SALVATORE PAGLIUCA. La pietra e la lingua

[MARZO 2022] SALVATORE PAGLIUCA. La pietra e la lingua, di Manuel Cohen, pp. 48, ISBN 978-88-98370-88-7, euro 10,00.

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IL LIBRO

Il libro, che vuole essere “un invito alla lettura del poeta e voce di Muro Lucano”, raccoglie undici testi occasionali, più una nota introduttiva. Si tratta della prima recensione alla raccolta Cor’ šcantat’, parte della nota introduttiva a Nummunat’, le motivazioni per alcuni premi di poesia conseguiti da Pagliuca, un testo scritto per il volume sulle “scale d’arte” un paio di interventi o profili ampi sul suo lavoro già apparsi in volume o rivista.

I singoli interventi sono corredati di alcuni testi del poeta per offrire al lettore una campionatura minima e nondimeno orientativa o esemplificativa. Il ritratto che emerge è solo parziale, non certo definitivo o risolutorio.

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NEL LIBRO

(Dalla nota introduttiva)

Era l’anno 2008. Salvatore Pagliuca aveva dato alle stampe Cor’ šcantat. In realtà, lo aveva stampato quasi in proprio, presso le Grafiche Finiguerra di Lavello, a undici anni di distanza dal libro di versi precedente, in modalità semi-clandestina o alla macchia. Salvatore aveva agito come certi grandi poeti ritrosi che hanno contribuito a rendere il Novecento letterario un secolo irripetibile. (…)

A Roma, il poeta e critico campano Achille Serrao, attento ai fermenti culturali e sensibile a captare sempre la qualità degli autori, suggerì a Salvatore un elenco di nomi di critici e lettori a cui inviare il nuovo libro. Fu così, quasi per caso, che un giorno, tra la corrispondenza, mi vidi recapitare un piccolo plico proveniente dalla provincia di Potenza. Non conoscevo, neppure di nome, Salvatore Pagliuca, nonostante avesse già all’attivo altri due libri (…)

La lettura del libro, elegante nella forgia, curato nel dettaglio grafico, impressionante per il nitore e l’intensità dei versi, mi folgorò. Ne fui rapito, conquistato. Cor’ šcantat’ aveva fatto breccia nella mia mente e nella mia sensibilità di lettore, di critico, di uomo. Mi resi immediatamente conto di aver ricevuto un dono: il dono della scoperta. Salvatore Pagliuca da Muro Lucano era, in tutta evidenza, un poeta di grande intelligenza e sensibilità, di rara maestria e bellezza.

Nel rapido volgere di una serata, scrissi la recensione (…) che inviai a Salvatore. Qualche giorno dopo, al telefono, Salvatore mi ringraziò e, evidentemente emozionato, mi confessò che ero stato il primo (al di fuori della sua cerchia ed estraneo al suo mondo) a penetrare profondamente e a capire la sua poesia. Ne fui contento e, va da sé, molto orgoglioso.

Grazie al caro intermediario e comune amico Achille Serrao, entrammo dunque in contatto, e diventammo, da subito, grandi amici. Il libro fu presentato qualche mese dopo a Roma. Al tavolo dei relatori sedevamo Achille Serrao, Salvatore ed io. Furono spese parole interessanti in una sala gremita e molto attenta. Credo che quell’incontro restituì al nostro autore lucano la dimensione esatta del suo essere nel mondo, dell’essere riconosciuto come autore di Muro, fuori da Muro Lucano. E sì, perché le poesie di Pagliuca sono scritte in prevalenza nel dialetto della sua terra, aspro ed irto: dunque difficili per lettori di altre regioni.

Quell’appuntamento romano fu il primo di una serie considerevole di nostri incontri. A Roma, a Muro, a Bella, a Grumento, a Potenza, a Matera. Incontri legati a presentazioni di libri e a eventi letterari organizzati con cura dal nostro. E poi, ancora, a Bologna, a Ravenna (dove il 26 settembre 2020 gli è stato conferito il Premio Città di Ravenna-Giordano Mazzavillani, dalla giuria presieduta da Nevio Spadoni e composta da M. Cohen, Cristina Ghirardini, Gianfranco Miro Gori, Gianfranco Lauretano, Elio Pezzi) a Falconara, a Camerano di Ancona, a Formia e Gaeta, a premi letterari o a festival.

Dal 2008 siamo amici e sodali, come si diceva un tempo. Siamo complici, com’è naturale che sia, tra persone che condividono una medesima passione per la cultura a 360°. E di cultura, il grande archeologo meridionale, ne ha da vendere: notevoli i suoi scavi e le sue scoperte di cui si sono occupate le migliori riviste internazionali e i principali dipartimenti di archeologia. Notevoli i risultati nell’edificazione del Museo Archeologico di Muro e nella gestione del Museo Archeologico di Grumento.

Notevole la sua opera di intercultura con il Centro Culturale Franco-Italiano creato sempre a Muro Lucano: località che, grazie alla sua passione mercuriale, alla sua facoltà di aggregare persone, lingue e forme d’arte, è divenuta, dopo il sisma e negli ultimi decenni, un luogo d’incontro tra e con grandi artisti internazionali. Ci siamo raccontati cose pubbliche e private, ci siamo ritrovati a un tavolo fraterno di letture, di passioni, di cibo e di buon vino. (…)

Oggi che il poeta di Muro compie sessantacinque anni, ho pensato doveroso ed istintivo rendergli questo piccolo, fraterno omaggio. Questo primo tentativo di offrire uno sguardo su un poeta importante, uno tra i migliori della scena neo-dialettale italiana, tanto particolare – e locale, nella lingua e nei motivi – quanto universale e internazionale – nella tensione etica, nell’approccio culturale, interculturale e geopoetico –.

Nella sua poesia c’è, semplicemente e nella sua complessità, la vita tutta: quella dantesca e incoercibile “volontà di dire”, di raccontare un prima e un dopo il terremoto del 1980 che investì l’Irpinia e la Lucania centro-settentrionale. In tutta probabilità, il nodo profondo della sua scrittura nasce e parte proprio da quel vulnus, da quella ferita immedicabile.

Una poesia, colta e popolare, privata, interiore e cionondimeno sociale, densa di nomi, di storie di paese, di figure inventate e realistiche, e tuttavia verosimili; dove c’è il Novecento, riverberato in più occasioni, con le sue tensioni tragiche (la seconda Guerra Mondiale, la Shoah, lo sfollamento, il ritorno a casa, la presenza del padre, l’assenza del padre, la genitorialità anche conflittuale e intergenerazionale); c’è il sentore etnografico nel dire di pratiche rurali e artigiane, nel ricordare la fiera del paese; c’è l’affettività e l’amore espresso con grazia e riservatezza lirica; c’è il senso del vuoto e del limite, l’immagine del dirupo, la visionarietà abissale del borgo antico arroccato su uno sperone di roccia.

C’è lo splendore austero del paesaggio, l’esattezza terminologica e la precisione nell’inserimento di elementi botanico-floreali. C’è la passione archeologica della ricerca e dello scavo che si fanno anche scavo e ricerca linguistica. C’è la bellezza della phoné dalle sonorità aspre, dure, arcaiche, tuttavia rese plastiche e duttili dalla sapiente modulazione dei versi, delle assonanze, dei ritorni sonori. C’è tutto questo nella poesia del poeta di Muro, e ancora molto altro da indagare.

Ad esempio, la lente critica dovrà focalizzarsi sulla parte più inventiva della lingua, quella che conia nomi: si tratta di una felice propensione di stampo narrativo, questa, specie in Nummunàt’, dove il nome dei personaggi di singoli testi si fa parte integrante del potenziale plot, del racconto in nuce, raccolto a stretto giro di pochi versi, come un gheriglio di noce; capacità di inventare nomi (verosimili) che ricorda gli esiti alti e singolari, ad esempio, della narrativa di Paolo Volponi.

E occorrerà nondimeno occuparsi della narrativa sorprendente di Pagliuca, si pensi all’opera Il 1799 a Muro o la prosa vincitrice del Premio Poesia Onesta 2014 per il racconto breve: Mastro Mingoccio, pubblicato nell’antologia del Premio, …eppur si scrive, a cura di Fabio Maria Serpilli. Come pure sarà opportuno approfondire la sottile linea rossa che marca strette realtà e fiction, realismo e visionarietà.

Manuel Cohen

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Foto di Filippo Verova

Salvatore Pagliuca è nato nel 1957 a Muro Lucano (PZ) ove risiede e dove dirige il Museo Archeologico. Svolge l’attività di archeologo per il MIBACT in Basilicata.

Ha ideato e fondato il Centro Culturale Franco-Italiano, attivo dagli anni Novanta nell’allestimento di mostre d’arte contemporanea e numerosi eventi letterari, promuovendo scambi e soggiorni culturali con artisti di vari continenti. È ideatore del progetto “Le parole sono pietre, scale d’arte e poesia”. Si occupa di ricerche storiche ed etnografiche sul territorio, con la creazione di un archivio fotografico e di un archivio sonoro della sua terra.

Autore in lingua e in dialetto, ha scritto l’opera storico-narrativa Il 1799 a Muro, ovvero su di un manoscritto perduto, ritrovato e nuovamente perduto (1999). In poesia ha pubblicato le raccolte: Cocktél (1993), Orto botanico (1997), So quanti passi – Memoire de murs (1998); Cor’ šcantàt’, Stupido cuore spaventato, poesie in amore (2008); Pret’ ianch’, Pietre bianche (2010); Lengh’ r’ terr’, Lingua di terra (2012); Nummunàt’, Nomea (2018).

Figura in numerose antologie neo-dialettali, tra cui: Il rosa del tramonto – destini poetici dialettali, a cura di Luciano Zannier, Campanotto, Pasian di Prato -UD- 1998; Poeti lucani tra Otto e Novecento, a cura di Tito Spinelli, Antonio Capuano Ed., Francavilla sul Sinni -PZ- 2000; Scritture Frammentarie, a cura di L. Zannier, Edizioni del Silenzio, Udine 2005; Poeti di Periferie, a cura di Achille Serrao, Ed. Cofine, Roma 2009; Profilo della poesia dialettale lucana dal Cinquecento a oggi, a cura di T. Spinelli, Antonio Capuano Ed., Francavilla sul Sinni (PZ) 2011; Poeti delle altre lingue, 1990-2010, a cura di Pietro Civitareale, Ed. Cofine, Roma 2011; L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie, a cura di M. Cohen e altri, Gwynplaine edizioni, Camerano -AN- 2014.

Ha vinto numerosi premi tra i quali: il Premio Albino Pierro, Arcipelago Itaca, Le Voci della Luna, Ravenna-Mazzavillani, Di Liegro, Poesia Onesta.

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Manuel Cohen, critico e saggista, italianista e studioso di Geocritica, è considerato tra i maggiori esperti di poesia neo-dialettale. Ha cocurato L’italia a pezzi. Antologia dei poeti italiani in dialetto e in altre lingue minoritarie tra Novecento e Duemila (Gwynplane, 2014) e ha pubblicato saggi su Luzi, Caproni, Jabès, Jacottet, Sereni, Volponi, la poesia italiana e la narrativa israeliana. Collabora con numerose riviste. Storico redattore di “Il parlar franco. Rivista di critica e cultura dialettale”, co-dirige l’annuario “Punto. Almanacco della poesia” e il trimestrale “Periferie”.