Ponti sdarrupatu di Alfredo Panetta

di Luigi Ianzano

 

Una lunga meditata via crucis ho percorso, tra le più fresche macerie della nostra civiltà, presto rimosse e già di nuovo immaginarie, memoria scomoda e ingombrante di fallimenti plateali. Sotto quel ponti sdarrupatu con passo austero ho traversato, tra fango e sangue e zali antichi, l’acqua infernale che «trasporta le scorie dei sogni nella pancia del mare», hjiumi ‘i città dove «torneranno a giocare i bambini su strade cosparse di croci», dove le guci ‘i rugha dei miseri umani «rendono concreto l’assurdo» e «Bene e Male banchettano nello stesso piatto di ceramica», dove sono tanti «altri fantasmi a nutrire i sogni dei fessi» che vanno pure «in vacanza allegri come malati terminali ad aggredire la stagione».

Quarantatré pilastri per quarantatré stazioni di figli di mamma e groppi in gola, guidato dall’antica voce dialettale che più forte grida aiutu!, «parola spietata che s’incolli come geco», che più – nota Tesio in prefazione – aderisce al vero e si assume il carico di tutte le voci, in una smaliditta notti oscura in cui a crollare si rivelano pure «le nostre certezze, un’idea lineare di futuro», in cui «raccogliamo i nidi di serpi che tutti abbiamo covato» e – sbigghjiamundi! – vaghiamo comodamente ciechi e «crolliamo come i medici nazisti nell’orribile pantano della legalità». Su quel pontu che si fa bilancia, «tra vero e verosimile sospeso», «pesa di più il silenzio dei giusti»; erba e haccia confermano, fra le sue viscere offese, che «ogni vita ha nel seme la fine e ciascuno il suo foglio d’addio».

A parlare, qui, è il poeta, l’uomo vero per tutti a tutti. Gravi e possenti, ricercate e pungenti le sue «parole di fango», le stesse di Admir e Marius, le stesse del collega cantautore genovese col quale, a pugnu laprutu, Alfredo Panetta canta e disincanta, e si consola, invitando a decifrare realisticamente la vita «col profumo eterno del letame».

Alfredo Panetta, Ponti sdarrupatu, Passigli Poesia, 2021. Prefazione di Giovanni Tesio.