Revuçégne/Rovistamenti di Marcello Marciani

Recensione di Gian Piero Stefanoni

 

Mi sono sempre chiesto l’origine, l’antro, da cui nasce la voce di Marcello Marciani, sempre stupito e vinto da un timbro a tratti non umano seppure umanissimo nella sua restituzione di uomini e dei, di fantasmi e terre come provenienti da un cosmo e da un inconscio rovesciato nella temperie di una lingua, che sia quella italiana o come in questo caso nel frentano della sua Lanciano, carnalmente trasfigurata nello sminuzzo del mondo e degli spiriti.

E sono venuto alla conclusione che il nostro, forse suo malgrado, sconta una veste, o per meglio dire, una dinamica da medium. Singolarmente sulla natura di questa lingua proprio in quest’ultimo lavoro lui stesso finisce coll’interrogarsi, come un Favonio che non sa da dove venga, che cosa voglia fargli dire, “ca pare doce e m’arev’é maréjje” (“che sembra dolce e mi arriva amara”). Si badi bene però, il suo non è un dettato e un timbro fuori controllo ma magistralmente levato, e non potrebbe essere altrimenti, entro una coscienza autoriale ricchissima, come rilevato da Manuel Cohen nella puntuale postfazione, tra una cultura di riferimento classica e la frequentazione delle avanguardie storiche, “faber pienamente consapevole della strumentazione, tra tradizione e innovazione”, assai abile nei rovistamenti dei testi qui proposti ad affondare in “una intelligenza del mondo con le radici in un antico mondo domestico e rurale, al contempo cristiano e irridimibilmente precristiano o pagano”. Ciò a far sì che nella “sapienza anche etnografica” che lo contraddistingue, nella ” rigorosa ricerca linguistica” da cui scaturisce, il libro si stagli anche per questo, a restare per patrimonio prezioso.

Ma poi cosa sono questi rovistamenti se non un modo per passare le fila di se stessi e capire dentro gli altri chi siamo? Marcello se lo sussurra coraggiosamente nei testi dedicati all’amato fratello Sergio, ormai non più ma responsabile della sua iniziazione alla scrittura. Ed allora da qui sembra partire il dettato, dalla casa della memoria (con gli “ehi pà”, gli “ehi mà” dedicati anche al padre e alla madre) o forse arrivare nel percorso, sì, da un mondo nella sua terra, nel suo mare, avvelenato battuto decomposto. Ed infatti segna un passo diverso per dolenza e irriconoscibilità del suolo rispetto alla produzione precedente questo Revuçégne. Nella struttura cosmogonica delle quattro sezioni in fuoco-terra-aria-acqua la parola si muove nella consapevolezza di un rito che non regge prendendo però forza proprio dall’umiltà di una povertà che abbisogna presenza, e nudità nella conferma che dove la poesia sa essere è l’esistenza nella sua vera condizione. Nudità dicevamo esposta al ludibrio di accenti malefici, di divoramenti di cui appunto il mare e la terra, l’aria vengon qua rappresentate tra forme umane deviate e degradate (la “Santa Munnezze de lu sfinimunne”- la “Santa Immondizia del finimondo”- che ha per pancia “matarazze d’ovalesse”- ” materasso d’uova lesse”) cui forse solo Dio può sostenere dando altro sbarco al fragile battello umano. La serie dei contrasti sono resi più evidente nell’appello alle care figure di una realtà (appunto rurale e domestica come si accennava) comunque ancora viva a partire dal suo immaginario e le ferite di uno spazio che le va restringendo. Esemplare in questo senso ci sembra il testo “Giugne” (“Giugno”), quadro di una cultura agricola, segnata anche dai suoi riti sacri e insieme quasi pagani che qui risalgono nella cantilena della nonna al nipote dai piedi del letto a sciogliere appunto il bene del raccolto nel richiamo al Battista:”Acque e fóche s’acciocchie.. uè s’accrescénze/la lune che dà bbérlante a la campagne” (“Acqua e fuoco si mischiano../uè va in crescienza/la lune che dà brillanti alla campagna”) ma che in chiusura poi va a stridere nel richiamo alle trivelle che dal mare succhiano petrolio e fanno sfracelli. Non dobbiamo dimenticare però che Marciani è un poeta anche d’amore, giocoso, sbeffeggiatore, irriverente. Ed è in questa dimensione che il dettato trova o prova  parziale salvezza. Nella prima sezione “Fóche” (“Fuoco”) la lingua si leva nell’esplosivo corteggiamento delle forme e delle carni, delle rincorse e dei legami del cuore, dei sortilegi anche a dire della vita la regalità di uno smaniare che deruba e appende, seduce e turba; l’amato un morso, “nu sfusà’ a vulije e vocche” (“un affusolarsi a voglie e bocche”). Un poco è ma fa il mondo- ci ricorda- ed è dunque da qui, dal suo inizio che trova verticalità il discorso a scuotere il torpore di un mondo che si va dimenticando. Nell’invito alla parola a “‘mbónne bbóne št’aria allargariite” (“bagnare bene quest’aria assetata”), a far “sciampagnà’/gocci-a ggocce a nu pensére che pompe” (far “spumeggiare/goccia a goccia un pensiero che pompa”) il libro allora va a chiudersi confermandoci un autore a noi molto caro per unicità e serietà di voce.

 

Marcello Marciani, Revuçégne Rovistamenti. Puntoacapo edizioni, Pasturana (Al), 2019.