Quasce na storia di Pietro Civitareale

Recensione di Maria Lenti

 

Pietro Civitareale ha pubblicato nel dialetto di Vittorito (AQ), paese in cui è nato e ha vissuto fino alla maturità, vari libri, che hanno arricchito la letteratura italiana in dialetto degli ultimi cinquanta anni: Comme nu suonne (1984), Le miele de ju mniérne (1998), Ju core, ju munne, le parole (2013), Préime che ve’ lo schíure (2019). Nei cassetti aveva molti inediti ora raccolti in quest’ultimo, Quasce na storia.

Il nostro poeta, prosatore inoltre, critico sopraffino e teorico di contemporaneità letterarie diverse, dal 1953 al 2021 si è divertito (in senso etimologico) con il suo dialetto: canzoni, canzoniere d’amore, serenate, traduzioni da altri autori (Eugenio De Andrade, Villaroel, Rafael Alberti, Machado, Alexaindre, Christina Rossetti, Saba, Jaccottet, Pessoa, Lorca, Pierro, Jimenez, Cattafi, Nosside): un ventaglio di incontri e cadenze, di declinazioni poetiche. Dalle Canzoni (1953-1958), nate, si direbbe, per la musica, per essere dette nelle piazze, in teatro per una intrinseca specificità (es.: Quando la lune luce tra le rane / lu core mé te parle piane piane. / / Te vulesse, Maria majje, mo’ vascià. / Ssa vuccuccia tanta rosce, / tu le sé, me fa susperà. // Ne’ mme uerde, ne’ mme respunne, ma perché? / Ne’ mme déice né scì né no. / M’addulore senza de te. Na sere nghe te), fino ad arrivare ai più recenti versi meditativi, di un nucleo interiore incentrato su coordinate esistenziali (Quadernetto 1985-2000, Altri versi –2000-2021) peraltro attingendo ai poeti stranieri più sopra nominati (Parole mie non mie 1990-2005).

Proprio la larga possibilità per il dialetto di non perdere le sue lontane origini e di accogliere un pensiero ricco di sfaccettature sulla vita e i suoi corollari sollecita la riflessione sulla vivenza dei dialetti o, viceversa, sulla scomparsa: Pietro Civitareale, infatti, chiude il volume, con il saggio Dialetto e poesia, ideale e reale continuazione delle pagine (Presentazione) iniziali.

Quasce na storia appare come un profilo, dunque, che unisce testi creativi e testi teorici, nel fondo dei quali scorre l’interrogazione sui perché e percome, da un lato, delle cose della vita, dei cambiamenti e delle costanti del vivere, e, dall’altro, la domanda sulle necessità linguistiche delle lingue dei diversi luoghi come risultato o pro-vocazione dei tempi, dei contesti, come resistenza agli azzeramenti della storia, che di azzeramenti è piena tanto più negli ultimi decenni.

Scrive Civitareale: «…la poesia “neodialettale” (…) non va in direzione della Storia, ma la contraddice, inventandosi una linea manieristica di resistenza, nella quale parole poetiche dialettali e individuo, dialetto (o impasto dialetto-lingua) e Soggetto poetico, tendono a far corpo più di quanto in passato abbiano fatto corpo dialetto e popolo. Riassumendo, si può affermare che il dialetto è l’esito, il prodotto, il frutto di una continua invenzione, la quale si concreta nel momento stesso in cui si parla.»

E in cui si scrive, aggiungo. Le poesie delle sezioni di questo libro sono tutte datate: emergono le differenze nel corso dei decenni, le nuove entrate, ma soprattutto si nota la continuità che è continuità del sentire, dell’aver radicato dentro di sé elementi reali, in memoria e nel ricordo, divenuti poeticamente metafora e simbolo conservati nelle parole innervate da tanto: piante, ‘mmernate, ciéle, arie, sàire, lìune, vrasce, vèite,…

E continuità della vita calata intera, con la sua indifferenza verso di te che la vivi nell’anima e nel corpo: «Sémme na chéusa sole, / eppure ne’ mme dà / n’atteme de pace. / I quande vu’ sapé che vole, / appurà come la penze, / bene o male, te uarde, ma nen te dà confidenze. // Accuscì è fatte la vèite. / Penze sole ajj’affére séjje. / È come na farfalle che / nen se vole fa acchiappà / i géire i regéire attuorne a téjje / soltante pe’ farse remerà.» (Siamo una cosa sola, eppure non ti dà un attimo di pace. E quando vuoi sapere cosa vuole, comprendere il suo pensiero, bene o male, ti guarda ma non ti dà confidenza. Così è fatta la vita. Pensa soltanto agli affari suoi. È come una farfalla che non vuole farsi prendere e gira e rigira attorno a te solo per farsi guardare), p. 62.

Poi? Niente. Resta la luna da contemplare, il passato dentro di te, un suono di campana mai dimenticato. Resta il tempo pazzo «che nen sa se rìdere o piagne / se fa piovere o scì lu sole» (che non sa se ridere o piangere, se far piovere o uscire il sole).

Pietro Civitareale, Quasce na storia, con una presentazione e un saggio finale “Dialetto e poesia” dell’autore, Ortona, Edizioni Menabò Abruzzo 2022, pp. 120 € 12.00