Maria Lenti, poetessa, narratrice, saggista e giornalista non ha bisogno di presentazioni: insegnante e politica, ha all’attivo numerosi lavori, tra i quali vale la pena ricordare almeno i più recenti: Elena, Ecuba e le altre (Arcipelago Itaca 2019), Arcorass Rincuorarsi (Puntoacapo 2020) e Apologhi in fotofinish. Racconti e altri scritti (Fara 2023). In tutti si riscontra la peculiarità dell’autrice urbinate, capace di indagare, con lucidità e al contempo con intensità, le varie sfaccettature del suo animo ma anche le contraddizioni della società e del mondo odierno, ipercapitalista.
Ad un primo sguardo Segn e artaj Segni e ritagli, uscito per la casa editrice Puntoacapo nell’anno appena trascorso, appare una raccolta “intimista”, nella quale, per citare la pregevole prefazione di Gualtiero De Santi, altro autorevole intellettuale e figlio della città ducale, il mondo è in prima istanza quello interiore, o almeno i versi muovono da lì (1). Accanto all’universo soggettivo emerge, però, con prepotenza, l’universo della polis, vissuto o percepito dalla scrittrice. Un universo che risulta intriso di incontri, dolci malinconie e luoghi dello spirito, che trovano diretta espressione nella koinè, misto di dialetto e italiano, a ben vedere il linguaggio generalmente parlato ad Urbino, città nella quale Lenti vive tuttora. Ecco dunque che la scelta linguistica (il titolo la evidenzia), semi-dialettale appunto, diviene il punto fondante dell’opera e l’elemento maggiormente caratterizzante (2).
Nello specifico, la silloge, densa e soltanto apparentemente un semplice ma erudito jeu de langage, si struttura in un certo senso in maniera tradizionale: le poesie, perlopiù brevi, si dispiegano in quattro sezioni, nella prima delle quali paiono trovarsi già tutti i temi che contraddistinguono le parti successive. Le scelte stilistiche sono pure varie, basti evidenziare, per citare nuovamente le osservazioni di De Santi , la presenza di inflessioni e melismi (3).
Posta in apertura della raccolta, in una sorta di proemio-manifesto, Du’ parole (p. 12) funge quasi da guida all’intero testo: qui viene espresso l’imprescindibile bisogno del poeta di mettere per iscritto poche righe, o anche soltanto “due parole” che trattino la realtà, lo stupore per la bellezza dell’arte, il coraggio dell’utopia, l’attaccamento alla vita; perentorii, solenni ma anche “delicati”, si presentano in questa prospettiva gli ultimi due versi, discosti dal resto della poesia: me piac la mi giornata/finché en se spessa el fil (mi piace la mia giornata/finché non si spezza il filo) (4). Un simile amore per la vita implica però momenti di riflessione e di dialogo con se stessi, una solitudine ricercata che, a volte, deve necessariamente chiudere le porte agli altri, come si legge in Sera (p. 16), incentrata sulla figura dell’anafora, quasi emblema di un “flusso di coscienza” ineludibile ma anche dello scorrere della quotidianità.
Leggendo, o meglio immergendosi, in Segn e artaj, ci si accorge (almeno per chi non conoscesse la produzione di Maria Lenti) di essere di fronte (anche) ad un poeta d’amore (5), mai banale. A proposito di amore, sempre presente la città di Urbino, come già sottolineato ambientazione reale e ideale di sentimenti, di incontri (6), nonché meravigliosa spettatrice dell’esistenza sin dall’infanzia. Nella “buffa” Una vita (p. 22) si legge in effetti di un episodio avvenuto durante la fanciullezza dell’autrice e che, a ben vedere, non va letto esclusivamente come un aneddoto divertente ma soprattutto come metafora della perdita (7).
Urbino è quindi la protagonista dell’omonima poesia (p. 36), in cui si leva la dualità di sentimenti che tutti gli urbinati, o chi ha scelto questo luogo come patria d’elezione, provano nei confronti di un locus amoenus che a volte risulta troppo immobile: da un lato l’inestricabile bisogno, quasi corporale, di abbeverarsi della bellezza del centro e del paesaggio, e dall’altro la voglia di fuggirvi. Tale dolorosa passione verso Urbino non può non richiamare alla mente, a cent’anni dalla sua nascita e a trenta dalla sua morte, Paolo Volponi, in special modo i versi iniziali, incredibilmente struggenti, della celebre Le mura di Urbino: Le mura di Urbino/la nemica figura che mi resta, /l’immagine di Urbino/che io non posso fuggire,/la sua crudele festa, /quieta tra le mie ire, ai quali Urbino sembra, seppur discretamente, fare da eco.
Del resto la grande letteratura risulta essere altro elemento cardine del libro: il dialogo con essa, già riscontrabile in poesie come Rima difficile (p. 54), con il suo richiamo alla Ginestra leopardiana, ma anche in A due voci (p. 40), nella quale il motivo amoroso va ad intrecciarsi, come anche in seguito, con quello letterario attraverso fitti rimandi (in particolare l’ adgnosco veteris vestigia flammae dal IV libro dell’Eneide) la fa da padrone nella seconda sezione. Qui Lenti reinterpreta, ancora nel segno della diglossia, un epigramma di Marziale (9), una strofa di Sbarbaro (10) e persino la catulliana Odi et amo (11), tradotta in urbinate. Accanto al modello classico, però, non manca la poesia internazionale di oggi : la nostra autrice, da esperta contemporaneista, trae nuove suggestioni dai versi delle poetesse Nenè Giorgadze, Laura Dalmau e Anna Montero (12), quasi a voler sottolineare come la vera poesia, fatta di continui rimandi e interconnessioni, travalichi le epoche e le nazionalità.
Il riferimento costante alla letteratura non implica, però, il rinchiudersi nell’individualismo. Ecco, dunque, che l’attualità è al centro della terza sezione della raccolta, in particolare i conflitti del nostro tempo impazzito, dalla guerra in Ucraina (13) alla situazione in Medio-Oriente (14), già anticipata in Ritorna il freddo et aspettavi il caldo (p. 28), intrisa di dolore per il martoriato popolo palestinese e per questo, forse, risulta la più drammatica delle poesie. In questa terza parte lo stile si fa ancor più quotidiano, moderno, a tratti duro, alla maniera della Satura montaliana, ma non assistiamo soltanto ad una critica della contemporaneità, bensì affiora la volontà, mai sopita, di descrivere la realtà, al fine di, marxianamente, cambiarla, come leggiamo in Modesta proposta (per prevenire conflitti) (15), prospetto di risoluzione delle guerre corredato dalla puntuta e costante ironia.
Chiude la silloge Domanda (p. 155), intrinsecamente legata, secondo una struttura circolare, alla prima e già citata Du’ parole e nella quale Lenti ribadisce con forza, tanto da far coincidere il quarto segmento dell’opera con questo brevissimo testo, il suo inossidabile attaccamento alla vita, espresso, stavolta, esclusivamente in italiano (16).
In definitiva, come si è cercato di dimostrare attraverso questo mio breve excursus, a ben vedere, la novità sorprendente di Segn e artaj, aldilà dell’elemento più prettamente stilistico e linguisitco che pure, come si è detto, è centrale, sta nell’alternanza di contenuti individuali, legati all’esistenza personale della poetessa (come accade, per menzionare un ulteriore componimento, in Ma ’l mi ba’) (17) a una poesia squisitamente civile, mai retorica o greve. Tale scelta, più o meno consapevole, in un’epoca come la nostra nella quale la poesia sembra dover essere “psicologizzante” o consolatoria fino all’eccesso e utile per le didascalie da social, appare un atto coraggioso e anticonformista. Del resto, si badi bene, i due aspetti, l’uno più “sentimentale” e l’altro più “politico”, si compenetrano in rapporto dialettico, tanto da non far prevalere l’uno sull’altro.
Inoltre, mentre, come ha puntualmente spiegato recentemente in un interessante articolo il giornalista e critico letterario Marco Alloni (18), molti scritti odierni, alcuni anche di successo, risultano mera cronaca, il testo di Maria Lenti appare rivoluzionario poiché, pur rimanendo ancorata a quel “contingente” che si cerca comunque di definire (come si è visto, anche in chiave ironica) la nostra non dimentica l’ “universale” che è, e dovrebbe rimanere, l’ideale cui tendere quando si scrive.
Ci auguriamo dunque che Maria Lenti continui instancabilmente a mettere in versi i tasselli, i segni e i ritagli appunto, di una vita finestra sul mondo e sull’umano, poiché abbiamo ancora molto da imparare da una poesia come la sua.
Maria Lenti, Segn eArtaj , Prefazione di Gualtiero De Santi, puntoacapo editrice 2024
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