La veglia ed il sogno di Maurizio Rossi

Recensione di Vincenzo Luciani

 

Desidero innanzitutto attirare l’attenzione sulla densa Nota d’Autore che precede le poesie della raccolta “La veglia e il sogno” di Maurizio Rossi, sintesi tracciata da un poeta consapevole e da un critico qual è (in questo frangente critico della sua stessa opera, che sa esaminare con il necessario distacco). Una nota senza fronzoli e giri di parole e che contiene due considerazioni essenziali.

La prima sta alla base della tematica ed è inglobata nel titolo del libro. La nostra giornata e la nostra vita sono scandite “dal sogno e dalla veglia. A me capita di avere lunghi ed elaborati sogni, spesso rivissuti e raccontati al mattino: mi accorgo così, di un travaso di emozioni e ricordi tra il sogno e la veglia; tra le mie attività, i progetti quotidiani e i sogni; sorprendentemente anche tra i sogni del giorno, ad occhi aperti, e quelli accaduti nel sonno”. (…) “spesso mi ri-immergo nel sogno e mi piace spiegarlo a me stesso (…). E “sognando e mirando” (vedi Leopardi) nasce la Poesia, il fare che disfa le certezze, che fa “andare e tornare, la coscienza bordeggiare con la voce del mistero”. Mistero che è il quotidiano andare tra i “nodigli anni che compongono il nostro giorno – e le articolazioni che permettono il movimento, a volte più facile, altre più stentato.

Seconda considerazione: “Il libretto, inizialmente pensato come antologia che raccogliesse le poesie più significative delle precedenti raccolte, è divenuto poi un insieme tematico, dove nuove poesie si aggiungono alle altre, che comunque sono state rilette e rivedute, anche nella forma. Qualcuno potrebbe stupirsi e dire che ciò che è scritto, rimane così come è, perché esprime il vissuto di un momento preciso e compiuto; io penso (…) che lo scrittore possa plasmare come e quando ritiene la sua creazione, se è consapevole e libero di poter raccontare ancor meglio, nei versi, il suo mondo. La Poesia appartiene a tutti, ma prima di tutti a chi l’ha composta, con il labor che sappiamo.” I corsivi sono i miei e valgono come sottolineatura e consenso.

Sono l’editore del libro e il privilegiato testimone di questo labor, intenso e maniacale, senza il quale non si dà buona e onesta poesia, quella che a Rossi piace, che privilegia e persegue.

Una dritta per i lettori: poiché nella scheda del libro che appare sul sito poetidelparco.it Maurizio Rossi, su nostro invito, ha scelto quattro poesie emblematiche della raccolta e, secondo lui, più significative, la sua scelta – da me condivisa – è andata alle poesie: “Restaurando” (p. 7), “Senza rallentare” (p. 20), “L’alchimista” (p. 22), “Ascolto” (p. 30).

In “Restaurando” ammiriamo l’incipit: “Cieli insoliti tu sogni / e nuove terre, il desiderio / arrossa il sangue e svolge gli anni / che la fatica tarla / nel legno della stanza”… E dopo la descrizione della paziente fatica del restauro, ecco l’accensione poetica che culmina nel sorprendente verso conclusivo di un felice risveglio: “La mente ti ridesta / circonvoluzioni assopite / e nei sussulti trovi la cadenza; / l’animo ti solleva dal sommier / e fuori scopri una città ragazza.”

Filosofico l’andamento di “Senza rallentare” dove prevale il senso di estraneità di un vissuto ormai definitivamente alle spalle e l’estrema difficoltà a misurarsi con un presente e un futuro sempre più all’insegna della estrema velocità: “Ho bisogno d’incoscienza / per invecchiare senza rallentare, / più coraggio per abbandonare / la selce per il bronzo, / poi il ferro, poi l’acciaio, / e poi fidarmi del grafene, / del guizzo di luce, che centuplica / il pensiero, oltre l’umano.”

Un’antica passione di Rossi è quella per i mestieri e le persone che trasformano e si trasformano, infatti nella precedente raccolta Che resta da fare (2014) una sezione era appunto intitolata “Alchimie” e passava in rassegna mestieri come il ciabattino, il gruista, il falegname, la fioraia, la sarta, il fotografo, la maestra, la prostituta, il medico, l’addetto alla pompe funebri, l’operatore di call center. In quest’ultima raccolta egli prende in esame il filosofo: “L’alchimista del pensiero / insegue la mutazione / tra coni d’ombra / e rotondità di luce, / rimescolando sul fuoco vivo / anni e domande / e soluzioni antiche / per distillare il vero.”

In “Ascolto” (p. 30) ecco un Rossi che si libera ed esplode in un canto lirico, in questa gemma poetica in cui immagine e suono si accompagnano e sostengono librandosi: “La campagna ha parole / di verde diverso, l’azzurro / del cielo è silenzio interrotto / da voci di nubi; i voli in picchiata / gli accenti, le ali distese / puntini in volo sospesi”…

Ricorderete come l’Autore, in apertura, rivendichi con forza il suo diritto di riplasmare la sua opera poetica. Quindi ci chiediamo: come lo ha fatto? E quindi esaminiamo alcuni testi poetici che figurano nella raccolta Che resta da fare, confrontandoli con la loro revisione nella presente raccolta.

Rossi, ad esempio riconferma sapientemente e pressoché in toto, salvo un rientro nel terzo verso e la sostituzione di una e con una virgola la poesia “Linguaggi”che riproponiamo: “Rivesti d’aritmia la tua balbuzie / mentre la musa ti conduce / nella città del vento, torna suono / la parola, sfuggita all’uso / meccanico, all’abuso.”

Più profonda e radicale è invece la revisione in “Nel vento” (poesia presente in entrambe le raccolte e in questa a p. 27) e l’esigenza di brevità ci impedisce di fare un confronto dell’intero testo. Ci accontenteremo di quello della prima strofa che, nella raccolta del 2014, suona così: Camminavamo avviluppati / ai sogni, sguardo / nel vento controsole, / la meta ci ha rapito, / illuso, che la maturità, / con i suoi muri, / allontanasse il vento.” Mentre nella seconda si libera del superfluo, acquistando ritmo e incisività con una diversa disposizione: Avviluppati ai sogni, / sguardo nel vento / controsole, avanzavamo. / La meta ci ha rapito, / illuso che la maturità / allontanasse il vento.”

In “Sessanta nodi” nell’odierna versione ridispone il testo (franto in versi brevi nella raccolta del 2014) in endecasillabi (e un solo settenario) a sottolineare con maggiore efficacia lo svolgersi della riflessione come si evidenzia al meglio nella parte conclusiva della poesia: “Tra le giunture è il quotidiano andare – / ore di luce e tenebra nei giorni – / fune tesa dall’energia d’amore, / che risuona nel vento siderale.”

Nella poesia “Il dubbio” la revisione nella nuova raccolta si muove con un sapiente coinvolgimento del lettore nel terzo verso e ridestando la sua attenzione nell’osservare insieme al poeta ciò che sta per avvenire: “Un soffio accende voci di foglie / dell’albero immoto, / e t’accorgi ch’è vivo.” Coinvolgimento che prosegue fino all’immagine finale dell’inquieto viandante che va “in cerca d’un letto, dove lasciarsi / andare ed infine dormire.”

Mi piace inoltre segnalare alcuni altri testi che mi hanno colpito nella lettura e rilettura.

“Tachicardia” (p. 9) in cui il poeta-medico si ausculta e ricorrono termini del mestiere: “Sfamati così / tanti dubbi, hai ancora domande. // Concertando la felicità, / hai composto un’aritmia. // Già parli al passato – non vedi? – / la sete rallenta la corsa, / ma curioso è il nistagmo, / talvolta s’immerge / in respiro sospeso / a domare il galoppo.” Una curiosità Il termine nistagmo, dal greco nystagmós, sonnolenza, si riferisce a movimenti oscillatori, ritmici e involontari dei bulbi oculari.

In “Nello stesso respiro” (p. 12) il poeta dialoga con la moglie sui figli ed affiora una certa sua invidia: “Tu li hai vissuti nel grembo, / io solamente abbracciati. / Non temi il distacco, perché / hai sofferto lo strappo, / quel taglio di fune sanguigna / che lega la vita al suo seme. / Io padre, pretesa misura / di gesti, passioni – oggi ormai ieri – / dovrò farmi ricordo, pensieri”… Fortunatamente “Resta il soffio, portato/da noi, nello stesso respiro”.

Interrogativi senza risposta pendono in “Attesa” (p. 16). “Mi chiedo se udite / i miei gesti, i pensieri. / Ma voi in silenzio, / aspettate che il fuoco / di stelle consumi / la notte, la civetta / si annidi e l’allodola canti.

Segnalo “Eredità” (p. 30) dedicata ai figli che sono diventati grandi e al difficile dialogo intergenerazionale in cui noi genitori non possiamo non ritrovarci coinvolti, bellissima, per intero, e di cui cito solo il magnifico incipit: “Voi figli amati ad uno ad uno / perle preziose dal mio primo sguardo, / state racchiusi nelle vostre mura, / siepi pungenti, fatte di silenzio.

Sottolineo gli ultimi versi di “Poeta” (p. 17): “Non componi poesie / solo sciogliendo / i viticci dei pensieri, / ma il giorno che fai / andare e ritornare, / la tua coscienza bordeggiare / con la voce del mistero.”

Molte altre notazioni si potrebbero fare, spero però di essere riuscito a incuriosire e a sfogliare questo 15° aperilibro, così ricco pur nell’esiguità delle sue 32 pagine autocopertinate, oppure grazie anche ad essa, stimolatrice di una selezione più severa dei testi da proporre e della loro concisione come questo “Uccelli in volo” (p. 24) con il quale termino questa nota introduttiva alla lettura in cui la veglia sfocia lievemente e misteriosamente in sonno e in sogno: “Un oscuro volo, d’uccelli / nube improvvisa, spegne / i tuoi occhi, mi nasconde le labbra / e il tuo seno. Porti nel sonno / un sogno segreto”.

 

MAURIZIO ROSSI, nato a Roma nel 1952, è medico in pensione. Ama scrivere in lingua e in dialetto romanesco. Collabora con scritti e recensioni al sito poetidelparco.it; è nella redazione della Rivista “Periferie”. È socio de “La Primula”, associazione tra volontari e famiglie di disabili, nella quale partecipa al laboratorio teatrale integrato e agli spettacoli. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Dal pozzo al cielo (2008), Tempo di tulipani (2009), Sono aratro le parole (2011), Che resta da fare (2014), La Veglia e il sogno (2019) e, in romanesco, Cercanno leggerezza (2015).

 

Maurizio Rossi, La veglia ed il sogno, Aperilibro n. 15, Edizioni Cofine, Roma, 2019

 

Pubblicato l’11 febbraio 2019