Cantéro… In “La richiesta” le istruzioni per l’uso dettate dal figlio alla madre e al padre che sono inviati a chiedere la mano di Marietta: Dicci ca n’aradduco notte e dì, / ca ’nténgo ûizzi, ûango, zappo, arato, / ca nni bbéûo, nun fumo, ’nzo gilusu; / ûa’, ûacci ma’ fatte dice di sì. Una “Serenata a dispetto”: Mo’che gli  furastiéro t’ha lassata, / più nera gli piu niro bacaròzzo / ti ularìa fa ’na sirinata, / ’na sirinata cu’ gli ripicchiózzo, (…) ’n ti ûoglio più ûedé, mucco di prèta: / ci su’ rintrata quaci alla trentina, / aròzza e crèpa assiduta alla sèta! Ne “Il ringraziamento al Salvatore” Campoli ci presenta il Salvatore che esaudisce a preghiera del popolo e fa piovere, colmando tutti di gioia. Ma, ottenuta la grazia, quello stesso popolo, non si cura più del Salvatore, e dietro la processione ’n ci stéùa niciuno: / schitto dò úicchiarelle, / i’ prèto, i’ sacristano / e ca’ mammoccio cu’ li stacce ’m mani. Segnaliamo pure “Il ragazzo terribile” (in Giochi) e “Or che vorria non pote…” (in Gastronomia) sul disagio di chi ha sofferto una fame atavica. In “Polenta e amore” in pochi versi descrive con maestria lo stato d’animo sentito e vero, di profonda soddisfazione per l’abbondanza del raccolto fatto (So ito  a stutarà pell’Aggiariccia / ’nzéme cu’ Tuta ch’era ancora uccia. // Ci ne sémo ûenuchi ca gli sólo / ci mancaûa ’na canna pi’ calà, / cu’ trenta sacchi tucchi ’ngrillittachi. / L’ûeùa riguazzato quattro ûòte, / gli staûe èrno irchi più di mì. // ’Stu ’mmèrno, quando pioûe e tira ùento, / la paniccia ci sta, moglima puro).  Di Campoli segnaliamo il trittico di sonetti intitolato “Ho incontrato Attilio Taggi”che gli è valso la vittoria nel prestigioso concorso poetico, la pubblicazione nelvolume Premio di poesia dialettale lepino-ciociara Attilio Taggi terza edizione 2003 e il lusinghiero giudizio della Giuria che sottolinea come “l’incontro del poeta diSezze, ancora vivacissimo di fantasia e di inesauribile energia spirituale, con il grande poeta sgurgolano scomparso, per la mallevadoria del monte Semprevisa, il più alto dei Lepini, ha non pochi significati intuibili correlati fra di loro e parecchi simboli adombrati. Perciò questa triforme singolare poesia è nello stesso tempo straordinaria ed intrigante”. E riserva nel finale un passaggio di testimone a Campoli da Taggi che, alla sollecitazione: “Maestro… mi piaciaria di ti l’assumiglianza…” / Se fece ’na risata scruccarella, / mi salutave e mi dette ’na rosa, determinando una sorta di investitura del poeta di Sezze (ben consapevole del proprio valore). In Poesie e Racconti premiati nelle prime quattro edizioni del Premio Biennale Letterario dei Monti Lepini, 1999, figura la poesia “Cartapolicio” in cui ci fa rivivere scene di una miseria ormai dimenticata, popolata di fastidiosissimi animaletti domestici e di donne impegnate con grande abilità nella disinfestazione quotidiana e per giunta manuale: A ’na cert’ora quando la cicagna / faceva chiude gli occhi / a tutte le cummare / spaparacchiate cu la mèsa sèta, / tu vitivi la giovene circa’ / mméso a le veste. // La
fémmena ’m po’ ’nziana / s’abbassava le cauzze / circhenno di fa piano / cu gli occhi spalancachi. / Quando appizzava i policio, / pe nin gli fa’ zumpa’, / ci si fiarava ’n cima / gl’appipirlava prima co ddò téta / e doppo gl’acciaccava / cu la ciavatta / o l’onghia ’gli titono. // I didditì gli ha strucchi / e ’n zinghi dice più: / “pizzò, va a circa’ / ’m po’ di pulici a mamma.Nella stessa pubblicazione, in “La morte non ha scarpe” un’altra scena di miseria.
 
ANTOLOGIA
 
ANTONIO CAMPOLI
 
Preghiera alla Madonna
 
Madonna bbòna mé
accumme faccio a ûenitte a prigà
si quand’è stato abbrílo
la strina m’ha siccate le carciòffele
e allo grano ci ha fatto gli nibbiaro
e me s’ha sbagantato tutto quanto?
 
Madonna bbòna mé
accume faccio a ûenitte a prigà
se l’acqua s’ha purtato stav’e tutri
e nun mi po zzo fà
manco la pizza róscia?
 
Madonna bbòna mé
i’ ûinaria a càseta a prigà pe’ ’na iurnata
ma tu da mi ci si ûinuta mai?
Tu forse manco sai
a qualo titto stòngo
e ti sarischi accòrta
ca tengo tre mammocci
e n’atro st’ariûa ;
e aûrischi ûisto puro
cumme stamo a campà.
 
Madonna bbòna mé
tu mi capisci: è méglio ca ’n ti prègo.
me putaria sbaglià:
tra ’na parola e n’atra
te putaría puro ’nghiastemà.
 
Questa poesia, recitata dall’autore, è pure su
https:////www.youtube.com/watch?v=x2qNulduS-E
 
Bibliografia
 
 Campoli, Antonio, Sezze che scompare, 1974.
Campoli, A., Il Dialetto di Sezze, 1976.
Campoli, A., La Fontana di Pio IX, 1981.
Campoli, A., Tibbo Tabbo, Sezze, Angeletti, 1986.
Campoli, A., La calandrella, Sezze Romano, Angeletti, 1999..
Campoli, A., San Carlo e il suo dialetto, 2002.
Campoli, A., C’era una volta: novelle, racconti, monografie, studi del mondo contadino, usanze, storie antiche e moderne, in “Comune Oggi”, annate dal 1976 al 1989.
Campoli, A., Livio va in pensione, opera teatrale, 1985.
Campoli, A., I due compari, opera teatrale, 1987.
Campoli, A., Un giorno in Pretura, opera teatrale, 1989.
Campoli, A., Una vincita al totocalcio, opera teatrale, 1990.
Campoli, A. – Giuseppe di Prospero, Ripichiozzo (Ballate, stornelli, serenate), Centro Studi “San Carlo da Sezze”, 2009
Sauzzi, Renato, Sezze e il suo dialetto. Un po’ di poesia, Comune di Sezze, 1987.
Trabona, Rosolino-De Angelis, Umberto, La ludoteca e le tradizioni popolari. Sasso di Capodanno a Sezze, “Ypothèkai”, Bollettino delle Biblioteche dei Monti Lepini, Anno VI n. 3 Settembre- Dicembre 1990.
Zaccheo, Luigi, Il dialetto di Sezze, Roma, 1976.
Zaccheo, L., Annina, tragedia in dialetto di Sezze in 4 episodi, Centro Studi Archeologici, stampa 2003.
 
Webgrafia
 
 digilander.libero.it/dialetti/sezze.html
www.sezzeweb.it/forum/topic.asp?ARCHIVE=true&TOPIC_ID=827
www.passionedisezze.it
www.comune.sezze.lt.it
www.sezzeromano.it/sezzeproverbi.htm
www.butterflymajorettes.it/ (canti e filastrocche)