Memoria dell’infanzia e memoria collettiva in ‘Vinnigna d’ummiri’

Recensione di Ombretta Ciurnelli alla silloge di Salvatore Bommarito
In Vinnigna d’ummiri di Salvatore Bommarito la poesia nasce dalla memoria dell’infanzia per divenire memoria collettiva di una Sicilia arcaica e il dialetto è forma stessa della ricordanza.  
 
La raccolta si articola in tre sezioni –’I cani e ’i negghi (I cani e le nebbie), Vinnigna d’ummiri (Vendemmia d’ombre) Arriciuppari ’u cuntu (Racimolare il racconto) – precedute da brevi prose che insieme formano un unico racconto e scandiscono, con rapide e intense pennellate, la trama dei ricordi che le liriche dettagliano e colorano di atmosfere, con una cifra stilistica e narrativa che si impone al lettore per la sua originalità.Il nucleo del racconto è nella festa dei morti, anzi nella notte di Ognissanti, in cui, secondo una tradizione che risale ad antichi culti pagani, i defunti della famiglia tornano a visitare i vivi e lasciano regali ai bambini, insieme alla frutta di martorana e ad altri dolci tipici, come i pupi di zucchero che riproducono con vivaci colori dragoni, paladini, cavalieri, dame. I bambini, nel racconto di Bommarito, vivono questa festa tra stupore e scantu (paura), tra inconsapevole spinnu (desiderio) e bisogno di sicurezza: scausu sugnu e / passaru sbintatu (scalzo sono e / passero sventato)che non si accorge che sutta ’a cinniri ’u focu / rideva e lampiava / cu lu celu… (sotto la cenere il fuoco / rideva e lampeggiava / con il cielo…).
 
Nella festa di Ognissanti si realizza la compresenza dei vivi e dei morti, che tornano da un passato carico di echi familiari, anche se sono ummiri il cui laccio si fici curtu / e nuddu pupu / pò chiù tirari (s’è fatto corto / e nessun pupo / può più tirare). Richiamarli e ripensarli nei giorni della novena consola tristemente; turba, inoltre, il pensiero che si si susinu pi vidiri comu semu si scantanu, pinzannu chi scanciaru munnu e tornanu narreri… (se si alzano per veder come stiamo si spaventano, pensando che hanno sbagliato mondo e tornano indietro…). In alcuni passi della raccolta sembra di vedere i morti della lirica La tovaglia di Giovanni Pascoli: …Entrano, ansimano muti: / ognuno è tanto mai stanco! / E si fermano seduti / la notte, intorno a quel bianco. // Stanno lì sino a domani col capo tra le mani, / senza che nulla si senta / sotto la lampada spenta. Ma in Vinnigna d’ummiri non c’è lo smarrimento dei ricordi; presente e passato si richiamano e un intenso dialogo si intreccia con i morti, come nella poesia Ma ’ntra l’autru munnu chi fai? / Pensi a la verra e chianci? / …La varva ti spunta comu chiova? (Ma nell’altro mondo che fai? / Pensi alla guerra e piangi? / …La barba ti spunta come chiodi?). Trapela anche il desiderio di "sistemare i conti", di giustificare gesti, di uscire dall’incontro con la pace nel cuore. Lo ricorda la poesia in cui una gatta viene scoperta in un fienile, mentre allatta i suoi cuccioli: diciticcillu chi nun ci curpu / si ci taliai ’i minni dunni / i tenneri funciuzzi / d’’i figghi cunurtava (diteglielo che non ci ho colpa / se le ho guardato le mammelle dove / le tenere bocche / dei figliconsolava).
 
Visioni e storie si intrecciano e tutto è colmo di intense emozioni. A volte sono visioni surreali, oniriche, al confine di opposti (e lu ’nfernu mi strinciu / cu lu paraddisu: e l’inferno mi stringo con il paradiso) e ricordare è smarrirsi nelle memorie familiari e al tempo stesso nella storia della propria terra, nella tensione lirica di arriciuppari ’u cuntu (racimolare il racconto), in una prospettiva in cui strati stritti (strade strette) aspettano l’uomo e il fuoco della vita strantulia (strattona), perché il destino è di crisciri / comu l’unna chi / s’ammuccia ’nta lu mari / finu a sdiciunciari (crescere / come l’onda che / si nasconde nel mare / fino a sgonfiarsi) e ’u mazzu di li carti / ’u ventu l’aisa / e l’arrimazza (il mazzo delle carte / il vento l’alza / e lo sbatte).
 
Nelle rimembranze domina ’u spinnu (desiderio) che, pur nella consapevolezza del disinganno – marcato spesso dalla congiunzione ‘ma’ – ha in sé una sua felicità: Appi stiddi / ’u me’ celu / tutti lucenti / e ci ’ntisi battiri / lu cori…/ quannu ’a terra / larmi o’ spinnu / arriciuppava (Ha avuto stelle / il mio cielo / tutte lucenti / e ho sentito battere / il loro cuore… / quando la terra / lacrime al desiderio / raccoglieva).
 
A volte le poesie di Bommarito sono racconti, come in Ridisti ’nt’’o ’mmernu (Hai riso nell’inverno), in cui discretamente si evoca una violenza familiare; a volte hanno aspetti favolistici che colorano il ricordo, come nei versi di Allura chiuisti l’occhi (Allora chiudesti gli occhi)e ’U scantu’nta gaggia (La paura nella gabbia) o sono quadri neorealisti come in ’Nt’’o cuntu d’’a pasta (Nel conto della pasta) o ritratti carichi di nostalgica elegia, come quello della nonna picciridda (bambina): Iddha avìa ’u cori (Lei aveva il cuore). Altre volte sono solo frammenti di memoria, schegge del passato che si compongono in un mosaico di figure, immagini, sapori, nel tentativo di Arriciuppari ’u cuntu (Racimolare il racconto), come suona il titolo della terza sezione della raccolta.
 
Il ricordo di madri, padri, bambini si confonde nel respiro della terra e il cielo, il mare e il vento ripetono l’affanno di uomini e donne, come quando un finimondo di pioggia si scarica sul cimitero nel giorno dei defunti o lo scirocco ’mpruvulazzatu (impolverato) non riesce a rinfrescarsi ’nt’’o vacili d’’u mari (nella bacinella del mare) o l’aria d’’u menziornu / chi prumetti trazzeri / …strazza l’occhi / ’nti’ ’sdirubbi… (di mezzogiorno / che promette viottoli / …straccia gli occhi nei dirupi) e i mattini sono ’mprisciati / a farisi cociri d’’u sulu (frettolosi / a farsi cuocere dal sole). E il mare, che è promessa di vita, segna spiagge e scogliere anche con la morte: …u mari unciava / acchianati / e scinnuti / sutta ’u paisi (…il mare gonfiava / salite / e discese / sotto il paese). Su tutto la luna e le stelle, che rappresentano la speranza del futuro, in una dimensione che riporta alla memoria Le ricordanze di Giacomo Leopardi.
 
Si è già detto dell’originalità della struttura narrativa della raccolta di Bommarito, in cui brevi e intense prose, come un esergo alle sezioni, si intrecciano alle liriche. Altrettanto valga per il fraseggio poetico. Quelli di Vinnigna d’ummiri sono versi scolpiti, essenziali, senza un di più, con un procedere analogico, carico di sospensioni, una sintassi mossa, in cui l’uso dell’anastrofe sottolinea la pregnanza semantica di versi e parole. Una poesia ricca di metafore, accanto a immagini a volte realistiche, altre volte stemperate in dissolvenze, quasi a dire del pudore del racconto, dei sentimenti e modi d’essere di un tempo in cui gli affetti si nutrivano di gesti parchi. Uno stile carico di ellissi, con una scomposizione del racconto in versi brevi e franti che crea suggestive pause in cui le parole risaltano nel loro più profondo significato. E tutto nell’alternarsi di suoni aspri e melodiosi, ricchi di echi, in una dimensione di intenso fonosimbolismo.
 
Il ripetersi di versi e strofe, che spesso caratterizza la poesia di questa raccolta, colora di toni epici il racconto e la poesia di Bommarito, ricca di storie, densa di atmosfere, in cui i ricordi si intrecciano con un passato di emigrazione e povertà, ha quella forza espressiva del miglior cinema e della grande letteratura siciliana, quella in cui, lontano da stereotipi e folcloristiche raffigurazioni, si racconta con intima partecipazione (e non in un ripiegamento nostalgico) una Sicilia barocca, polverosa, arcaica, un mondo fissato in gesti antichi, sospeso tra realismo e trasfigurazione. 
 
di Ombretta Ciurnelli
 
Salvatore Bommarito, Vinnigna d’ummiri (Vendemmia d’ombre), Edizioni Cofine, 2012