Parôl d’sêl e d’mél (parole di sale e di miele) di Nevio Spadoni

Recensione di Vincenzo Luciani

 

 Non per un gioco ozioso, esaminando l’ultima raccolta, in dialetto di area ravennate, Ville Unite, di Nevio Spadoni, Parôl d’sêl e d’mél (parole di sale e di miele), ho fatto un raffronto con “L’incòẓan” (L’incudine), una silloge inedita di 23 poesie premiata nel 2021 con il secondo posto al Premio Ischitella-Pietro Giannone.

Ho notato oltre al cambio del titolo della raccolta e della poesia di apertura, la conferma identica di 14 testi e, con poche modifiche, di altre 9 della precedente silloge e la presenza di 13 nuovi testi.

Alla prima lettura, già nella versione del 2021, mi apparve come una bella, ispirata raccolta, con parole e concetti essenziali ed arditi sprazzi lirici con prevalenza di malinconia e consapevolezza in cui la provetta padronanza della parola poetica si combinava con il nutrito bagaglio dell’esperienza.

La motivazione della Giuria del Premio garganico ne esaltò l’eleganza semplice e rarefatta dei versi, la concisione e le accensioni liriche di straordinaria intensità. Piacque molto Al caruvâñ, breve poesia lirico-memoriale, che apre Parôl d’sêl e d’mél con la sua dolente malinconia, la consapevolezza delle perdite accumulate negli anni, e la percezione in un’immagine di un mondo e di un’epoca: la gioventù, l’amore e la passione per il cinema.

Le carovane in corsa dei vecchi film western in cui l’allora giovane autore fantasticava di salire al volo, «non lo hanno portato da nessuna parte”. E al poeta – attingo dalla motivazione citata – “come in una luziana “tratta d’anime e di spoglie”, la vita si rivela per quello che è: un sogno della realtà, una realtà a lungo sognata; oppure un dondolare in un “sonno fatto d’acqua”, liquido e non prensile, e tuttavia affascinante avventura in un universo sensibile e esistenziale la cui visionarietà si accende di realismo magico e di rara tenerezza, di autorevole intensità».

La rivista Periferie (Aprile/Settembre 2021 n. 98-99) la selezionò non a caso fra le tre poesie tratte dalla quella raccolta (e riconfermate nella nuova) insieme a Al papözi (Le pantofole) e a E’ pân dla pêṣ (Il pane della pace) di cui propongo qui ldi seguito la traduzione:

LE PANTOFOLE – Con pantofole di velluto vaga la notte, / getta dentro al pozzo / una luna settembrina. / Non so perché / ma questo tremolio d’argento mi fa star bene / e come lei dondolo / in un sonno fatto di acqua.

IL PANE DELLA PACE – Non muore il cuore degli uomini, / perché continua a battere in quelli che verranno, / nelle parole succhiate col latte della mamma / e in quei gesti che come orazioni forano / il silenzio garbato del cielo. / Diresti che si accende così la vita: / fatta di volti, di ombre che si divincolano / nel paretaio del mondo, / che cercano il pane della pace. / Forse un bel giorno / ritorneranno ancora le api al favo, / dallo sparviero più libere le rondini.

La maestria di Spadoni, nella nuova raccolta, si conferma sia nella ricerca continua del togliere parole per rendere più essenziale il suo dire che nell’aggiunta sapiente di nuove espressioni come ad esempio nella citata poesia Caruvâñ che presenta l’inserimento di un nuovo breve verso rispetto a quella del 2021 e dove diceva: cun al parôl  che da burdël a t’ dgéva, ecco un’importante modifica: mo nench e’ dolz / cun al parôl ch’a t’dgéva da burdël che rafforza il senso del titolo dell’opera: Parôl d’sêl e d’mél. Parole di sale, ma anche dolci come il miele, quello dei ricordi.

Di miele e di sale sono fatti i giorni della vecchiezza e La luntanânza l’è ’na breṣa d’mél (La lontananza è un favo di miele) ma non manca il sale della solitudine e del mugugno quotidiano. A volte riaffiorano ricordi vivi dell’infanzia, “come soffi d’aria” che riportano ai giochi prediletti dell’infanzia, a volte sono immagini che volano sulle ali dell’“uccellino della neve” che cerca rifugio e una briciola di pane. Ci sono giorni dove tornano ricordi di persone come quel Giuvachen che era brutto ma proprio brutto (Brot l’éra brot) col “cappello da Passatore e sguardo torvo”, come l’omino della smorfia (L’umarcî dla gnegna) col suo brutto ghigno / da far scappare di spavento anche i dottori, ma che si credeva bello ed elegante… e soprattutto, il più gran scopatore.

Deliziosa la sequela di difetti che i suoi nonni gli riscontravano e che Spadoni divertito elenca per poi concludere: “ma io, chi sono stato? / Chi sono? / C’è qualcosa di mio / che sia soltanto mio?”

Annaspare nel buio (Naspê int e’ bur) è brutto, / alzarsi la mattina e non sapere / se poi per te si farà notte / e ancora giorno.

I dolori lancinanti della vecchiaia, segnano i giorni di tristezza, e ad essi si aggiunge la mancata consolazione della maledetta poesia che “solo quando le pare viene / e mi confonde le carte”.

Come se ciò non bastasse si scatena pure l’alluvione dell’estate 2023 che ha colpito il suo cuore e la sua Romagna, mettendola in ginocchio

Purtroppo “La vita è questo teatro di ombre / di qualcosa che è stato, parla e ritornerà. / Che volete mai dire, / ognuno sceglie il burattino che gli pare: / io, quelle parole con la tempra del fuoco (Cun la tempra de’ fugh), ma “fragili sono le nostre ali / e senza i sogni si spezzano”.

E la sinfonia “che lega / la terra al cielo / di un dio malato infettato dagli uomini, / si è spenta all’improvviso. / Per un po’ hanno vagato / dei palloni inzuccherati di pace; / si sono toccati là lontano, / poi sono scoppiati e nessuno gli ha più dato importanza”.

Lo sconforto quindi si fa totale nella sua globalità e, a lettura ultimata, ritornano e si giustificano le inconsolabili parole della Nota dell’Autore:

«Ci siamo più volte interrogati sul senso dello scrivere: perché, cosa, per chi? E il dubbio fra senso e non senso del tutto, ha strozzato parte dei nostri giorni, e ci siamo accorti che ormai annotta. Che il possibile lettore prenda questi versi come un ronzio d’api stanche, “tardive”, non più avvezze ad elaborare miele. Si fatica a sentire perfino il profumo del calicanto nel freddo gelido dell’inverno; oh l’inverno, con le sue ferite che bruciano come stecchi! Potrà almeno una parola sola rialzarci? E il martello continua a battere sull’incudine l’ora sorda e viva dei ricordi e il tocco sinistro del presente».

Nevio Spadoni, Parôl d’sêl e d’mél Parole di sale e di miele. Poesie in dialetto romagnolo . Prefazione di Manuel Cohen, Arcipelago Itaca, 2024