Rileggendo il friulano di Giacomo Vit in Sòpis e patùs

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

 

 

Ci sono libri di poesia che, messi in libreria, si stringono con gli altri e restano muti; altri che, quando meno te l’aspetti, sembrano chiamarti, voler essere presi e letti, o riletti anche dopo anni. La silloge di Giacomo Vit Sòpis e patùs / Zolle e alghe (Ed. Cofine, Roma 2006) appartiene alla seconda specie. Dice nella prefazione Giuseppe Zoppelli che “Il poeta non è solo il guardiano e il facitore della lingua ma ha la responsabilità morale di comunicare fastidiose verità…qualche schiaffo di realtà a un popolo convertito in pubblico e in consumatore”. Al quale credo risponda, assentendo, l’Autore: “Solitario è quell’uomo che entra ed esce/ dallo specchio; è l’ultimo in questo mondo a parlare/ una lingua che nessuno vuole più ascoltare…un linguaggio di zolle e di alghe” -Bessou è chel on ch’al va drenti e four/ dal spieli: al è l’ultin in chistu mont a ciacarà/ na lenga che nissun al vou pi scoltà…a un lengàs/ di sòpis e patùs.”

Dentro e fuori lo specchio, evoca Alice nel paese delle meraviglie, la fantasia che legge e descrive la realtà e viceversa, un dentro e fuori l’io poetico; mentre il fango, la terra, richiama la sostanza di cui è plasmato l’uomo, dunque la sua dimensione più vera; infine, l’alga è una delle più semplici forme di vita esistenti, prive di sovrastrutture tipiche delle stesse piante terrestri. In effetti la poesia di Giacomo Vit è ben descritta da questi pochi versi, come dal titolo della silloge.

Oro e terra, Un’altra acqua, Soldato di vento, Di fuoco – Oru e Tiara, ‘N’atra aga, Soldàs di vint, Di fòuc – Terra, acqua, vento, fuoco, sono gli elementi della filosofia presocratica, che combinandosi assieme darebbero origine ad ogni forma di vita. Non è un caso che Sòpis e patùs, sia composta da queste quattro sezioni amalgamate, ma non confuse, per suscitare lo stupore. Lo stupore – sottolineo – che non ha necessità di ardite immagini o di un linguaggio declinato in molteplici forme: il dialetto friulano – assimilato con il latte materno, parlato nella scuola elementare, dialogato nei suoi luoghi e incontri – descrive il padre del Poeta, con le sue abitudini e le sue ricerche per “tornà a fa su / il mont/ che ator-ator di lui/ al va in slanis…” (per ricostruire il mondo che attorno a lui va sfacendosi); i vecchi con occhi come quelli d’una trota pescata, o d’una ragazza in un letto d’ospedale; animali di fiume e di terra e meraviglie della natura.

Giacomo Vit è attento alla cura delle cose, come delle persone, la cura restituita dalla figlia alla madre malata “Di fòuc in fòc la fìa/ a doventa mari di so/ mari, la mari di so fìa” (di fuoco in fuoco la figlia diventa madre di sua madre, la madre figlia di sua figlia);così ciascuno, e lui stesso, diviene “soldato di vento” fa la guardia al vento che muove ogni cosa e interroga ciscuno sul proprio mestiere nel mondo.

Come ritrovare la strada? Nel pou da li’ furmìis, ci dice il poeta Giacomo, nei percorsi delle formiche che dettano la ragione del mondo… tra le trappole e confidenze nascoste nella scorza dell’albero, incurante, anzi proprio grazie all’alito del vento imbrassàt a ‘na ramassaponta e sclesa (avvinghiato ad un ramo…punta e scheggia). Ancora una volta, si può viaggiare dentro il fango e nelle alghe -sotto una pioggia di luce – nella terra di nascita e di vita e nelle radici di noi stessi; ci è possibile andare oltre, restando nel luogo della nostra lingua; evitando la cenere della malattia (malinconia) e i rigagnoli d’oro (illusioni) che fanno scivolare i passi.

Indicassions par ciaminà ta ‘na ploia di lus

Ti as di ciaminà dret, tal to

stradòn, intant che strìssis

di fòuc a vègnin zù, e ‘na ploia

di lus a impiarà la not ch’a ti duàr

ta la man, ti as di schivà la siniza,

la grisa malatia dal cuarp, i corèi

di oru licuid ch’a faràn sbrissà

i piè, ti as da preparà un aga fuarta

par cuant che fìn e prinsipi

a faràn ‘na foghera

drenti di te.

Indicazioni per camminare sotto una pioggia di luce Dovrai camminare spedito, sul tuo/ stradone, mentre strisce/ di fuoco scendono, e una pioggia/ di luce accenderà la notte che ti dorme/ nella mano, dovrai evitare la cenere,/ la grigia malattia del corpo, i rigagnoli/ d’oro liquido che faranno scivolare/ i piedi, dovrai preparare un’acqua forte/ per quando fine e principio/ faranno un falò/ dentro di te.

Talpadis

Tornàit a durmì,

riposàit in pas, ades,

il rumòur ch’i vèis

sintùt prin,chel roseà,

cuma di mil farcs,

al era chel di Berto,

il svuarp, ch’al selciava,

sot la scussa dal mont,

l’ombena di un segret…

E dopu, prin de zì via

avilìt, al à lassàt ‘na strissa

di lacai, ch’i no sai

scancelà…

Turnàit a durmì,

doman li’ talpadis

di Berto a no saràn

pi vèris…

Orme. Tornate a dormire,/ riposate in pace, adesso,/ il rumore che avete/ udito prima, quel rosicchiare/ come di mille talpe,/ era quello di Umberto,/ il cieco che cercava,/ sotto la scorza del mondo,/ l’ombra di un segreto…/ E poi, prima di andarsene/ deluso, ha lasciato una bava/ di lumaca, che non so/ cancellare…/Tornate a dormire,/ domani le orme/ di Umberto non saranno/ più vere…

Un on, ‘na fòssina

Fòssina strenta

ta la man

il carburo dal cour

ch’al fa lustri,

i vui fis tal patùs

par cucà

il scribicès da la

bisata…

Ma no si nescuàrs

ch’al sta ciaminànt

cu’l so siùn

stramb ta la sitàt,

e i grataciei a lu

smìrin cun vui

inrabiàs,

e li’ machinis a lu

schìvin cun bussons

di vint sassìn…

Tal labirint

di chistu, e no di ‘n’ altri

Mont, al si sta piardìnt

Meni, medala di oru

in vuèra.

Un uomo, una fiocina. Fiocina stretta/ nella mano,/ il carburo del cuore/ che fa luce,/ gli occhi puntati sulle alghe/ per catturare/ lo scarabocchio dell’ anguilla…/Ma non si accorge/ che sta camminando/ col suo sogno/ bizzarro nella città,/ e i grattacieli lo/ fissano con occhi/ severi/ e le auto lo/ schivano con baci/ di vento omicida…/Nel labirinto/ di questo, e non di un altro/ Mondo, si sta smarrendo/ Domenico, medaglia d’oro/ in guerra.

Giacomo Vit, Sòpis e patùs / Zolle e alghe, Ed. Cofine, Roma 2006

Giacomo Vit, è nato a San Vito al Tagliamento nel 1952. Maestro elementare di Cordovado, Pordenone, è autore di opere in friulano di narrativa (Strambs, 1994; Ta li’ speris, 2001) e di poesia: Falis’cis di arzila, 1982; Miel strassada, 1985; Puartis ta li’ peraulis, 1998; Fassinar, 1988; Chi ch’i sin…, 1990; La plena, 2002; Sòpis e patùs, 2006; Sanmartin, 2008, Ziklon B- I vui da li ròbis, 2011;A tàchin a trimà li as, 2021 Nel 2001, per l’Editore Marsilio di Venezia, ha fatto uscire La cianiela, una raccolta delle migliori poesie edite e inedite scritte dal 1977 al 1998. Ha fondato nel 1993 il gruppo di poesia “Majakovskij”, col quale ha dato alle stampe, nel 2000, per la Biblioteca dell’Immagine di Pordenone, il volume Da un vint insoterat. Con Giuseppe Zoppelli ha curato le antologie della poesia in friulano Fiorita periferia, 2002 e Tiara di cunfìn, 2011. Componente della giuria del Premio “Città di San Vito al Tagliamento” e “Barcis-Malattia della Vallata”. Ha pubblicato anche alcuni libri per l’infanzia.

Maurizio Rossi 28/3/ 2023