Nel cerchio magico di Oltris

Poesie in friulano di Tito Maniacco

 

L’artistico volumetto contiene due sezioni di poesie, Poesie d’acqua in italiano e Poesiis a Oltris in friulano, separate dalla riproduzione di ventidue opere pittoriche dello stesso autore. Tito Maniacco (1932) è profondo conoscitore della storia e della cultura del Friuli (su cui ha scritto diverse opere), poeta, romanziere, critico letterario e di arti figurative, lui stesso artista. Una vasta cultura, la sua, meditata non da una comoda oggettività super partes ma dalla prospettiva di una scelta coerente, propria di chi osserva la realtà dalla parte dei sotans, coloro che si sentono sottomessi a qualche forma di imposizione (come i contadini un tempo sottoposti ai padroni delle terre). Lo sguardo si fa dunque essenziale ed incisivo, pronto a rapportare il pensiero alla vita concreta e civile, con una giusta dose di disincanto che elimina i fronzoli e punta diritto al cuore del problema.
Oltris è un paese nelle Alpi Carniche, e il suo nome già rimanda ad un ‘oltre’, un superamento di confini geografici, temporali e linguistici. Le riflessioni sul tempo e sull’uomo trovano origine e misura – non limite – nell’ambiente naturale, con le sue montagne, gli orti e i frutteti, gli animali, i fenomeni atmosferici, le stagioni, “questo io vedo / a Oltris / ogni mattina / che dio respira”. Niente di nuovo sotto il sole (per citare il Qohèlet, a Maniacco molto caro) ma l’esercizio di sottrazione è indispensabile per cogliere il senso schietto dell’esserci, “un pensiero immoto / che il vento della pioggia / frusciando / dilava”. L’apparente semplicità di alcuni testi è raggiunta con un processo di decantazione attraverso il confronto continuo con altri (scrittori, filosofi, scienziati, la Bibbia) e la consapevolezza che la finitudine del tempo umano è dentro una temporalità universale di cui non si può venire a capo, come avviene nella poesia La freccia del tempo, con l’antico paradosso rivisitato in chiave esistenzialista “dove l’andare / ostenta l’arrivato / il tempo sarà / cedevole cenere / e i nostri affanni non esistiti”.
Per quel radicamento dell’autore al Friuli – non di localismo si tratta, ma di un ben definito ambito scelto per scandagliare il mondo – forse sono le poesie friulane quelle che meglio riescono a rendere la particolare atmosfera espressiva, la continua oscillazione tra riferimenti colti e sintesi essenziali, umanamente condivisibili e, quindi, spesso impietosamente – e ironicamente – tragiche. In una nota conclusiva Maniacco motiva l’uso, per lui insolito, del friulano con l’immagine derivata da Goethe di essersi trovato in un cerchio magico. Come dire che, sufficientemente lontano dalla dispersiva e superficiale attualità, a Oltris il tempo quotidiano può rapportarsi in modo diretto e naturale ai grandi quesiti della fisica, della storia e del sacro visti da un’ottica che riduce le distanze e dà corpo ai concetti attraverso una lingua che è come “la cjâr che reste intôr a l’uès dal brût – la carne che resta intorno all’osso da brodo”. Il mordere indica nutrimento e distruzione, l’inevitabile ossimoro proprio della vita, e “cui dinc’ de la memorie – con i denti della memoria” la parola può strappare quanto resta di ciò che è ormai perso. Il viâr, il verme che si gode la dolce polpa della mela credendola il mondo finché il frutto non viene mangiato e il verme sputato, è il pretesto per una riflessione sul migliore dei mondi possibili; o, specularmente, è l’immagine della corrosione fisica che avviene nel corpo umano come nell’intero universo, soggetti alla medesima entropia.
Antilirica e non nostalgica (poco ‘neo-dialettale’), la poesia di Maniacco è comunicativa, non cerca la difficoltà stilistica fine a se stessa ma racconta e medita partendo da semplici esperienze connaturate al luogo, su cui si innestano riflessioni di disparate provenienze e direzioni. Si attraversano i suoi testi con la sensazione che planc planc (adagio adagio) abbiano messo in fibrillazione corde profonde di un immaginario antico, di una sapienza ancestrale,  come la figura del vicino che taglia l’erba non con una macchinetta nevrastenica ma con quella falce che, inevitabilmente, riporta all’iconografia medievale: “seâ a l’ûl dî siarasi / tal cercli magic / e balâ cui odôrs de la muart – falciare significa chiudersi / nel cerchio magico / e danzare con gli odori della morte”.
I pensieri trascolorano uno dentro l’altro come i colori d’autunno, quando “il vert al cjamine / pal troi dal ’zâl / e il ’zâl al si brusarà / tal ros des fueis – il verde cammina / per il sentiero del giallo / e il giallo brucerà / nel rosso delle foglie”. La tecnica ad acquerello è quella prevalentemente usata da Maniacco nelle opere qui riprodotte, paesaggi reali i cui colori si dilatano sullo sfondo mentre l’inchiostro nero si addensa sui contorni a segnare profili di montagne, rami e tronchi contorti, gocce di pioggia… e parole che annotano sui margini i momenti vissuti: ciò che si vede insieme a ciò che si intravvede. A Oltris
Nelvia Di Monte 
 
Tito Maniacco, Oltris, Circolo Culturale Menocchio, Montereale Valcellina, 2009