Bartolo Cattafi (6 luglio 1922 – 13 marzo 1979) è stato poeta prolificissimo, autore di una cospicua opera scandita attraverso libri come «Le mosche del meriggio» (1958), «L’osso, l’anima» (1964), «L’aria secca del fuoco» (1972), «La discesa al trono» (1975), «Marzo e le sue idi» (1977), «L’allodola ottobrina» (1979).
Siciliano di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), la sua poesia, così eccentrica rispetto a qualsiasi moda o corrente, si caratterizza per una straordinaria capacità di astrazione e di metaforizzazione dei dati oggettivi; per una evidente tendenza a recepire il flusso dell’inconscio; infine per una visionarietà onirica e persino barocca.
Le cose, gli oggetti prendono in Cattafi le forme del paesaggio: ed è un paesaggio naturalmente mediterraneo, solare, quasi calcinato e bruciato; ma poi, sempre più col trascorrere degli anni, la luce solare si muta in una sorta di luce spettrale, e quella poesia – all’apparenza così leggera, persino così “facile” – si carica di un senso drammatico che ha i colori della morte e del dolore.
L’opera di Cattafi è percorsa da un lungo e ininterrotto filo rosso, da un grande tema conduttore, che è quello del viaggio: e si trovano in questo senso annotazioni precise, nomi di luoghi geografici, di mari e di porti, a partire dal giovanile libretto intitolato «Partenza da Greenwich» (1955); ma si tratta, appunto, sempre, di un viaggio metaforico, un viaggio interiore, che si serve di ciò che è visibile per compiersi invece nella sfera dell’invisibile e dell’inconscio.
Un viaggio di esplorazione che avviene per così dire non in orizzontale ma in verticale, dall’alto verso il basso, come discesa, «discesa al trono», discesa agli inferi: un inferno però popolato da nessuno e da niente, perciò tanto più angosciante, perché fatto di vuoto.
Nel 2019 Diego Bertelli ha curato un’edizione di «Tutte le poesie» per Le Lettere di Firenze.