La veglia e il sogno di Maurizio Rossi

Recensione di Aurora Fratini

 

La poesia di Maurizio Rossi va letta ed assorbita lentamente così come, tra la veglia ed il sonno, i sogni sognati durante la notte affinché, piuttosto che svaniscano, proseguano un loro corso interiore, mescolandosi alla realtà concreta dell’esistere.

È un fluire di immagini, emozioni e sentimenti sapientemente elaborati in una forma stilistica ricercata e raffinata, dove non c’è nulla di superfluo e ridondante, dove il procedere del quotidiano vivere è vissuto in totale sintonia con l’anima, ispirata ad una delicata bellezza onirica.

Dice il poeta: nella sua introduzione:

«A me capita di avere lunghi ed elaborati sogni, spesso rivissuti e raccontati al mattino: mi accorgo così, di un travaso di emozioni e ricordi tra il sogno e la veglia; tra le mie attività, i progetti quotidiani e i sogni; sorprendentemente anche tra i sogni del giorno, ad occhi aperti, e quelli accaduti nel sonno.»

Oserei dire che ci troviamo di fronte a quella che il critico Gaston Bachelard, figura emblematica dell’epistemologia francese, definisce “poetica della rêverie.”

La rêverie, che è fantasticheria, immaginazione, abbandono al flusso dei sogni ad occhi aperti, è, secondo Bachelard, la materia prima dell’opera letteraria. E afferma:

«Di quale altra libertà psicologica godiamo, oltre a quella di fantasticare? Psicologicamente parlando è proprio nella rêverie che siamo degli esseri liberi.»

I versi di Maurizio Rossi manifestano uno stato della coscienza onirica che si trasferisce ad immagini poetiche e profondamente amate della vita. E’ una poesia consapevolmente libera che esercita il fascino di una continua stupita ricerca, una poesia fatta di rimandi stupori, incertezze, metafore, che mescola suggestioni simbolicamente oniriche a luci ed ombre, consapevole di un’attesa e ansiosa di una risposta.

Una libertà si traduce nel candore assoluto del “bianco”, sintesi e culmine di ogni colore, luce assoluta:

la troviamo nel

caleidoscopio di colore che  si fonde nel bianco della luce: (che è) il bianco che “fa vedere” nuove le cose di sempre. (Introduzione all’opera)

nei

fili d’aria che legano il tuo cuore / come caleidoscopio di colori / fusi nel bianco che ti fa vedere. (Fili d’aria)

nel

Il bianco nel buio che attende, la sposa addormentata senza una canzone, (Notte di sposa) speranza di una nuova luce di vita.

nelle

ore di luce e tenebra nei giorni (Sessanta nodi)

nel

cuore (che) anela una distinta luce. (Diversa Luce)

Il bianco, associato alla luce, assorbe e vivifica lo spettro caleidoscopico dei colori che la poesia di Maurizio Rossi ci offre: simboleggia una trasformazione che incide nel passaggio da una determinata fase della vita ad un’altra, nelle tante vite dei tanti destini che si incrociano.

Come in sogno, la vita è anche e soprattutto libertà di intraprendere un “viaggio”, talvolta incerto, un andare, venire, tornare, non tornare più: il poeta, sognatore e realista, è un “Viandante di memorie” (come cita il titolo di una poesia della raccolta), un “inquieto viandante che va” (Il dubbio) alla ricerca di una “meta confusa” (Verso Santiago) eppure anelata, una meta annebbiata che va dipanata, “tra nebbie di coscienza” dal “Turista chiassoso sconosciuto a se stesso” (Un sogno).

E del resto lo stesso poeta dichiara: neanche io mi somiglio…

Nella poesia Nella nebbia leggiamo:

… Forse potrai

un giorno diventare

turista di te stesso,

diradare la nebbia.

 

Una poesia, quella di Maurizio Rossi, che è un’intima potente meditazione costante sulla vita, ricerca della ragione d’essere, viaggio interiore dentro e fuori di sé per non perdersi nel tempo ed indagare il mistero della vita, anzi, “il mistero in ogni vita”(Millenovecentodieci) così immenso e insondabile come il mare, più volte citato, il cielo, il diserto di Jerba.

Jerba, percezione intima che fonde l’elemento naturale al sentimento umano. Non panismo, ma riflessione, meditazione profonda sulla vita e sull’amore, dove l’utilizzo ripetutamente voluto del verbo al futuro “tornerà”, su cui i poeta insiste, crea la sospensione del divenire, esprime il desiderio di un qualcosa che debba necessariamente verificarsi per mutare il corso della cose, secondo uno stato di desiderio prodotto della volontà nella contemporaneità della sua riflessione.

In questo girovagare “il porto resta da svelare” (Diversa luce) e, un po’ come un “porto sepolto”, campo semantico dell’oscurità e del mistero che il poeta cerca di indagare, volge ad una tensione verso l’ignoto, illuminato non di rado da folgorazioni luminose e di colori. Trascende le dimensioni spazio temporali per andare a collocarsi, talvolta, in un confine  che è  “una discreta linea d’orizzonte” come si legge nella poesia La linea incerta. Un punto che è un limen, una soglia, un uscio fortemente simbolico, un principio, ma anche una fine, una frontiera, un trapasso, un andare oltre… La linea incerta è un confine dall’intimità dell’io e l’io esterno, o meglio, il noi.

L’io, l’assoluto presente della creazione dell’identità soggettiva, che garantisce l’accesso principale all’autoconoscenza, resta in una relazione di delicata reciprocità con l’identità esterna, anche quando sembra perderne il percorso. “Confine” è, letteralmente, cum-finis, ciò che mi separa e nel contempo ciò che mi unisce, che ho in comune con l’altro, soprattutto se l’altro o l’oltre riveste una significanza pregnante di valori imprescindibile nella sfera affettiva e sentimentale dell’io che, come in questo caso, quasi trascolora nell’alterità.

Il sentimento del tempo, infine, della vita, della morte, fa della poesia di Maurizio Rossi una grande poesia, quella che ci consente finanche di sognare di poter “rubare il gomitolo” a Làchesi prima che Atropo inesorabile tagli il filo (Le Parche).

La poesia sposta il momento stabilito ed immutabile. In essa tutto è possibile.

Aurora Fratini

13 giugno 2019