Miele di castagno di Paolo Piazza

Recensione di Ombretta Ciurnelli

                                      ha il retrogusto amaro
                                     del miele di castagno
                                     questo sole d’inverno
                                    che mi scalda a fatica

Si intitola Miele di castagno l’ultima raccolta di Paolo Piazza, pubblicata nel dicembre scorso per i tipi delle Edizioni Thyrus di Terni, con la Prefazione del poeta e critico Donato Lo Scalzo e Note di lettura della psicologa e filosofa Chiara Chiapperini.

La silloge è costruita con particolare attenzione alla struttura: le poesie, in genere brevi, tutte senza titolo e senza punti fermi, come per non creare fratture nel fluire di pensieri, ricordi ed emozioni, sono divise in tre sezioni (Pioggia di petali, Nel corpo a corpo dei silenzi, Fili di seta). Nella prima lirica di ognuna compare la dolce Alice, che con la sua ingenuità e lo stupore tutto infantile per le piccole e grandi scoperte si fa quasi guida del nonno-poeta in un viaggio alla ricerca di angoli nascosti, di messaggi velati, di memorie, del senso degli inizi pieni di slanci, e di quello degli scarrocciamenti o dei fuori rotta che non mancano di segnare la vita nel tempo che avanza.

Al di fuori di questa struttura si pone – inaspettatamente – un lirica collocata alla fine della silloge, posta sulla pagina che segue l’indice, l’ultima del libro, cosicché potrebbe anche sfuggire a un lettore frettoloso e distratto tanto più che è scritta in caratteri tipografici più piccoli e in corsivo, quasi a velarne o proteggerne il messaggio. Vi si racconta di una tradizione propria delle aree vitivinicole in cui in testa ai filari vengono poste piante di rose non per motivi ornamentali, ma come spia di malattie che potrebbero colpire le viti, manifestando, quindi, in anticipo la presenza di parassiti infestanti o di possibili sofferenze per i vitigni.

Muovere dall’ultima pagina, anzi quasi da un ‘fuori testo’, e procedere a ritroso nella lettura di questo libro trova la sua ragione d’essere nel fatto che nelle due quartine che compongono la lirica sembra sia stato racchiuso, in una densa riflessione metapoetica, il senso del fare poesia:

Più sensibile dei pampini
la rosa piantata alla testa del filare
mostra per tempo
gli attacchi parassiti, le carenze minerali

poesia velata
racconta di perdite, ferite
e continua a sbocciare
anche nei primi freddi dell’autunno

Piazza è giunto alla poesia in età adulta: la sua prima raccolta, Tempo di prendere il volo (Edizioni Corsare, Perugia) è uscita, infatti, nel 2008. In seguito ha continuato a proporre i suoi versi ed è attivamente impegnato nello studio e nella riflessione sulla poesia, presentando poeti moderni e contemporanei in gruppi di lettura presso le biblioteche della città, offrendo così un valido contributo alla conoscenza e alla diffusione dell’arte di Calliope.

Il fuori testo citato mostra una grande fede nelle potenzialità della poesia: sarà la bellezza (e quindi l’arte e, per ciò, anche la poesia) a salvare il mondo, così come lei – la rosa –, la più bella tra tutti i fiori, è capace di salvare la vite da malattie e parassiti? E che dire poi delle sua persistenza e dell’ostinazione a mostrarsi anche quando giunge il freddo degli autunni?

È questo il congedo dell’Autore in Miele di castagno, dopo testi che lo vedono in prevalenza immerso nella natura a coglierne segni, colori, rumori, come se l’esterno fosse «un tempio ove viventi / pilastri a volte confuse parole / mandano fuori» (da Corrispondenze di C. Baudelaire), pronto a tessere empatiche relazioni tra il brulichio di vita che percorre faggi, ciliegi, ruscelli e il carico dei ricordi, i bilanci che attendono impietosi, le convinzioni maturate nel tempo, tra luci e ombre, tra piccole gioie e scarrocciamenti, tra attimi non condivisi e l’attesa della bonaccia. E tutto ciò nel desiderio di partecipazione, attraverso brevi e intense illuminazioni, non senza meraviglia per la linfa che scorre in un ciliegio o per le macchie di papaveri che spuntano tra il verde-oro del grano e per gli olivi del lago o per l’odore delle potature.

Le ombre della vita che trapelano nel ricordo di spiagge battute dal vento o nella pioggia di petali, quando finisce la stagione bella dei fiori, oppure il disagio di sentirsi fuori rotta velano con malinconia le passeggiate nell’autunno della vita, ma sempre nell’attesa di una rinascita, che può trovarsi anche solo nei gialli del tramonto. Il tutto in una scrittura curata, piana, «dalle brevi sequenze, dalle pennellate raffinate», come sottolinea Lo Scalzo nella Prefazione, in una sintassi scarna, a volte ellittica, con un procedere analogico, senza indugiare nella rete di pleonastici connettivi, attraverso versi liberi, con una predilezione per quelli brevi e compatti.

Lontano da cupi pessimismi la natura non appare mai matrigna. Suggerisce, piuttosto, una dimensione di sottile intesa in cui è possibile sentirsi parte di un tutto fino a essere quasi «una docile fibra / dell’universo» (G. Ungaretti), cogliendo il ciclo dell’essere in attimi fuggenti, come quello di una foglia che si stacca dal suo ramo o quello di un fuoco che si spegne, in una poesia che «rispecchia uno “stupore d’essere”» con «[… ] l’acutezza di uno sguardo malinconico che sa cogliere le piccole silenziose bellezze» (C. Chiapperini, da Note di lettura, passim).

Accanto a questo ci sono, filtrati spesso nei ricordi, l’amore, gli affetti, c’è il corpo a corpo dei silenzi, c’è il disagio per l’impermanenza di atti o gesti o per le correzioni di rotta imposte da nuove condizioni, c’è il dolore per i vuoti che crea la morte, riprendendo temi e motivi già presenti nelle precedenti raccolte.

 

Paolo Piazza è nato nel 1956 a Perugia, città dove vive e nella quale ha esercitato la professione di Fisioterapista Osteopata.

Ha pubblicato le raccolte Tempo di prendere il volo (Edizioni Corsare, 2008), A modo mio (Edizioni Corsare, 2012), Da un capo all’altro della notte (Edizioni Fabbri, 2015), Cataratta (Edizioni Fabbri, 2017) e Nostalgia della carne (Ali&no Editore, 2020).