“Anche quando l’ingegneria dell’abbandono ha ormai traghettato dall’altro lato dell’attesa obbligando ad essere qualcos’altro – consci di aver sostato soltanto in un’altra destinazione parziale – resta sempre almeno un quanto di prossimità ineliminabile.”
Sintesi a mio vedere perfetta di questa silloge che si snoda attraverso quattro stazioni, tutte fortemente evocative e simboliche: Ritorni, Ingegneria dell’abbandono, Riflessi residui. Prossimità sommarie, Destinazioni parziali.
Mi soffermo su Ritorni perché – come esprime la stessa parola- racchiude la partenza e l’arrivo e dunque il viaggio; qualcuno disse che la Poesia è ritrovare la strada di casa, viaggio per ritornare, viaggio per ritrovare.
Tutto si ricompone, anche il titolo, sintesi di scienza e poesia: nella teoria dei quanti e nel significato scientifico di prossimità, è bene espresso il segnale definito, emesso e rilevato, che avvisa e precede il contatto; e sono le emozioni come “quantità” di onde che vanno e vengono, a segnalare la vicinanza o meno, a stabilire un incontro tra le anime nel loro andare e tornare.
“Si sciolgono a tratti delle voci/ sulla rotta che ascende alla tua isola/ e annuso l’aria cercando le tue sillabe;/ ancora un breve passo per l’approdo/ (dove lascio sempre i miei pensieri)/ dove tu aspetti volta ancora/ all’orizzonte che è già nostro/ me.”
L’esistenza per Rafaelli è scandita dal tempo dell’attesa – che sia una stazione, una fermata di autobus, o lo sguardo nel riquadro d’una finestra – non dilatato, ma compresso per la prossimità di presenze, tanto più reali quanto più memoria, silenzio, riflesso residuo “Solo questa breve percezione/ basta al nome che apre la memoria/ dall’altro lato della casa…” Presenze anche solo pensiero “È così che tu ritorni: scalza /sul pavimento dei pensieri /freddi.”
Il mondo poetico di Giorgio Rafaelli non ha l’instabilità di chi non trova un percorso nell’esistenza, bensì adombra il principio dell’indeterminazione di Heisenberg, per cui in un istante preciso non posso sapere dove sia una data particella submicroscopica né conoscere la sua velocità, senza alterarla con l’osservazione, cioè illuminandola. Per analogia esiste la possibilità che “osservando” la Poesia, la “altero” con la luce e l’emozione del mio sguardo: dunque il luogo e il percorso della Poesia divengono realmente un non luogo, sempre altro rispetto a quello immaginato o pensato “Ma le cose lentamente si sparpagliano/ migrando fuori dal recinto consueto/ dove si aprono altri spazi/ come sul letto, ancora inesplorati.”
E ancora scavando trai versi, si sperimenta una sorta di straniamento cosciente: capita ad esempio di entrare ed uscire da dimensioni dello spazio e del tempo indefinite “Intatti ci si sfila dal diurno /solo il poco che resta /poi si scompone il rimanente /i frammenti si rimescolano schivando i corpi, /i visi che ti passano accanto /forti del loro silenzio /e il tuo ancora più forte /che ti soffia da una crepa.”
Ci sono forti contrasti in questa poesia, come d’altronde in ogni ricerca dentro o fuori di sé che rimanga tale e non si accontenti di singoli step, di abitudini, di facili vie d’uscita; perché, dice l’Autore, rimane il segno anche di “ciò che non ho colto” la consapevolezza che si può essere abbagliati dalla superficie della marea, pur sapendo che resta la profondità e a volte restituisce “ciò che era”.
Così questa silloge rivela poesia di pensiero, riandando – con le dovute e ineludibili differenze- all’epoca in cui la Filosofia e la Poesia non si erano ancora spartiti il mondo della coscienza e della conoscenza: “Esiste una matrice che incolla tutto? /e fa incastri che diventano certezze/ non un’altra cosa, che non sai dire,/ con le domande che rimangono” E analogamente fa una profonda e sintetica riflessione sullo spazio e sul tempo lineare, pensando al tempo di un saluto, spaziotempo di uno sguardo che può dare “forma” ad una parola, il cui senso è privo di ritorno.
E’ poeta, Rafaelli, anche quando accenna ai grandi temi della Fisica attuale che, venendo da un desiderio di scienza – di sapere – fanno apparire meno drammatico il cielo del nostro destino, teso al grande mare oltre le colonne d’Ercole di ogni tempo.“Materia oscura che resiste, energia oscura che allontana,/ sono solo ciò che non sappiamo di quanto ci resta del cielo…”
In fondo, ciò che cambia è la prospettiva, lo sguardo, l’andare oltre “Le sagome fisse dei palazzi meridiana/ che gettavano le ombre a girare i giorni/ continuano a ruotare le medesime ore/ oggi come sempre ma con altre prospettive.”
Che dire poi dell’immagine di copertina, le due pietre che sono sostenute e connesse da una terza, se non che evocano l’immagine di due atomi uniti da un legame chimico o di due particelle tenute assieme da una forza fisica? “Quanti di prossimità” appunto, nella speranza che -ricordando Quasimodo – ci accomuni lo stesso raggio di sole che trafigge ognuno, prima che venga, veloce, la sera.
Accade
Seguo le orme del giorno
ma non so scriverne la traccia.
Interrompo più volte
tra passato e futuro il conto
che non dà più la cifra esatta.
Una nebbia mi trattiene
e la geometria parallela
a cui mi congiungevi
diverge ora da ogni parte.
Difficile dire quando
si è radicato il sospetto;
conservo così il mio cruccio
reliquia di ciò che resta
e che di noi accade.
Dello spiffero che taglia la fessura
passa presto la traccia nella polvere
il segno scritto nello strato
che il fare o non fare comunque posa.
Non trova nessuno, spesso
la tenda che si gonfia
a volte da un vetro che resiste
parte un suono, un tintinnio
se ce n’è abbastanza
da turbare l’equilibrio.
Solo questa breve percezione
basta al nome che apre la memoria
dall’altro lato della casa
nella stanza che si sposta
al futuro che era nel passato
e tu restavi.
Un appunto
Come ripercorrere un appunto
pronto sul foglio per il tempo giusto
– risuoni da un angolo nascosto.
È così che tu ritorni: scalza
sul pavimento dei pensieri
freddi.
Mareggiata
Passi il tempo a scindere
ciò che il mare riporta a riva
quando la burrasca improvvisa
agita la notte.
Scisso tu stesso, immagini
una possibilità di separazione
tra ciò che è bene e ciò che era,
quanto ora sembri irrinunciabile
e tutto il resto –
con tutta la profondità
nell’abbaglio della superficie –
Persistenza
Dove resta solo la tua impronta
Il me che dispari rimane due.
Di un saluto mi resta un momento
con poche deboli certezze
e non ricordo se mai sia stato
veramente un luogo o uno sguardo
in cui ho sostato un tempo esatto
per dare forma a una parola
il cui senso è privo di ritorno
Consapevolezza
Puoi guarire
quando è opportuno
stilando un elenco di cose
che poi diventano persone
la parte che non riesce a morire
il tempo giusto
pieno dell’ultima parola
per i rari
attimi di pienezza
nella consapevolezza
di salvarci
solo a tratti.
Giorgio Rafaelli, Quanti di prossimità, Ed. Arcipelago Itaca, Osimo (AN) 2022
Giorgio Rafaelli nasce a Roma dove si laurea in fisica. Si trasferisce ad Avezzano per lavorare in un’azienda tecnologica operante nel settore dei semiconduttori. Pubblica nel 2016 il libro di poesia Ultimo firmamento – quale vincitore, nello stesso anno, del primo premio al concorso Pegasus Golden Selection – e nel 2017 la silloge Il nostro debole apparire. Entrambe le pubblicazioni ottengono molti riconoscimenti in concorsi letterari, mentre tra i numerosi nella poesia singola inedita si segnalano, nel 2018, il primo premio nella 43^ edizione del Premio “Casentino” e, nel 2019, il primo premio nella 21^ edizione del Premio “Il Litorale”. Nel 2021 è finalista al Premio “Bologna in lettere” e segnalato al Premio “Lorenzo Montano”. È presente in molte raccolte antologiche di concorsi letterari, nell’antologia Letteratura 2.0 ed è apparso sulla bottega della poesia del quotidiano “la Repubblica” (12.10.2019. ed. di Roma) e sul blog “Imperfetta ellisse”.