Poesie per un anno 68 – Leonardo Mancino

di Francesco Paolo Memmo

 

Leonardo Mancino (1939-2010) è stato tra i protagonisti della poesia cosiddetta postsessantottesca, anche come direttore di una importante collana di poesia per l’editore Lacaita. Oggi pare anche lui, come del resto tanti altri, dimenticato. Peggio per noi.
Era anche un uomo simpatico: così lo ricordo nelle poche occasioni in cui ci siamo incrociati. Ci accomunava l’amore per Sereni e Matacotta.
Ha pubblicato una ventina di raccolte di versi. Cito solo le più importanti: «Alle radici dei gesti ed altre cose», Lacaita, 1971; «Per struttura s’intende…», Geiger, 197 «Il sangue di Hebert», Lacaita, 1979; «Dichiarazioni silenzio e giorni», Cappelli, 1987; «L’ultima rosa dell’inverno», Campanotto, 1993; «Albarosa del mattino», Stamperia dell’Arancio, 1993; «L’utopia reale», Caramanica, 1994 (è un libro antologico); «La curva di Peano. Poesie (1995-1997)», Stamperia dell’Arancio, 1999; «Dove un perfetto sofisma. Poesie (2001-2003)», ivi, 2003.
L’opera poetica di Mancino «testimonia, fin dai primi testi, l’alto grado di coinvolgimento personale e al tempo stesso il diritto del poeta di non allinearsi e di convivere con le contraddizioni sia del reale che dell’essere umano, operando nel contempo una difficile mediazione tra le dure, fredde verità della Scienza moderna e le emozioni che a quella durezza si contrappongono» (Cinzia Monti). E sempre col linguaggio lucido, preciso, del poeta autenticamente civile.