“Margini” di Armando Cittarelli

Lettura di Cristina Polli

Leggo Margini di Armando Cittarelli, Gli Angeli Editrice 2024, non senza soffermarmi a quello che il poeta mi ha scritto in dedica: “… non smettere mai di cercare …”. In queste parole risiede il senso profondo della poesia. Chi fa poesia non si fa un quadro, non tira le linee, non chiude un’immagine: il nucleo del suo dire genera altre linee, altri pensieri, riflessioni e visioni e, soprattutto, punti d’incontro, incroci dove sostare. Nelle poesie raccolte in Margini 1 e Margini 2 la ricerca continua del poeta si scorge in un senso di mancata compiutezza del vivere e nel verso che segue il respiro e percorre le strade usate col passo, lo sguardo, il ricordo, l’attesa. Camminare è uno stare sensibile nel mondo, un atto di movimento e di attesa, di registrazione e immaginazione, la strada, le vie dei campi, i vicoli, le piazze sono segnate da solchi che uniscono le fasi della vita, gli eventi e la mutazione dell’essere (p. 59): 

Attraverso la stazione abbandonata 

tra le rotaie e l’erba un cane 

fanali accesi dove curvano i binari

nella mattina grigia di fine anno 

c’è quel che vedo e di più

l’inverno alleva la sua bellezza 

non so dove vado nell’ora 

restituita dal sonno breve

questa città ha il male delle rondini 

che non trovano rifugio e veste 

la memoria di un altro destino

scava tra i binari senza treni 

ma non è il cane che negli arbusti

stabbia la terra e la vena lucente 

del giorno che verrà 

Osservare, scorgere la bellezza racchiusa nel grigio silenzio dell’inverno, richiamare alla mente e al cuore la curva delle stagioni e con essa il ritorno delle rondini,  malinconica metafora di soggiorni senza accoglienza, il sofferto disincanto di una memoria collettiva avara di riconoscimento e verità: il richiamo alla precarietà è una costante di questa poesia e ne diventa una cifra espressiva, una lettura dei mutamenti interiori ed esteriori, la vita che passa e ci lascia incertezze e rimpianti, le relazioni e gli spazi percepiti in modo diverso in conseguenza dei cambiamenti geografici, sociali e politici, non ultimo della pandemia. Il senso di precarietà è un dono del poeta. Sappiamo che niente è stabile, ma fuggiamo la precarietà, il poeta, invece, vi dimora, accetta l’inquietudine, la sofferenza, ci parla della nostalgia che prova per gli ideali, dei sogni che tornano come ricordi e mantengono ancora la presa di una speranza fecondamente inattuale. Si avverte il rimpianto di una comunione di vita, idee, ideali che non possono tornare nelle loro vesti originarie, una comunione detta, cercata, celebrata e sperata in canzoni al confine della poesia, poesia esse stesse, e poesie che si traducono in canto: “Il filo di Arianna” (p. 35, Margini 1), “Non si può mai dire” (p. 40, Margini 1), ”Addio” (p. 112, Margini 1). La poesia “Il parcheggio” testimonia la precarietà sociale, etica e morale dei nostri giorni (p. 33, Margini 1): 

Solo fabbricati e strade

nuove fioriture di lampioni

sogni espiati una fermata

sull’ultimo marciapiede un posto

per dormire nel buio dimenticati

il parcheggio del centro

commerciale conosce

la notte altri abitanti

assortimento di quattro ruote

modelli fuori stagione

lontano da una terra 

che li ha abbandonati 

e questa che li vuole ricacciati 

Anche in ragione dei cambiamenti avvenuti, la poesia oggi non può che essere al margine, viene messa lì dalla forza centrifuga degli ingranaggi che regolano le nostre vite impostate su esigenze vere e presunte, obblighi reali e fittizi spesso, molto spesso, creati ad arte. Rivendicarne la centralità è un dovere etico, una presa di coscienza di un senso di umanità deprivato: la poesia non è solo comunione e comunicazione, è anche ontologia, è la verità di essere e restare umani che abbiamo messo a tacere dietro gli schermi. Il margine è oggi anche il luogo di chi rifiuta la facile visibilità, di chi non vuole entrare nel main stream  e preferisce osservare le cose nella loro essenza, lo scorrere del tempo e degli eventi, interrogarsi e porgere dubbi non risolti. Il margine è il luogo privilegiato del poeta, l’invito a un dialogo non sempre facile, a un decentramento, allo svelamento e alla comprensione dei moti dell’umano sentire: il dolore, l’amore, l’inquietudine, le ferite che mai si rimarginano, il buio che ci portiamo dentro, l’attesa, la speranza, la gratitudine per i piccoli e preziosi momenti di gioia, condivisione. Il margine è luogo di impegno poetico, civile, politico (p. 17, Margini 2): 

Dove è nascosta l’anima 

mia questo è l’inverno inospitale 

di incontri elettorali e lungo la scia 

delle ore splende la maschera 

delle vanità e ci separano 

in quarantene contagi di stupidità 

è un diluvio sulla città 

che aspetta l’estate geniale 

nel silenzio della pianura il vento 

tra i pini di spiaggia affila 

la lama e sembra un rumore 

uno scroscio di sorgenti 

Vita e verso si collocano in una città di provincia, ne registrano le dinamiche come si legge nei lucidi versi de “La Colonia” (p. 34, Margini 2): “i carri dei vincitori filiano/ vermi che abbiamo tollerato/ l’inganno palese in veste/ di documenti ufficiali// i luoghi ci tengono nel mondo/ insieme come popolo/ il bagliore di un’età/ promessa e l’incerto scosso// ancora possiamo provare/ il riscatto nel centro del mondo/ ch’è qui dove siamo/ giorno dopo giorno”.   Per contestualizzare brevemente i versi riportati, occorre conoscere alcune vicende: la colonia a cui fanno riferimento è un edificio donato dal medico Raffaele Bastianelli all’Opera Romana Pro- Infanzia per l’assistenza ai ragazzi svantaggiati e veniva usata come colonia marina già prima della Seconda Guerra Mondiale. Ora la struttura è fatiscente e si progetta di farne appartamenti vista mare.  

Nella realtà di questa città prende corpo la concretezza della percezione da cui il poeta successivamente si distacca per avviarsi in sentimenti, pensieri e interrogativi in cui ritroviamo i nostri.  Il paesaggio, mura, vicoli, dune, vigneti, strade, è esteriore e interiore, ha agito nelle fibre del poeta,ne ha conformato la mente e i sensi, ha stabilito la misura delle distanze, ha dato colore agli abbagli del mare e delle figure, alle fughe dei vigneti, allo sgretolarsi delle mura. Il lessico è permeato delle coloriture, delle ombre dei vicoli, di luce e ragazzi sulle spiagge, del mare colore del vino che richiama il mito, e risponde alla manifestazione di una bellezza non consueta, non appariscente in intima corrispondenza con il vissuto (p. 66, Margini 1):  

Le mura bizantine di amori 

giovanili gli anniversari e la schiera 

degli ultimi sogni presagi 

notturni che riaffiorano 

nel cerchio di stelle ostili 

porte rinserrate e vestiti 

appesi alle feritoie indizi 

del respiro di case millenarie

mura e torri come le vie 

perdute di donne 

strettoie dalla torre d’angolo 

per il monte l’altezza serve a perder

fiato e ringraziare nella notte 

senza orizzonte la fortuna 

di perdermi nel tuo sguardo

Lo sguardo del poeta non può che vestirsi di malinconica, benevola ironia. Il poeta porge la mano, offre un appiglio e Armando Cittarelli dedica tempo, impegno e sapienza e l’approfondita conoscenza della poesia del Novecento alla conduzione di laboratori in cui coinvolge giovani studenti e persone che avvertono l’esigenza di “abitare poeticamente la Terra”. 

Termino questo invito alla lettura con una poesia che ci mette in guardia dalla facile seduzione delle parole con il “cuore di miele”, continuerò la mia personale ricerca nei versi e nella scrittura del poeta, nella poesia e nel mondo (21, Margini 2):  

Dalla musica delle parole

con il cuore di miele che vogliono

consegnarsi al tuo nome perdute

è meglio separarsi

tu alzi la mano vedi sogni nel giorno 

e le origini del canto e allora 

potrai scrivere della carne delle radici 

e della nave nella tempesta

 

Armando Cittarelli, Margini, Gli Angeli Editrice 2024

 

 

Margini, notizie dell’autore e dei curatori

 

Armando Cittarelli, è impegnato oggi in Laboratori di poesia nelle Scuole e nelle Biblioteche. Ha pubblicato “A mezzace” (1983, poesie), “Titolo da definire” (Firenze Libri, 1989, poesie), “Una politica per la città” (Ed. Aleph, 2001, saggio), “La rivoluzione del calendario” e “La stanza delle donne (Ed. Aleph, 2004, poesie), “Terracina non- luogo” (2011, Instant Book), “La Bottega” (GEE, 2011, poesie), “Carta pesante” (Innuendo 2017, poesie), “L’albero della politica” (Innuendo, 2019, saggio) e “La nuova frontiera” (Innuendo, 2019, saggio)

Elvio Ceci, laureato in linguistica a Bologna e specialistica a Siena in Studi Linguistici e Cognitivi. Ricercatore in linguistica teorica e apprendimento delle lingue in diverse università italiane e estere (“La Sapienza”di Roma, Università di Belgrado, Università di Banja Luka). Pubblica articoli di teoria del linguaggio, epistemologia applicata all’apprendimento delle lingue e libri di poesia (PAREIDOLIA- vedere ciò che non c’è, LIMITROPHA, Cantare del Deserto e altro)

Enzo Rosato, laureato in Lettere, ha insegnato Italiano e Storia presso l’I.T.C. “Libero de Libero” di Fondi dal 1987/88 al 1992/93, poi Italiano e Latino presso il Liceo scientifico- classico- scienze umane di Terracina dal 1993/94, dove tuttora presta servizio. Attivo nella organizzazione di incontri, dibattiti e varie iniziative culturali orientate all’interazione della Scuola con il territorio.