Ne ‘La cruedda’ la consapevolezza autoironica, autocritica, l’understatement etico di Luciani

La recensione di Manuel Cohen alla raccolta in dialetto garganico
Vincenzo Luciani è nato nel 1946 a Ischitella, nel Gargano; una vita trascorsa tra Torino, l’Umbria e, da molti anni a Roma dove, tra le varie e notevoli iniziative, ha ideato alcuni premi per autori neodialettali, fondato le edizioni Cofine, creato, in sodalizio con Achille Serrao, il Centro di documentazione della poesia dialettale ‘Vincenzo Scarpellino’, e dove ha stampato una sterminata ricerca raccolta in sei studi sul Dialetto e poesia nella provincia di Roma (2005, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011).


A questa ponderosa attività, si somma la sua presenza editoriale, una incursione molto discreta, in poesia. Infatti licenzia in media un libro ogni 5-8 anni; ma per cogliere la consapevolezza autoironica, autocritica, l’understatement etico di Luciani, basti leggere i suoi versi: “Songhe u pojete che affrunde nd’u tram. / Songhe u pojete che affrunde nd’u tran / tran da vite / fruste. // Songhe u pojete d’u nfrajurne / songhe nu pojete appare a ttande / e peje de tande.”, “Sono un poeta che incontri nei tram. / Sono un poeta che incontri nel tran / tran della vita / trita. // Sono il poeta dei giorni feriali / sono il poeta che ha eguali / e migliori di lui.” (p.12), e ricorda, per il profilo feriale e onesto, un titolo tra i più emblematici della poesia di questi anni: La vita in tram (2001) di Edoardo Zuccato.


La cruedda, che nel dialetto ischitellano sta per cesta, di paglia di grano tenero, è un titolo polisemico e colmo di implicazioni etnografiche: culla per il neonato, cesta per il pane, contenitore del bucato, per la dote della sposa, infine, cesta del ‘consòlo’: nella ritualità della cultura contadina, il companatico consolatorio che veniva offerto dai vicini, dagli amici, dai parenti, alla famiglia in lutto per un congiunto appena scomparso.


Come a dire, che la cruedda è un correlativo oggettivo di un mondo di riferimento, di una cultura, di una civiltà di appartenenza, che accompagna la vita nelle sue manifestazioni, dalla nascita alla morte: “Fèmene scketeddane / so’ turnate a nzertà pagghje de grane / angenedute da dd’acque e da i mane. // Quanta cunte ce càpene / – i pajsane u sàpene? – / nt ana cruedda scketeddane.”, “Donne ischitellane / sono ritornate a intrecciare la paglia di grano / ammorbidita dall’acqua e dalle mani. // Quante cose ci stanno / – i paesani lo sanno? – / in una cruedda ischitellana (p. 9).


Questi primi versi sono di per sé significativi di una scrittura che si fonda su un solido assetto sia linguistico: nel recupero della lingua madre, e della sua couche più archetipica, rappresentata dalla cesta, nonché di certi lessemi ormai dimenticati della cultura rurale e folklorica, sia musicale: istituendo una salda relazione tra lingua dell’oralità, nella sua radice cantabile, ed esigenza di rima apparentemente semplice, popolare o basica: il risultato è un verso chiaro, duttile e luminoso, dai ritorni sonori e memoriali, venato al contempo di elegia e di variegate sfumature ironiche, si pensi anche al gustoso quadretto dedicato, a p. 37, allo ‘zio d’America’, Joseph Tusiani, probabilmente il più celebrato poeta garganico migrante. 


Il libro è un calibrato esercizio di ricordo, e di incessante operazione di raccordo: di usanze e detti, di frasi rubate al tempo, di nomi di persone conosciute e parenti, sempre riemergenti al presente, riattivati al presente nella esemplarità di un passato da non dimenticare, ed è il caso del bel testo I albanise, Gli albanesi (p.22) dove si ricorda un comune destino di miseria, di umiliazione e di migrazione; o di Annalfabete, Analfabeta (p.23): dove il confronto è tra la cultura dei padri, analfabeti ma saggi, e l’odierna alfabetizzazione dei figli che hanno pur viaggiato, letto e visitato, ma che forse alle ‘certezze’ paterne non approderanno mai.  


La cruedda è un libro felice, che intriga e colpisce, da cui traspare pienamente una civiltà corale, l’intelligenza di un mondo, e quella del suo interprete.


Manuel Cohen


Vincenzo Luciani, La cruedda, con intervista di A. M. Farabbi, Cofine, Roma, 2012.