Le rondini di Manet – L’arbitrio e la necessità

Le poesie nella raccolta di esordio Anna Elisa De Gregorio

Pubblichiamo la prefazione di Alessandro Fo al libro di "Le rondini di Manet"  di Anna Elisa De Gregorio, in uscita da Polistampa di Firenze.

La raccolta di esordio di Anna Elisa De Gregorio meraviglia per la nitidezza e la maturità del timbro poetico. Un piccolo mondo, privato ma universale, vi si raccoglie all’insegna di una composta naturalezza venata di morbido pathos. Il passo è quello delicato del sogno, ma i contorni sono chiari, i temi e gli oggetti affiorano da una realtà ordinaria alla portata di tutti ogni giorno: quella che più vale la pena di imparare a conoscere e apprezzare attraverso la raffinata ‘posa’ in cui la ritrae un poeta.

Questa realtà si può condensare attorno a insiemi omogenei, che il poeta sceglie a suo arbitrio come una sorta di unità di misura, o un suo speciale scandaglio. Dipenderà dal suo canto dimostrare che quell’arbitrio era necessità, che quegli insiemi erano i giusti strumenti per offrire una lettura tanto nuova quanto profonda dei frammenti di visione o di memoria. Nelle Rondini di Manet abbiamo a che fare con tre criteri: un oggetto, un concetto astratto (e relativo), una condizione; il ventaglio, l’imperfezione, la piccolezza. Tre dimensioni, secondo cui ordinare il possibile caos in una miniatura perfetta nel suo ventaglio di offerte.

Le tre sezioni, ci rivela la Notafinale, hanno sullo sfondo anche tre diversi elementi: l’aria per i ventagli, l’acqua per l’imperfezione e, per la piccolezza, la terra. Senza l’aperta nota di poetica, questo collegamento non si lascerebbe afferrare; ma non si tratta di un difetto, bensì di una fra le tante declinazioni di una qualità eminente di queste poesie: la discrezione. Là dove siano operanti alcuni specifici ingranaggi, questi vengono accuratamente nascosti: perché tutto scorra, di sogno in sogno, senza l’ingombro di alcuna esibizione. E ciascuna sezione ha le sue regole interne: nella prima, il «ventaglio» è una parola tematica, che viene assumendo forme sempre diverse di poesia in poesia. Nelle seconde stanze l’«imperfezione» è sempre dichiarata a titolo; tranne – per legge d’imperfezione – in un caso: La leggerezza dei vecchi (inattesa perfezione). Qui ‘due negazioni affermano’: la misura dell’«imperfezione», applicata alla situazione personale, già di per sé imperfetta, della vecchiaia, si rovescia nell’unica «perfezione» della serie: non è più vero che tutto declini, ma qualcosa invece fiorisce, «qualcosa ha cambiato direzione». Come se il logorarsi del corpo mettesse a nudo una nuova essenzialità.

Nel terzo gruppo di liriche, l’idea guida traluce solo implicitamente: c’è sempre qualcosa di «minimo» che viene coinvolto in un suo eroico episodio. Per lo più si tratta di una piccola esistenza vegetale o animale, dalla foglia che, staccandosi, s’infila sotto il tergicristallo, «multa d’autunno», al minuscolo topo disorientato, di fronte al quale, per gentile soccorso al suo momento di panico, la persona che scrive retrocede, riavvolgendo il suo film:

torno indietro come musichetta

di pianola, per scomparire suono
lasciare libero il gradino verso
una madre in disperato abbandono.
Spelato di pena misero cuore
il mio col suo tempo d’un passaggio.
 
La piccolezza passa in un titolo solo per il Sogno piccolo dedicato, con una squisita arte imitativa, a Sandro Penna:
 
Ho baciato un ragazzo,
la saliva e il sorriso,
e so perché si vive
la vita per un sogno.
 
Svegliarsi la mattina
innocenti e ripartire
verso l’autunno mite,
con un solo pensiero.
 
Anche le cose inanimate prendono vita fra queste pagine. Talvolta perché una vera, calda, esistenza si agita nel loro perimetro, come per La giacchetta da Arlecchino, tenera scenetta di dolcezza infantile, culminante nel pupazzo tracciato sulle velature dei vetri appannati in cucina. Ma altrove il vivere accende le cose stesse: le automobili divengono «giardini di latta incolonnati» (Verso Ancona Sud); la strada rappezzata ci appare, nel breve giro di un haiku e grazie a tre sole parole («povera», «cucite», «toppe») come un accattone o un clochard di miseri panni:
 
Povera strada
sull’asfalto cucite
toppe più scure.
 
Si tratta di quella particolare sensibilità che i critici virgiliani hanno definito Beseelung: il provvedere tutto di un’anima umana. Basta guardare al raffinatissimo apologo delle cose reiette, lasciate in vista davanti ai cassonetti della spazzatura (Le cose che non servono):
 
C’è chi lascia davanti
ai cassonetti piante
come si fa coi vecchi
mobili, sono oggetti
da tenere in vista:
una speranza in fondo
che qualcuno li accolga.
 
E davvero succede
che una ragazza prenda
un vaso abbandonato
e se lo porti a casa:
paziente e grata attesa
che una minuta foglia
nasca, senza pretesa.
 
Come delle foglie, così è dei mobili – e degli uomini. Affiora la costante speranza che giunga una mano pietosa e porga una nuova occasione. Per chi è al capolinea: che vi sia una nuova corsa, un nuovo senso. E (finezza nella finezza) non v’è finale da conoscere: l’importanza è nel gesto.
 
Vite che si riflettono e si contemplano. Un gatto viola (che si farà anche «viola» nel senso dello strumento musicale), oltre una rete: «l’uno dell’altra siamo paesaggio / a quadretti, amore castigato».
 
C’è un segreto comune denominatore che connette tutto il caleidoscopio del mondo. Per questo, risalendo ora lungo le ‘imperfezioni’, si possono schiudere paradossi come
 
Radici in aria
e sotto terra i vivi
mondo a rovescio.
 
Il fatto è che siamo avviluppati dal mistero: le ginestre si raccordano a una lucertola, e poi a una timorosa promessa nuziale (Presente e imperfetto); cosa collega i due poli? Cosa raccorda i due momenti di sospensione (I due imperfetti), i due diversi ‘trasporti’, del treno e delle biciclette infantili? Sarà forse il vento? No, è la sola sensibilità del poeta, che li avverte vicini, li associa, e così ci avvia al loro inseguimento (un inseguimento onirico), fino a che, lungo la fuga di rêveries, non iniziamo a intendere quel suo bizzarro arbitrio per necessità.
         
Non è imperfetto l’amore? Lo è sempre; specialmente lungo le sue trasformazioni (Metamorfosi; Anniversario dimenticato), anche se riesce ancora e sempre a splendere di un suo bruno autunnale percorso da brividi.
          
L’imperfezione regina è la precarietà stessa del nostro esistere sotto la luna. La sfiora Profili in San Martino di Lucca (l’incertezza imperfetta), enigmatico impasto di luci, biancori – del marmo, di una cuffia – e destini, che capricciosamente hanno voluto che proprio noi ci affacciassimo all’avventura di essere. Ecco dunque la sorte di Ilaria del Carretto già chiusa, consegnata a una pietra che la gemma in gloria; quella del bambino ora a battesimo; e quella, ancora, della persona che osserva, come se fosse per una grazia esclusa da questo «comune destino / impermanente». Può avvenire del resto che qualche volta, rimirando lo squinternato paesaggio delle povere cose, quasi ci se ne senta distanti e superiori come remote divinità (Visioni d’imperfetto):
 
da questa posizione di collina
guardiamo divinamente
lontani…
 
Impressiona la vitalità segreta che può nascondere (forse per l’imprevedibile ricchezza delle sue pieghe) la parola-immagine «ventaglio». Anna Elisa De Gregorio sembra vantare una qualche magica dote in virtù della quale potrebbe, in questa sola prospettiva, riscrivere l’intera storia del mondo. Partendo però dalle cose e dalle persone umili. Per esempio (una volta di più) da una cucina (Un tempo straordinario):
 
…con abito nero, la balza in fondo che vola
e piccolo ventaglio tre onde di capelli
bianchi per diadema. In primo piano
la credenza che guarda stupefatta
in ballo due pantofole di panno.
 
Delicatissimo il bozzetto da mimo ellenistico, esteso qui (per antica Beseelung) fino allo stupore degli oggetti inanimati. E così pure la ‘punta secca’ delle scritture che, sui bordi della pagina, inseguono la lettura in I dolci polsi delle rose.
Sempre in un interno, ecco lo sfolgorante gioco d’amore fra una «lei»-«Psiche» e i raggi di un «lui»-«tramonto»-«Amore» nella poesia Il segreto (allusione, direi, al segreto di cui Amore si vela nella fiaba di Apuleio). Fuoco di luci, di vampe, e colori, innescato dall’haiku posto ad epigrafe. Una «striscia di mare» qui si limita a fare «da fondale»; ma non meno prestigioso è il ritratto della venditrice nera sulla spiaggia(La distrazione della bellezza), nel quale
 
sollevano ai bordi del mare
ventagli di rena le infradito.
 
Ogni poesia va a segno, cogliendo con palpitante precisione un nuovo fiore del mondo. Così per le zingarelle infantili di Il colore rosso, o per la facilità, anche canora, con cui Tangheria evoca un ritmo, un’atmosfera; o ancora per il ventaglio-magnete souvenir di Firenze, che calamita l’attenzione della poetessa dei ventagli (Ne prendo nove…). Quando non interviene addirittura – in un sovrapporsi di fumetti, pipistrelli e aquiloni – Batman.
 
L’animazione del ventaglio del creato sviluppa una propaggine metafisica, se esistono addirittura gli alberi custodi: nel caso di Anna Elisa De Gregorio è il fico, alla cui ombra si dispone alla quiete, nell’estate, ma forse anche di là dal tempo (In che posto riposare: lodevolmente, i titoli si mantengono per lo più un po’ fuori asse rispetto al soggetto del testo, ulteriore invito a curare i dintorni della lirica, le sue diramazioni sognanti).
 
Accade talora – ma con discrezione – che i quadri di vita siano colti con la mediazione delle atmosfere di un qualche artista figurativo: è il caso della lirica eponima della raccolta, tramata a partire da Les hirondelles  di Manet, ma anche della nonna rubata al Merisi della Madonna del Serpe in L’ombra di Caravaggio. Nella poesia sulle monache-ventagli, rappresentate nel cerchio di un «ventaglio dei suoni» (Campanile ortodosso), uno sguardo fondamentalmente pittorico giunge a fermare anche musiche e profumi, riempiendo l’istantanea di significati sospesi, affidati per lo sviluppo alle fantasie supplementari del lettore.
 
E in tanta apparente svagatezza, lontana da proclami di poetica, quasi sorprende la consapevolezza che traspare dalle parole di Il settimo giorno (la ‘spontaneità’ che ci aveva scortato con mano leggera ne risulta esaltata come frutto, oltre che di vocazione, di sapiente cesello):
 
E per quale
sgranatura del tempo
riconosceremo luoghi dove passano
con splendore intransitivo
le cose
che accadono piccole
ogni giorno?
Questa era
capacità dei poeti.
 
‘Manifesto’ appena suggerito, in forma interrogativa. E subito Anna Elisa De Gregorio di nuovo si raccoglie nell’esilità di corpo e di tratto propria ai suoi prediletti haiku; e chiude il suo libro (è una felice espressione di Eduard Fraenkel, per la chiusa del primo delle odi di Orazio) «indulging in an enormous understatement». Sottomodulazione che, a riscontro col buio, si fa intensificazione della luce e della voce.
 
Alessandro Fo (marzo 2010)
 
 
Anna Elisa De Gregorio è nata a Siena da genitori campani. Abita ad Ancona dal 1959 dove lavora presso una agenzia di Marketing.
Ha vinto il Primo Premio Haiku Empiria (concorso nazionale “Amici del haiku” 2008) presso l’Istituto di Cultura Giapponese di Roma., e nel 2009 il primo premio sezione Haiku nel concorso “L’arcobaleno della vita”. Ha ricevuto nel 2009 il secondo premio al concorso nazionale “Elsa Buiese” per una raccolta di poesie e il terzo premio al concorso nazionale Città di Ischitella Pietro Giannone per una silloge in dialetto. È fra i tre segnalati per l’inedito (silloge in italiano) al concorso Sandro Penna di Città della Pieve 2009.
Pubblica articoli di critica letteraria per varie riviste.