Luigi Bressan e la sua poesia in bianco e nero

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

Dentro e fuori, io e noi, L’aiuola feroce e Dietro le quinte: l’io che racconta ciò che vede del mondo e di sé stesso, dal suo punto di osservazione e con la sua riflessione. La nuova silloge di Luigi Bressan è quasi un’osmosi poetica: Là c’è un occhio di Salgado / un luogo dove è finita la speranza…Qua un diverso paesaggio è stravolto / non si discerne come fosse avanti / tanto l’umano abisso vi si specchia…” Versi in bianco e nero, nitidi, veri, come le foto di Sebastião Salgado; come quelle, non distratti da cromatismi, solo gradazioni di grigio, perché il lettore possa immaginarsi i colori dettati dalla propria sensibilità.

E ancora “I bimbi inventano giochi di cripta / se il pallore non cancella le facce”: in un mondo che ha perso i colori, tranne il rosso del fuoco, i bambini continuano a giocare, a inventare e inventarsi, a consolarsi tra loro, perché “chi abbraccia abbandona”; la solitudine è in agguato oltre i legami e gli affetti.

Nei tanti scenari di morte e distruzione sparsi per il mondo, i bambini – il futuro, la speranza del mondo – “si vedono emergere dalle pietraie / dove vivono come lucertole / salire sulle punte più taglienti / e di là ascendere al cielo…”: Bressan è lì, si aggira con loro, nelle città rase al suolo, “tra collassi di palazzi” e il silenzio “entrato in ogni pietra”; tra le buche che si empiono d’acqua e divengono trappole per ogni specie di animali, sopravvissuti alla “tempesta di fuoco” ma persi nelle carie prodotte dalle bombe.

Quanto spreco di uomini, animali, case! Uno spreco che attraversa il tempo e la storia e la geografia della Terra e il poeta guarda e raccoglie e scrive perché “se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19, 40): le stesse che si riempiono del silenzio, le pietre-parole che assorbono il vuoto assordante e di esso risuonano per restituirlo nei versi.

Luigi Bressan, ottimo poeta nella lingua materna, il dialetto, si dimostra tale anche in lingua, in una efficace asciuttezza, non priva di sonorità e di ritmo che nulla tolgono alla drammaticità delle visioni; come quando descrive un corteo di morte a Gaza: “Giovani vestiti di nero camminano / verso un luogo che non si vede / portano sulle loro braccia pietose / bianchi sudari in fasce di bambini / ancora morbidi come nel sonno” là dove i primi tre versi- metricamente dissonanti – sono tagliati sulle parole particolarmente significative: il camminare, la meta assurda (che non si vede o non esiste?), la pietas; e i due seguenti scandiscono un’armonia tragica di ninnananna.

Da “L’aiuola feroce” a “Dietro le quinte” – le due sezioni della raccolta – cambiano gli scenari, ma non muta la sostanza, fuori dalla guerra – quella delle bombe – ma non fuori da una desolazione simile: “la statale dismessa è una crepa / che taglia in due l’abitato” e il vecchio paese è in vendita, così come è stata venduta alla RSA una vecchia che “urla di terrore” non per follia, ma per solitudine e per paura onirica di perdere la sua creatura. E le automobili “in sosta lungo i marciapiedi / stanno lì tutta notte i carapaci / racchiudono i vuoti della giornata” in attesa della mattina per riprendere “una ricerca che non ha mai fine / lungo la crosta della terra” : sono gusci che racchiudono un vuoto di senso e di inutilità nella sosta notturna, mentre di giorno viaggiano in una ricerca di senso, come gli insetti in cerca del cibo sulla terra. Né ha più senso “la ricerca / di un medico nuovo” che assicuri i “farmaci salvavita” unica ragione per uscire, anche quando non se ne ha voglia.

La vita -dice Bressan – si snoda nelle ripetizioni dei gesti, in una stanchezza che non basta ad ucciderci, aggrappati ad un corpo prostrato, insonni, timorosi, lasciandoci trasportare – stando fermi, passivi – da aerei e navi; e non ci riscatta, non ci basta, la consapevolezza che esista chi persegue la guerra come un gioco a scommessa, nascosto dietro gesti quotidiani di normalità e gentilezza. Ma ci restano gli occhi e la parola.


Bagliore

Ti voglio bene non preoccuparti

vedrai che…Come si fa a dirle

certe frasi strappate camminando

di lato tenendosi per le mani

attraverso lo sbarramento perché

bisogna andare senza sapere

senza fermarsi per respirarsi

in faccia i giorni della lontananza

i giorni rubati prima di vederli

la luce che risveglia all’incontro

riuniti dalla pioggia in un andito

e quando riconosci nella nebbia

il tuo gruppo che avevi smarrito

le parole gioite o piante all’orecchio

l’angolo dove accanto alle foto

alle monete si fermerà l’orologio.

Assale questa luce desertica

trafugata dal sonno e dalla notte

e ogni affetto oscura in un bagliore.


Salvavita

L’aria piove scura nelle vie del centro

guardo i muri delle case le vedo

come quando non ci sarò più

dalle porte serrate filtra un liquame

di ruggine si dirama sul selciato

mi ricorda quando sono stato

al mattatoio – visita guidata – che idea!

-noi gli animali li trattiamo bene

l’odore del sangue lavato

non va via ristagna nelle fughe

dopo la mensa si sentiva ancora

la spiegazione sull’abbattimento

parla di benessere dei bovini

non so di preciso dove sto andando

non volevo nemmeno uscire di casa

se non ci fosse sempre di mezzo

qualche pratica -ah sì- la ricerca

d’un medico nuovo- anche loro

vanno in pensione- che mi assicuri

le ricette per i farmaci salvavita.


Risveglio notturno

La notte è un vecchio orso abbattuto.

Aggrappati alla pelliccia insanguinata

per raccogliere l’ultimo respiro

l’aria del bosco sulle foglie marcite

restiamo così con occhio vigile

e una stanchezza che non può morire

una rugiada sulle nostre spalle

da anni fermi o confusi ai semafori

sulle scale mobili – sui piroscafi

incagliati- sugli aerei fermi in volo.

Tutte le nostre cellule lo sanno

ma girano armi e ai tavoli da gioco

serviamo cappuccino con la schiuma.


Maurizio Rossi 24/3/2025

Luigi Bressan è nato nel 1941 ad Agna (PD) e vive a Codroipo (UD), dove ha insegnato materie letterarie e latino. Ha pubblicato alcune opere di poesia nel dialetto del suo paese d’origine: El canto del tilio (1986); El zharvelo e le mosche (1990); Che ’fa la vita fadiga (1992); Maraeja (1992); Data (1994); Vose par S. (2000). È presente in varie antologie, tra cui: Via Terra ; Nuovi Poeti Italiani, Un altro Veneto. Ha fatto parte della redazione della rivista di letterature dialettali «Diverse Lingue». Ha diretto, con Giacomini e Cappello, la collana di poesia “La Barca di Babele” per il Circolo culturale di Meduno. Attualmente è membro della redazione del Ponte del Sale, con cui ha collaborato ai volumi collettanei La Bella Scola: I primi sette canti dell’Inferno letto dai poeti (2003) e all’omaggio Da Rimbaud a Rimbaud (2004). In lingua ha pubblicato: Quando sarà stato l’addio? (2008), Insieme a Marco Munaro e Giovanni Tesio, illustrati da Gabbris Ferrari ha pubblicato Quetzal (2019). Per Ronzani Editore, con versione inglese a fronte, è recentemente uscito il volume La viola di Strauss / Strauss’s violet (2022).

Luigi Bressan, Scenari, Carabba ED. Lanciano (CH), 2024