Tra oggetto (pietra, muri spogli ) e soggetto (il corpo umano, pelle di cicatrici) la poesia di Miguel Angel Cuevas stabilisce nessi, rapporti, corrispondenze lessicali di forte impatto. La cifra stilistica è secca, netta, intagliata sulla Piedra -y cruda (Pietra- e cruda), versi pubblicati con La Camera Verde (Roma, 2015), traduzione italiana a cura di Giovanni Miraglia, che esprimono del nulla l’assedio invisibile ma concreto quanto l’artiglio/ che si solleva o/ affonda, taglia, ferisce, graffia e scava il corpo che si fa nome oppure è traccia/ desolata. La desolata, e perciò tanto più sacra vita che qui è rappresentata nella sua fragilità, corrosa e friabile, eppure tenace, esistenza che da sé si scrive, da sé si cancella e torna a riscriversi: come in un palinsesto, altre biografie si avvicendano, sollevano la crosta/esausta di sangue/ secco grigia di cenere del corpo/materia a perdere. Non inganni l’asciuttezza di un dettato poetico risolto in parola pietrosa (e precisissima) con la quale si evidenzia tanto il concetto quanto la metafora della materia vivente e della materia inerte; l’una rimanda ed è vicina all’altra, due stanze contigue, unite dallo stesso codice espressivo che produce un’eco straniante, parola che lo stesso poeta riconosce estranea che/ nessuna lingua incarna. Disincarnata –appunto- dunque drammatica quanto un atto definitivo, totale: un’altra crocifissione/(…)/ luce grigia scaglia sepolta. Essa stessa pietra, dura, concreta, è la parola che scolpisce e denuncia e mette a nudo la realtà: ma ugualmente è, la parola, vita a sé stante, parallela alla nostra, a farsi carico di un sentimento non sbandierato, l’empatia che qui, per misura ed equilibrio stilistico, cifra del resto presente nella precedente produzione poetica di Cuevas, è soprattutto comunione, condivisione.
Ne è emblema la tavola, il desco quotidiano che è anche altare sacrificale (del cibo che ci nutre, come dell’uomo): tavola macchiata, impregnata di olii, bitumi, grumi e umori, unta, sulla quale si lascia come un’impronta corporale, copre o disvela nodi, bocche perché respiri, (…) d’ossa svuotate del midollo,/ (…) sporche mani di pelle/screpolata, solchi d’argilla acida, in un crescendo di particolari, dalla superficie compatta alla profondità dello scavo, sino a disvelare ciò che sta sotto: la traccia d’ umidità, l’incàvo matrice della larva, la metamorfosi inversa.
Maria Gabriella Canfarelli
Nota biobibliografica
Miguel Angel Cuevas (Alicante, 1958), già docente presso l’Università di Catania, insegna letteratura italiana all’Università di Siviglia. Studioso e traduttore di Luigi Pirandello, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Vincenzo Consolo, Maria Attanasio, Angelo Scandurra, ha inoltre curato le edizioni italiane di José Angel Valente. Per la poesia, in Italia ha pubblicato le auto-traduzioni dell’antologia 47 frammenti (2005) e Scrivere l’incàvo. Studio per Jorge Oteiza (2011). Ha inoltre pubblicato le raccolte Celebraciòn de la memoria (1987); Manto(1990); Incendio y término (2000); Silbo (2001); Memoria (2013); Modus deridendi (Santocono Editore, 2014).