Pieghevole per pendolare precario di Piero Simon Ostan

Riflessioni critiche e testi

Piero Simon Ostan. Nato nel 1979 a Portogruaro, dove vive. Nell’ottobre 2006 pubblica per Campanotto editore la sua silloge d’esordio Il salto del salvavita, con prefazione del poeta Giacomo Vit. Nel 2006 e nel 2007 partecipa alla Festa di Poesia di Pordenone e dal 2009 collabora anche alla sua organizzazione. Sue poesie sono pubblicate all’interno delle quattro antologie poetiche Notturni Di_Versi (Nuova Dimensione editore). Nel 2009 e 2010 partecipa a Pordenonelegge.it sia come autore che come collaboratore. Fa parte dell’Associazione Culturale Porto dei Benandanti di Portogruaro con la quale organizza eventi culturali come il Piccolo festival di poesia: Notturni Di_Versi e Orchestrazione. In particolare assieme al gruppo I Poeti Benandanti partecipa a numerosi readings e perfomances poetiche. Nel 2011 ha pubblicato la sua seconda raccolta Pieghevole per pendolare precario edito da Le voci della luna con prefazione di Gian Mario Villalta. E’ insegnante di lettere alle scuole medie. Nel 2011 ha vinto a Cetona il Premio Poesia Giovani.

Pieghevole per pendolare precario

Il nuovo libro di poesie di Piero Simon Ostan Pieghevole per pendolare precario (Le Voci della Luna, Milano, 2011, euro 10) arriva cinque anni dopo l’esordio de Il salto del salvavita (Campanotto, 2006). Già nel titolo, emergono due tracce della poesia di Ostan, una tematica la precarietà) e una stilistica (l’ironia). Il libro attraversa la difficile condizione di una generazione, descrivendo dettagli e luoghi in un modo mai rassegnato, bensì capace di distaccarsi, magari con un sorriso amaro, con le allitterazioni e i giochi fonici che sembrano immergere persino il traffico della tangenziale di Mestre in un’atmosfera da favola di impronta zanzottiana.

Nella prefazione, Gian Mario Villalta afferma:«apparentemente dimesso, l’aspetto formale e linguistico di queste poesie gioca invece una posta molto alta, scommettendo sulla soglia di abbassamento possibile della tonalità lirica, fino al dialetto più tritamente quotidiano, per ottenere un’attenzione più disarmata e fare breccia nelle difese del lettore». Ecco allora che l’individuo-lingua non teme di addentrarsi nell’impoetico, perché ciò che gli interessa veramente è cogliere la direzione del nostro tempo.

Osserva ancora Villalta: “Il fatto che spesso la pointe del discorso poetico venga dal basso, dall’espressione comune e, ancora più spesso, dal calco dialettale o direttamente dal dialetto più corrivo, è rilevante per individuare l’angolatura particolare da cui guarda questo poeta. Paradossalmente Piero Simon Ostan sembra scrivere poesia non per misurare la sua differenza – come da tradizione novecentesca – dal mondo dei consumi e della coazione comunicativa sociale, quanto piuttosto per aderirvi, per trovare il modo di integrare in esso quella sua parte di individualità assoluta che non potrebbe e non vorrebbe starci. Questo significa portare la sfida nel cuore dell’impoetico; significa quindi aver trovato la traccia per stanare la vera poesia”.

Nella sua poesia ci sono così tanto segni della quotidianità, a volte anche banale: le insegne dei negozi, il navigatore satellitare, il cellulare, la mensola conficcata nel cartongesso.
“Io – afferma Ostan in un’intervista su https:////blogleomajor.wordpress.com – vivo in questo tempo. Sono immerso in tutti questi oggetti, li uso e li vedo tutti i giorni, sono parte della mia quotidianità, e sono ormai i punti distintivi della nostra generazione. La mia poesia si risolve hic et nunc, quindi non posso prescindere da ciò che ho intorno. Certi oggetti come la mensola mi servono poi solo come metafore, per portare il discorso completamente da un’altra parte. L’intento, forse presuntuoso, del pieghevole è poi quello di provare a dire: vanno bene cellulari, navigatori, insegne ma l’importante è che ci sia sempre un senso nell’uso che ne facciamo. In sostanza mi sembra che siamo molto spesso dipendenti dagli oggetti, invece dovremmo provare almeno a riflettere sul rapporto che con loro abbiamo instaurato, provare a dare ogni volta un senso all’uso delle cose; ma questo non vale solo per gli oggetti”.

E su una delle caratteristiche più evidenti della sua poesia: l’intersezione continua cioè di italiano e dialetto, ecco come motiva la sua scelta: “Durante gli anni dell’università (…) Ho cominciato a studiare Pasolini degli anni di Casarsa, Virgilio Giotti, Biagio Marin e poi Romano Pascutto e Giacomo Noventa. Mi si è aperto un mondo nuovo, quello che sapeva della mia terra. Il mio primo testo che io possa annoverare come testo poetico diceva: Che bel che xe, mama leser le poesie in dialeto/ Somea quasi che le sia più tue. È dunque il dialetto che mi ha dato la motivazione per iniziare a scrivere ed è appunto in dialetto che ho cominciato. L’Italiano è venuto dopo; senza accorgermene, mentre scrivevo, scivolavo nel dialetto. Il risultato mi è sembrato interessante, anche dal punto di vista della musicalità del verso; poi mi sono accorto che (una cosa tipica delle nostre zone) in situazioni comunicative informali tendo, mentre parlo in italiano, a mischiare e a scivolare nel dialetto. Dunque avevo semplicemente, senza rendermene conto, prodotto una mimesi del parlato nelle poesie; da quel momento non ho più smesso di scrivere così”.

A proposito del ruolo giocato dal paesaggio nella sua riflessione poetica, Ostan confessa: “Il paesaggio è fondamentale nella mia poesia. Mi ha sempre affascinato il rapporto poesia/paesaggio (…) Ne Il salto del Salvavita ho fatto un operazione abbastanza banale: quella di misurare la distanza tra il paesaggio tradizionale e quello contemporaneo. Ottenendo come risultato una sorta di nostalgia che non era di certo né innovativa né particolarmente brillante. Nel “Pieghevole” invece, il tentativo è stato quello, non tanto di misurare una distanza, quanto di mostrare, attraverso le poesie, un paesaggio che modifica inevitabilmente, nelle sue espressioni, lo stato d’animo. È dunque un paesaggio che, seppur reale e oggettivo nel “Pieghevole” diventa del tutto interiore e funzionale a mantenere quel filo rosso sottile, cioè la precarietà, che intende unire la mia raccolta.

Alcuni testi da Pieghevole per pendolare precario 

Pieghevole per pendolare precario

Eccola la voce simulata
dopo il dlin dlon
dice in giro del ritardo
e cala sui clienti
la faccia aggiustata
a rassegnazione del:
“cos’che te gavevo dito mi”. (1)

E poi la disperata procedura
di ricerca di un sedile abbandonato
per un viaggio confortevole
su rotaia di stato
aggravata dalle condizioni metereologiche
che non dicono mai:
“Oggi arcobaleno a nord – est”.

E come lo spiego io
con il sistema di scrittura braille
l’accomodare la vista
al di fuori del finestrino,
l’appoggiare all’udito
l’apparecchio per il
brano appropriato
all’alternarsi di campi
e scritte sui muri di mestre
fin a venesia dove il convoglio
se buta in aqua. (2)

Come lo spiego io
che dopo aver
regolato la tendina
in modalità sole negli occhi
pol suceder de veder la
manina del nevodo (3)
sottobraccio del nonno
in savate (4) da festa
sulla panchina che
fa stare in attesa

pol suceder de veder la
manina del nevodo
sottobraccio del nonno
quela che rincurarà
el balon scampà
ta l’orto a spacar
butui de pomodori. (5)

(1) “che cosa ti avevo detto? ” – (2) fino a Venezia dove il convoglio / si butta in acqua – (3) può succedere di vedere / la manina del nipote – (4) ciabatte – (5) può succedere di vedere la / manina del nipote / sottobraccio del nonno / quella che raccoglierà / il pallone scappato / nell’orto a spaccare / i germogli dei pomodori.

grandi radar

I grandi radar hanno sentito
l’arrivo della perturbazione
il diluviare della notte

Oggi è un giorno che si vede
la curva dove scende il mondo
e non ci sono palazzi
piantati in mezzo agli occhi

I grandi radar mi vedono passare
nella distesa d’asfalto
a portarmi dietro lo stomaco stipato
e i segni della radiosveglia

Oggi è un giorno che si vede
la curva dove scende il mondo
e non ci sono negozi
spuntati in mezzo ai piedi

I grandi radar mi spiano di soppiatto
mi seguono quasi dando nell’occhio

ma non la vedono l’iride illuminarsi
del riflesso della mattina sui rami
non la vedono la brina dell’argine
che scintilla e rincuora
e rianima l’abitacolo.

metri quadri

c’è qualcosa di ingombrante che non va
dentro l’ingranaggio delle cose
dentro questa casa.

tu hai cura che io possa
avere tutto il tempo
che possa valutare i dettagli
aspettare che venga il momento

“potremo liberare l’armadio
portare un po’ di cose in cantina:
la camera è abbastanza grande
anche per due”.

aspetto che fra qualche giorno
magari dopo aver spreparato tu dica:
che non sono i metri quadri che ci mancano
è lo spazio
quello dentro

il buio degli occhi

adesso che le bussole sono tutte difettose
o non le sappiamo più usare
l’insegna dei negozi del centro è la stella polare
la strada la segnano i neon interni delle vetrine
e il buio non viene mai
siamo noi gli infagottati di nebbia
su tutta la pelle che non sfiora
che sbatte solamente, che si sbecca
nello scontro.
Riverrà un giorno il buio pesto
e non sapremo
riadattare la pupilla.
distinguere l’albero mosso dal maltempo
dal legno fatto mobilia a poco prezzo
varda fisso dentro, varda
il calìgo
el xe tai oci, xe tai oci
che no i dise
xe dentro tai oci che no i
brusa che i se stua
i perde el mar fondo che
i ga dentro
i diventa
acqua tùrbia[*]

[*] Guarda bene dentro, guarda / la nebbia / è negli occhi / è negli occhi / che non dicono / è dentro negli occhi che non / bruciano che si spengono / perdono il mare profondo che / hanno dentro / diventano / acqua torbida.

convivenza

hai sentito ieri come certi poeti
dicono le cose, costruiscono il verso,
lo intuisci anche dal colore della voce
da come pongono la parola.
ti chiedo poi come sia andata la mia lettura
mi dici che è andata bene che ho poesie
collaudate, che sono sempre le stesse.
che ormai so che funzionano.
poi guardi su il pezzo di cielo fra i due tetti
oppure verso l’orizzonte nascosto dal verde
delle montagne.
mi pare di sentire il rumore dei tuoi pensieri
di distinguerli tra mille
ne rimane uno che ha il retrogusto del precipizio
se solo una sola volta riuscissi ad essere poeta
dentro casa, nella convivenza della cucina
una volta almeno, una volta soltanto

 

Un video

www.youtube.com/watch 

18-12-2011