L’originale itinerario nella poesia del Friuli di Anna De Simone

Una recensione di Nelvia Di Monte
Riportiamo qui di seguito una recensione di Nelvia Di Monte stato pubblicato su "Pagine. Rivista di poesia internazionale", Zone Editrice, n° 67, maggio – agosto 2012
 
Dalle Poesie a Casarsa di Pasolini comincia il percorso della curatrice lungo la “nuova dirompente frontiera della poesia, radicatasi con forza in Friuli nell’ultimo trentennio del Novecento, ovunque il Mistral pasoliniano abbia soffiato”. Da quel lontano 1943 quando, nel paese materno, il poeta intraprende il suo sogno di “far nascere in Friuli una corrente poetica viva, moderna, non vernacola” e  trasforma una lingua marginale nella lingua di una poesia intima e colta, dai forti legami europei, in grado di trascendere il qui e ora “ta un azur / di dis no pierdús, / ma doventàs di un altri; nus / drenti di un timp sidín coma la lus – in un azzurro / di giorni non perduti, / ma divenuti di un altro; nudi / dentro un tempo silenzioso come la luce” (in De loinh, da La meglio gioventù). Un’operazione culturale che rifonderà su nuove basi la letteratura dialettale e con cui ogni poeta friulano si sarebbe poi confrontato, per affinità (come la raccolta Il me Donzel di Pierluigi Cappello o Mistral di Ida Vallerugo, che già nel titolo suggeriscono echi pasoliniani) o per distacco, come Amedeo Giacomini che, come studioso e critico, ha saputo dare un importantissimo contributo al rinnovamento voluto dal “ragazzo” di Casarsa attraverso la rivista "Diverse Lingue", per anni punto di ritrovo e vetrina della poesia in dialetto di tutta l’Italia.
 
Tra il 2 novembre del 1975 e il 6 maggio del 1976 si situano i due drammatici fatti che decretarono uno spartiacque nella storia e nella poesia della regione: la morte di Pasolini, il cui corpo straziato sembra rimandare alla distruzione sistematica da lui attuata (“Una premonizione?”, si chiede l’autrice) verso quelle giovanili poesie friulane attraverso la riscrittura de La nuova gioventù. E il devastante terremoto che distrusse paesi e comunità. Da precisi avvenimenti e riscontri testuali si muove Anna De Simone, con la convinzione che un “itinerario lungo le strade, i sentieri, i torrenti, i magredi, le forre della poesia in Friuli ci offre non pochi spunti per una rilettura di alcuni snodi della storia grande e delle tante storie piccole che hanno attraversato quella regione – e non solo”. Diversi testi dei quattordici poeti qui presentati toccano i più drammatici avvenimenti del Novecento e del nuovo millennio, insieme alla raffigurazione di una catastrofe, di una linea di frattura insanabile tra due mondi, che il terremoto ha contribuito a fissare in modo indelebile in luoghi di vita e spazi simbolici, accelerando “il processo di sgretolamento già in atto di una civiltà, di un territorio, dei dialetti che vi si parlavano”.
 
La curatrice ha selezionato le poesie in cui meglio convergono queste diverse istanze (personali e storiche, letterarie e sociali…) e si aprono squarci per osservare la complessità del mondo contemporaneo da una posizione geografica che, nella sua particolarità storica e linguistica, mostra in modo più netto – spesso drammatico e straniante – tutta l’incertezza del presente. Si può solo accennare ad alcune delle tematiche affrontate dai poeti dell’antologia, quali lo scorrere del tempo verso l’oscurità nelle “âgris rimis – aspre rime” di Amedeo Giacomini: “Sino sote il scurî? / A’ pol stâj. Dibot, ’ne gnot, / ’i podin jessi d’unviâr – Siamo verso il tramonto? / Può darsi. Tra poco, una notte, / potremmo essere d’inverno”. La percezione di Umberto Valentinis che si abiti una Cjase sul ôr dal mont (“Casa sull’orlo del mondo”) cercando di scorgere qualcosa oltre la soglia che si chiude  mentre “e son deventâts vôs i lûcs – sono diventati voci i luoghi”. La consapevolezza in Ida Vallerugo che la fine del dialetto travolga il singolo e la comunità (“Il dolour, Mâri, da dîsi di nô / in una lenga c’a mour – il dolore, Madre, di dire di noi / in una lingua che muore”)  perché una lingua non solo esprime ma conserva la profondità delle relazioni umane che perseverano nel tempo: “alla mia fiorita periferia del nulla torno / a queste mie parole / colombi viaggiatori / che non possono non arrivare a te / se la morte come la vita non ha // indirizzi precisi, ma è solo un andare”.
 
Diversi autori scrivono anche in lingua, con riconoscimenti nazionali (quali il Premio Viareggio assegnato a Pierluigi Cappello nel 2011 e a Gian Mario Villalta nel 2012). Pur nelle differenze profonde tra le due scritture, sembra permanere un nucleo comune che riguarda la particolare capacità di dare voce a ciò che si avvia così rapidamente alla fine. In Villalta il dialetto si fa Vose de vose (come il titolo della sua raccolta) per ritrovare le tracce di una cultura trascorsa e inutile al presente ma che rimane come uno zoccolo duro dentro la (propria) storia  “ribandonàda / te l’infinìo de la to nudità  – abbandonata nell’infinito della tua nudità”. Anche nella poesia in lingua, ormai predominante, la De Simone evidenzia in Villalta la capacità di “danzare nel tempo e col tempo”, come nell’incipit di Giorni di scuola: “Saremo sempre insieme, sì, in un posto grande (…) Ci saremo tutti, e ciascuno / nel presente per sempre passato”.
 
L’antologia si chiude con le poesie di Pierluigi Cappello, di sicuro il poeta che meglio ha saputo impadronirsi di poetiche trascorse per farle risuonare nuovamente, nell’intenso lirismo delle poesie in friulano in cui, Cun cheste lenghe nude e in nessun puest  (“Con questa lingua nuda e in nessun posto”), ha distillato le immagini più dolci di un luogo e di un tempo realmente attraversati ma ormai proiettati nell’Inniò, termine intraducibile per rappresentare dove cence principi o pinsîr di fin (“senza inizio o pensiero di fine”) ci si muove nel respiro di quel mondo come sullo sfondo di un sogno. In italiano Cappello ha cercato le parole povere per delineare storie minime, ombre di presenze vive nel ricordo, segni che vanno sbiadendo mentre il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato. Scrive la De Simone sul poeta: “Nelle sue due lingue (…) ha saputo restituirci mondi di uomini e di cose e di fatiche e di stati d’animo che altrimenti sarebbero naufragati nello sperpero dei giorni”. Non a caso, dunque, a ideale premessa dell’antologia, insieme alla fotografia di Casarsa di Pasolini, la copertina riporta l’immagine della piccola stazione di Chiusaforte, paese natale di Cappello. La tipica scritta bianca su fondo azzurro del segnale si staglia sul muro di una piccola costruzione trasformata ora in deposito di legna perché nessun treno passa più di lì, lungo un percorso ferroviario ancora riconoscibile (per quanto?) ma dove i binari non ci sono più e l’erba sta ricoprendo sassi e banchina di uno strato omogeneo come la dimenticanza. I versi di Cappello “il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate / nello scorrere dei volti chiamati” esprimono perfettamente la capacità della poesia di evocare e testimoniare la presenza di un mondo che si allontana inesorabilmente ma non è perduto fino a quando ci sono parole e poeti che sanno nominare cose e volti, paesaggi e la vita che dentro vi trascorre.
 
L’essenzialità è il fulcro di questa antologia curata da Anna De Simone, precisa nella scelta dei testi più rappresentativi di ciascun poeta, appassionata nelle presentazioni che enucleano gli elementi che meglio connotano ogni autore, documentata nelle note biobibliografiche conclusive, discreta nel non anteporre il proprio impianto critico ma lasciando che siano testi e citazioni critiche a far emergere la specificità di tanti poeti legati al Friuli, unitamente alla loro appartenenza alle più valide correnti poetiche contemporanee, non solo italiane. La compattezza – metodologica e intenzionale – è una scelta etica, oltre che estetica, perché la Storia e le tematiche messe a fuoco dai singoli poeti “inducono a riflettere non soltanto su fenomeni linguistici e stilistici, peraltro fondamentali (…) ma anche e soprattutto su aspetti della vita e della realtà”.
 
Anna De Simone, Poeti del Friuli tra Casarsa e Chiusaforte, Ed. Cofine, 2012

Nelvia Di Monte