Nel corpo vivo dell’aria

La nuova raccolta di Marco Munaro

Come nella precedente Ionio e altri mari, anche in questa nuova raccolta di poesie il paesaggio diviene lo snodo di esperienze umane ed espressive: non un generico sfondo ma un dispiegarsi di ambienti reali, percorsi e vissuti come tutti i luoghi in cui concretamente il corpo, gli affetti, il pensiero trovano dimora e, con essa, il ritmo della scrittura “come un’invocazione / del tempo amante fedele e tradito / alle cose che sono”. Quanto tutti gli elementi scaturiscano dalla medesima sorgente, lo dice direttamente il poeta in una delle brevi prose della sezione Driocero: “Ciò che uno pensa e dice è un seme del luogo che lo abita, e il pensiero e l’anima, come la parola, fioriscono in un luogo”.

La concretezza fisica si fonde con un’esigenza comunicativa aperta agli altri e alla ricerca di parole che svelino il senso delle relazioni umane, come nel poemetto che ruota intorno ai disegni del figlio, attraverso cui si percepisce la giusta intonazione per cogliere il mondo “con la musica / che i tuoi passi i tuoi salti / nel divenire e nell’essere fanno / nel corpo vivo dell’aria”. Frammenti del proprio io, anche le esperienze passate aderiscono ai luoghi e il ricordare non è pura immagine statica ma un riandare attraverso sentieri, strade, sponde di fiumi. Predomina lo sguardo che si sofferma sui particolari, coglie stati d’animo e colori ma tutto rimescola nelle insolite traiettorie della poesia: “È un ridere di argenti anche il nostro essere / caduti come dadi / così vicini, siderali”. Uno sguardo ‘veggente’ che offre un suo omaggio a Rimbaud con “I poèt ad sèt an – I poeti di sette anni”, un testo nel dialetto materno di Castelmassa. Munaro non è un poeta in dialetto (lui stesso lo specifica in nota) ma l’uso di alcuni termini legati ad attività, come l’andare a pesca “a palpét”, e di molti toponimi è indice di fedeltà ad una terra abitata, di un radicamento personale che si dispiega naturalmente verso gli altri, come testimoniano i testi dedicati ad amici poeti, alcuni contemporanei, altri ormai lontani ma percepiti come legame vivo che persiste nel tempo attraverso le parole, “come un sole interrato / nella nebbia dei tuoi versi”.

Diverse sono le modalità stilistiche utilizzate da Munaro, dalla narrazione pacata alla poesia espressionistica, dalle strofe giocose alla chiusa pensosa: variegate tessere di un intento espressivo unitario che nasce dal percepire la corrispondenza tra tutto quanto esiste, tra il paesaggio che si percorre con la vista e il paesaggio del sogno, luoghi dove poeticamente – e precariamente – si riesce a vivere: “Tu meridiana e soglia / dei bambini e delle lepri – esedra / e clessidra di ginepri e pneumi / antidoto dell’angoscia e dono”.

Nelvia Di Monte

Marco Munaro, Nel corpo vivo dell’aria, Il Ponte del Sale, Rovigo, 2009, pp. 96, euro 13