Nella poesia di Paolo Ottaviani (La rosa segreta. Velate assenze d’armoniche rime, Manni ed., 2022) le parole sono perle di cultura incastonate nella rima e lo sforzo della rima s’arrotonda in petali di rosa e diventa naturale arricchimento del rapporto con il creato.
Ma Paolo non entra mai con mani di terra nella natura, l’accarezza soltanto per trarne nuova linfa per proseguire nella sua ricerca di spiegare e spiegarsi il mondo, questo strano mondo degli uomini:
“Il mondo parla una sua lingua oscura/di cui l’anima avverte rare note/che il verso dona in una lingua pura”.
Dal punto di vista formale anche l’uso frequente dell’ enjambement sembra quasi uno sporgersi dal balcone per fermarsi un attimo per sentire le voci di sotto.
La maestria formale nei sonetti nulla toglie alla freschezza del linguaggio.
Ci sono tante rimembranze della spiritualità che emana dai paesaggi umbri che, non a caso, ha dato tanti santi”.
Nella sezione “Spigolature” in un “idioletto medioevale nursino” entriamo nel tempio sacro d’un antico idioma rivisitato.
Ma, attenzione, non è grammelot, è lingua viva ricavata dai muri di pietra delle chiese umbre e dagli scorci di passato che ovunque t’inseguono.
Con grande maestria qui il poeta è alla ricerca delle proprie radici.
Nell’ultima sezione “Altre poesie” “di pace e di guerra” torniamo ai versi liberi per ricordarci in quali tristi tempi si vive.
Profondissima la “Triste filastrocca del pacifista”.