“Se tu mi chiedessi” di Maria Lanciotti

Un libro tra il saggio storico e il racconto autobiografico
Se tu mi chiedessi. Storia e storie fra cronaca e memoria (Universitalia, Roma, 2013, euro 12,00) è l’intrigante titolo del nuovo libro di Maria Lanciotti, poetessa e scrittrice, residente nei Castelli Romani.
Si tratta di uno sguardo rapido ai fatti salienti del secondo Novecento (o almeno a quegli aspetti che più sono rimasti scolpiti nella memoria personale e forse collettiva), tentando la difficile operazione di conciliare scarna cronaca e lessico familiare. Ricerca di una spiegazione alla catena di eventi che ci ha condotto, nell’arco di più generazioni, alla situazione odierna, nel segno della sofferenza scaturita da tanti errori ma anche della speranza in un possibile riscatto e conseguente cambiamento di rotta. Desiderio di approdo nel prezioso valore umano e nella piena adesione alla vita, con un decisivo giro di boa che ci riconduca a un nuovo punto di partenza.
 
L’autrice lo definisce “un libro aperto” oltre che un omaggio tardivo per un centenario”, quello di sua madre.
“Questo libro – precisa la Lanciotti – doveva uscire per il centenario della nascita di mia madre, nel 2009, e in effetti inizio a scriverlo all’inizio del 2008, ma era già dall’anno precedente che ci pensavo e andavo raccogliendo appunti. Da quando cioè era stato pubblicato L’erba sotto l’asfalto – Storie dalla piana dei Castelli dal ’55 al ’75 (Edizioni Controluce 2007), il seguito di Campo di grano –  Giochi, istruzione, mestieri nella Ciampino del dopoguerra (Anni Nuovi Editrice 2003).  Perché nella mia mente c’è stata sempre l’idea di redigere una sorta di trilogia che abbracciasse, con quest’ultimo testo, le vicende di noi gente comune, inquadrate in un contesto ampio e mutevole come è stato lo scenario degli ultimi sessant’anni. Ma ben presto mi accorsi che di altra storia si trattava, difficile da legare con le precedenti: una storia a parte. E tuttavia mi ostinai per lungo tempo – quattro anni, per la precisione – a persistere nella mia originaria idea di riprendere e proseguire il racconto laddove era stato interrotto, verso la metà degli anni ’70, sempre con l’intenzione di dedicare quest’ultima parte a mia madre, emblema di un secolo di vita”.
 
Ringraziando l’Autrice e l’editore, qui di seguito riportiamo la Prefazione al libro “Tra cronaca e memoria” di Luca Nicotra
 
“Maria Lanciotti, in questa sua opera, ha inventato un nuovo genere letterario, tra il saggio storico e il racconto autobiografico: la cronimemoria. Quest’ultima sua fatica  ha catturato la mia attenzione per l’originale capacità di fondere saggistica e narrativa.
La prima parte, intitolata Uno sguardo di chi c’era, è una carrellata quasi filmografica degli «accadimenti degli ultimi cinquant’anni» non fine a se stessa, come pura e asettica informazione, bensì come «ricerca di una spiegazione alla catena di eventi che ci ha condotto, nell’arco di più generazioni, alla situazione odierna, nel segno della sofferenza scaturita da tanti errori ma anche della speranza in un possibile riscatto e conseguente cambiamento di rotta», come la stessa Autrice spiega nella sinossi del libro.
Ovviamente noi oggi siamo il risultato di tutta la nostra storia precedente, indipendentemente dal fatto che ne siamo coscienti (e conoscenti) o no. È però innegabile che gli eventi che maggiormente hanno modellato la nostra società attuale possono farsi risalire al periodo cha va dall’immediato dopo guerra ad oggi. L’Autrice, nella prima parte del libro, compie un’opera degna di un grande regista cinematografico: ci regala una panoramica degli eventi di tale periodo più significativi, sia dal punto di vista dei cambiamenti della società italiana sia per l’influenza che hanno avuto sulla sua stessa evoluzione. Non è facile saper scegliere fra i tanti avvenimenti quelli che realmente possano essere considerati dei milestone, ovvero delle pietre miliari della crescita del modo di vivere e pensare degli italiani. Maria ha pienamente centrato il bersaglio, facendoci rivivere (per chi, come me, è nato nell’immediato dopoguerra) o vivere (per chi, invece, è più giovane) momenti e situazioni fondamentali della nostra più recente storia, con la scorrevolezza e incisività di quel nuovo stile di narrazione storica di cui Indro Montanelli è stato il creatore. Circa cinquant’anni di storia italiana scorrono veloci davanti a noi come la “moviola” di un film, in cinquanta pagine che hanno quasi la freschezza della notizia appena uscita nella testata di un quotidiano.
Limitarsi a confezionare, sia pure con grande  misura ed efficacia narrativa, una “carrellata cinematografica” avrebbe, però, privato il libro di un suo significato più profondamente umano, relegandolo essenzialmente nel genere della cronaca storica di stampo giornalistico. Invece, già nella prima parte, il modo stesso di presentare gli avvenimenti esprime una chiara posizione dell’Autrice, un afflato che non la fa rimanere asettica speaker televisiva di nude notizie. In qualche modo, spesso velatamente, i fatti sono presentati facendo ben intendere la reazione emotiva e culturale di Maria: i fatti acquistano un valore umano, rivestendosi di significati positivi o negativi a seconda dei casi. E questo, a mio parere, è il messaggio fondamentale che trasuda dal libro, un messaggio che Maria, personalmente non intende rivolgere a una particolare tipologia di lettore, ma che io, invece, ritengo valido soprattutto per i giovani, nella speranza che dalle esperienze del nostro passato prossimo possano trarre stimoli per costruire quel futuro migliore che è sempre stato il faro del cammino dell’umanità.
Nella seconda parte del libro questo valore umano dei fatti, non più semplicemente narrati, entra in scena apertamente nella Memoria di chi c’era: una loro rivisitazione, attraverso ricordi personali dell’Autrice. E qui la Lanciotti scrittrice la fa da maestra, facendoci partecipi di tutta la sua sensibilità altamente umana.
Leggendo queste pagine, sono riemersi vecchi ricordi della mia vita di bambino e di ragazzo, quando in serate fredde (ho vissuto la mia infanzia a Parma, dove l’inverno era veramente inverno) non riempite, come oggi, dalle trasmissioni televisive, non era insolito sentire raccontare dai miei genitori episodi della loro vita passata, proiezioni nel presente di un passato che allora mi sembrava lontano anni luce. Il tempo della loro giovinezza, quello della guerra da loro pienamente e tragicamente vissuta riviveva davanti ai miei occhi e dava senso alla stessa mia esistenza, la rendeva più consapevole e piena. Certamente la differenza di condizioni di vita fra il mio presente e il loro passato costituiva un motivo di contentezza e di fiduciosa considerazione del futuro che mi attendeva, ma era soprattutto il conoscere l’immediato passato che aveva preceduto la mia esistenza che mi dava quel senso della «gran carovana umana che va», prendendo a prestito una felice espressione usata dall’illustre fisico Giorgio Salvini in una sua recente conferenza. Insomma quei racconti, al di là degli “insegnamenti” civici e morali che potessero contenere, mi davano soprattutto il senso della continuità della vita del genere umano, di cui io, grazie ad essi, mi sentivo far parte. In questo senso penso che queste pagine possano avere un valore particolare per i giovani, facendoli sentire non esclusi dalla società (come purtroppo la crisi attuale sembra invece condannarli) ma membri della gran carovana umana di cui parlava Salvini, come lo sono i loro genitori, come lo sono stati i loro nonni e bisnonni, e come lo saranno i loro figli e nipoti.
 
Ed ecco il capitolo del libro intitolato “Aspettando l’alba” (Se tu mi chiedessi. Storia e storie fra cronaca e memoria, pp 124-125)
 
Mi accingo a scrivere queste poche righe, che non vogliono essere una conclusione ma un momento di attesa, dopo aver assistito a un infuocato tramonto sul mare, da giorni in burrasca e non ancora placato, con una cappa di nuvole densa e nerastra quando si sono spenti i riverberi del sole. Segni rivelatori, mi è stato detto, dell’inquinamento atmosferico che rende particolarmente spettacolare il calare del sole. Ma non è di ciò che voglio parlare: per leggere il presente basta guardarsi intorno e tirare le somme.
Vorrei dire invece che il pensiero che mi è passato per la testa, osservando affascinata il tramonto, è che finché il sole andrà a morire ci sarà l’attesa dell’alba.
O se si vuole, per dirla con Eduardo De Filippo, adda passa’ ‘a nuttata.
Quante nottate sono già passate nel corso della storia dell’umanità? E quante volte al buio è seguita la luce? La mia generazione si sta contando. Noi non abbiamo fatto la guerra e neppure la rivoluzione (certamente matura per esplodere e di cui portavamo seppure inconsapevolmente il germe) ma di entrambe abbiamo fatto le ingenti spese e tratto notevoli esperienze.
Noi, figli della guerra, conosciamo il valore della Pace. Profondamente. E il valore del rispetto, per noi e per gli altri e per la Natura e per le cose, senza il quale tutto va in malora.
Rappresenta l’anello, la mia generazione, che lega un passato a rischio di dimenticanza e un futuro imprevedibile. Depositaria di una cultura superata e di una civiltà di nuovo stampo.
Non è facile cogliere il presente mentre lo si attraversa. Come non è facile, al momento di saltare oltre uno spazio vuoto, sospinti da un pericolo imminente di frana, capire se si arriverà a toccare terra al di là del ciglio.
Io dico di sì. Ogni volta l’uomo ha saputo ritrovare un approdo dopo aver perduto la bussola e l’orientamento e imboccato direzioni oscure. Ma non so, nessuno può saperlo, come sarà l’uomo del futuro. Si può immaginare, ma è dimostrato che la realtà corre ormai più veloce della fantasia.
Ecco forse il senso che mi ha spinto a editare questo mio lavoro, necessario prima di tutto a me stessa, in fase di bilanci lunghi una vita. E si spera di qualche utilità come bignamino di certi aspetti di un tratto di storia fra i più convulsi, e rievocazione di una umanità trascorsa.
Di tutto il lavoro di ricerca e di elaborazione occorso per la stesura di questa pubblicazione, e rimasto in gran parte inutilizzato, mi resta il succo della lunga migrazione che sempre ci vuole sul piede di partenza con la mente che pensa già al ritorno.
Il mito di Ulisse non tramonta mai.