Na giungla de cartó (Una giungla di cartone) di Anna Elisa De Gregorio

Recensione di Maria Lenti

 

Di Anna Elisa De Gregorio conosco la poesia in italiano: Le rondini di Manet (2010), Un punto di biacca (2016), L’ombra e il davanzale (2019). Dell’ultima uscita notavo il movimento solo apparente dell’agire umano. Notavo come la sua poesia avesse al centro l’impossibilità di cambiare il vivere pur avendo l’essere umano in sé il desiderio di fare in modo che il tratto tra l’inizio della vita e la sua fine desse non solo illusioni e respiri tenui ma orizzonti da raggiungere. Invece l’imprevedibilità del caso e l’impossibilità delle certezze (per la fine delle cose su cui poggiano sentimenti e affetti, per il tempo edace, per l’innocenza perduta) rendono quel tratto soggetto alla cattura nell’alone del “non”. Si sta pertanto tra la luce (il davanzale) e la stasi (l’ombra): qualche volta, nel mezzo, l’ironia.

La poetica di Anna Elisa De Gregorio si snoda su questi fili anche nella poesia in dialetto anconetano, in questa Na giungla de cartó: una giungla in cui non ci sono animali che vogliano assalirla e sbranarla ma paratie di cartone sì, in cui la memoria è l’ombra di un sogno mentre l’oltre appare perduto (il passato con i suoi disegni) e mancante (il presente privo di appigli), inappartenente (il futuro aleatorio).

Come costruisce il pensiero poetico l’autrice di Ancona? «Al cuncerto a l’aperto / cu l fiato corto riva / ritardataria e azura la farfala: // cu na mossa de tango se ccosta al reiflettore, / e ntun sbrufo d’azùro se svapora» (Al concerto all’aperto / / ecco all’iultimo istante / ritardataria e azzurra / una farfalla: // con lieve sprezzatura / si accosta al riflettore / e in un amen d’azzurro si svapora) (“Estate”). Questo è solo un esempio di una modalità diffusa e ricorrente, magari in altra inclinazione: una protasi apre la poesia, una constatazione la conferma, l’apodosi ne dà il succo. Quel che si era visto, pensato, dedotto, era un barbaglio, l’abbaglio soggettivo di una condizione oggettiva, il vissuto, anche nelle piccole cose, come eco di un universo.

Che cosa resta, allora, alla creatura? Il beneficio della bellezza, dell’amore, del tentativo, del rischio, della festa, dell’avvicinamento alla fonte di luce e di calore, la poesia. Non poco. Resta la vita, in definitiva, di tutti i giorni e di tutte le ore, del percorso con le sue tracce memoriali, del cammino verso qualche cosa che, ben si sa ma nel tragitto lo si dimentica, non farà tornare i conti né pareggiare il dare e l’avere.

Perché questo disavanzo? Domandarsi, il perché di ogni cosa è “furtuna e maledizió” (“Drent’a n oblò”), la fortuna di avere la ragione che vuole sapere, la maledizione di avere la ragione che sa di non avere risposta, mentre dall’interno dell’oblò si guarda il mare già navigato e distesa davanti: dell’uno si sa, ma si conosce, in ultima analisi e pur nell’attesa, anche il prosieguo. «Giro n ochio al curtile verzo n melo: / senza tanto fiotà, / lu fiorisce, ncora si c’è la neve. / Pure io rcòjo beleza, / cumpagn’a l’albero e cerco d’esse / onesta per quel che me cumpete.» (Giro l’occhio al cortile verso un melo: / senza lamentarsi, / lui continua a fiorire anche con la neve. / Così trovo la bellezza, / facendo con cura, come l’albero, / quello che mi compete) (“La poesia onesta”).

 

Anna Elisa De Gregorio ci ha lasciato il 24 settembre 2020, due mesi dopo aver vinto, con Na giungla de cartó, il Premio Città di Ischitella-Pietro Giannone- 2020 (e quindi la pubblicazione per Cofine)

Anna Elisa De Gregorio, Na giungla de cartó (Una giungla di cartone), Roma, Cofine, pp. 40 € 12