Giovedì 29 gennaio 2009, alle ore 17 presso la Biblioteca Gianni Rodari (via Francesco Tovaglieri 237A, Roma) si è svolta la presentazione del libro di Elia Marcelli Li Romani in Russia con la partecipazione del curatore del volume Marcello Teodonio e di Achille Serrao.
A dieci anni dalla morte di Marcelli e a venti dalla prima edizione, finalmente il poema viene di nuovo pubblicato a cura di Marcello Teodonio dall’Editore “il cubo” di Roma.
IL POETA Elia Marcelli
Tra il 1939 e il 1943 Elia Marcelli (Roma, 1915-1998) partecipa a quattro campagne di guerra come sottotenente di complemento: Francia, Jugoslavia, fronte greco-albanese e Russia. Durante queste campagne si distingue sia per l’impegno militare, sia per una attività volontaria di alfabetizzazione di numerosi soldati. Ferito e invalido di guerra, è insignito della croce al merito di guerra e decorato al valor militare. Una volta tornato in patria, Marcelli lavora per lasciare la testimonianza della propria esperienza nella guerra di Russia (che costò la vita a più di 200.000 italiani), e lo fa con lo strumento che più gli sembra vicino a esprimere la verità: il dialetto, il suo dialetto romano colloquiale e schietto, l’unica lingua capace di raccontare fino in fondo l’immane tragedia di quella vicenda. Così nasce il poema Li Romani in Russia, che ricostruisce, con la forma tipica del genere epico, e cioè le ottave classiche (circa 1.200), la campagna di Russia, e che è da considerare una delle opere più importanti della letteratura italiana della seconda metà del Novecento (al pari delle coeve opere di Rigoni Stern, Revelli, Bedeschi, autori ormai entrati nel ristretto numero degli scrittori fondamentali del Novecento), e scritta in un dialetto colloquiale e medio, di forte impatto emotivo, assolutamente comprensibile ovunque, e anzi semmai, proprio perché scritto nella lingua parlata degli stessi eroici protagonisti, più “vero” ed emozionante.
IL POEMA Li Romani in Russia
La storia di Remo, Peppe, Mimmo, Sarvatore, Nicola, er Professore, e soprattutto Giggi, l’amico più fraterno della voce narrante, è raccontata rispettando dunque assolutamente la verità della storia, alternando i registri stilistici, dal narrativo al grottesco, dal lirico al tragico. Gli episodi che si susseguono nell’incalzante racconto sono quelli di un’epopea tragica nella quale poi anche il “nemico” soffre delle medesime terribili situazioni: fame e freddo, paura e violenza (e proprio il freddo e la paura sono le sensazioni che rimangono più vive nella memoria del lettore); ma non c’è mai un equidistante e moralistico riconoscimento delle altrui ragioni, che diventerebbe consolatorio e pacificatorio: Marcelli ha fatto “davvero” la guerra e in questo senso il “nemico” è sempre lì, invisibile e spettrale ma spaventosamente pronto a sparare, a incalzare, ad atterrire. Le “ragioni” dell’avversario sono le medesime del parlante: il problema è, per tutti e due, riuscire a non farsi ammazzare; sono e rimangono sempre due mondi inconciliabili, oggettivamente in contrasto: e sta proprio qui tutto l’orrore della guerra. Dunque la conclusione non è quella che vincitori e vinti si abbracciano in un reciproco riconoscimento di valori e di colpe; alla fine l’urlo straziato e disperato del protagonista nel deserto di ghiaccio rimane una pagina di straordinaria efficacia: si tratta dell’ultimo tentativo di resistenza, quasi al di là delle possibili forze umane, dell’intelligenza contro la barbarie. Ma il messaggio non è banalmente consolatorio: davvero la guerra, anzi quella guerra, ha fatto perdere ogni dignità all’uomo.
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A ’sto punto guardàmose ne l’occhi;
lo so cosa pensate, fiji belli:
ch’io parlo der Paese dei Balocchi
o der Paese de li Campanelli,
’ndo se fanno i discorsi pe’ l’allocchi
e se pija la gente pei fondelli;
perché la storia detta a ’sta maniera,
pare fasulla perché è troppo vera!
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Oggi, però che compio sessant’anni,
fiji, fratelli e nipotini mia,
che so’ acciaccato e pieno de malanni,
ve chiedo: v’ho mai detto una bucìa?
Me so’ rimasti pochi compleanni,
poi ve saluto e me ne vado via;
sioccome nun ciò sòrdi da lassà,
vorrei lassavve… un po’ de verità!
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La verità, purtroppo, è come er vetro
ch’è trasparente si nun è appannato,
pe’ nascónne quello che c’è dietro
basta ch’uno apre bocca e je dà fiato!
Cristo, l’ha rinnegato pure Pietro
e Giuda pe’ du’ sòrdi, l’ha baciato;
e le parole più so’ ricercate
più t’hai domannà chi l’ha pagate!
Voi leggerete tanti libbri belli
de poeti famosi e letterati;
io invece leggo er Gioacchino Belli
ched’è er poeta de li ciorcinati,
ched’è er poeta de li poverelli
che pàrleno, perdìo, come so’ nati!
Me sbajerò, perché so’ un ignorante
ma er Belli dà le mele pure a Dante!
Perché lui te ritratta ar naturale
la vera storia de la pôra gente
sotto a l’antica nerchia clericale!
L’antri poeti, nun je frega gnente
pàrleno un itajano artificiale (…)