La pietra salvata di Maria Grazia Maiorino

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

 

Maria Grazia Maiorino, nata a Belluno da madre veneta e padre lucano, dopo aver trascorso parte dell’infanzia e dell’adolescenza al sud, è approdata ad Ancona. Si è laureata in Lettere a Urbino e ha insegnato nelle scuole medie fino al 1993; si è poi dedicata all’attività letteraria. Ha pubblicato: E ho trovato la rosa gialla, (1994); Sentieri al confine, nell’antologia 7 poeti del premio Montale (1997); Viaggio in Carso (2000); Dare la mano a un albero (2003); Di marmo e d’aria (2005); I giardini del mare, (2011); Il romanzo L’Azzurro dei giorni scuri (2006). Nel 2013 e nel 2015 ha pubblicato due raccolte di racconti, L’America dei fari e Angeli a Sarajevo. E, infine nel 2017 la plaquette L’angelo di Piero.

Ideatrice del laboratorio di poesia “rosagialla”, ha organizzato molteplici iniziative culturali di poesia e musica; premi letterari; laboratori di haiku ; convegni; il laboratorio di diaristica rivolto a familiari di malati di Alzheimer, nel progetto “La parola che cura” (2005-2006). Ha collaborato con il Corso di Formazione sulle cure palliative SIMPA, curando un laboratorio di haiku a Varenna sul lago di Como. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Montale (1996), il Marianna Florenzi (1999) per la Poesia d’Amore e il Prima Donna (2008). È cavaliere della poesia dell’Accademia della Crescia di Offagna.

La silloge della Maiorino segue un significativo percorso: dal dialogo agito in un blog, passando per il campo del cinabro a recuperare l’energia vitale, per immergersi nel silenzio e perdonare- perdonarsi; andare fino in Terrasanta– mistero di fede e storia- per incontrare “la pietra salvata” un “santo graal” che riporta all’origine, ad ogni origine.

La scoperta fantastica di ogni viaggio, è tornare, ritornare all’archè, a ciò che ha spinto all’avventura; così, la pietra è salvata, perché restituita ai suoi elementi, a quella forza misteriosa che lega gli atomi e alla materia dà consistenza. Similmente, tornare all’origine di sé, per ogni essere umano, è tornare alla sostanza d’amore che ci “lega” noi stessi e noi agli altri: l’anima che sola può “lanciarsi libera in altri cieli/ dove ciò che è spezzato sale/ al compimento.” Sfugge l’anima ad ogni definizione, ad ogni gabbia concettuale o emotiva; ma l’Autrice sembra assimilarla alla Poesia, “versi come ostie/…passando per un lento scioglimento/ di parole tra lingua e palato” la quale è accolta solo in una “lettura sommessa” cercando sempre “una musica/ unica amplificazione possibile/ del ritmo sussurrato dalle parole”. La musica che salva e restituisce all’amore materno appassionato, la musica che le marionette, accecate da un camice bianco, non possono sentire; del resto, accecate da un ruolo, da un mestiere, non hanno neanche occhi per il candore delle nuvole o i gabbiani che brillano sugli scogli, né per le odorate ginestre, memoria vegetale di ricamati soli.

Una vista così acuta ed un udito così assoluto, si ritrovano, come l’Autrice, rientrando in sé, in quel tantien difficile da comprendere mentalmente, almeno per un occidentale, eppure così vicino al silenzio fecondo dell’ io; occorre oltrepassare una soglia e accogliere il sogno della Poesia-nave bordeggiante nel buio della notte dei poeti, per lasciarsi andare col soffio di vento tra le lenzuola stirate delle pagine.

In tale ricchezza di ascoltare e udire, non manca però la cura della vita, che assomiglia al buon taglio e al buon cucito; con tale cura si può aprire un buon libro, che va al cuore delle cose e riannoda fili di storie perdute; per questa cura, si anima di voci un salotto disertato.

Vien da pensare a quanti presunti reading poetici possano dar anima alle voci in salotti deserti, quanti esprimano la cura della vita o siano piuttosto un concerto notturno di rane in uno stagno!

Niente di tutto questo nella silloge della Maiorino, attenta al confluire della fiamma di due candele che “si fondono in una/ come un perdono”, icona di un donarsi reciproco senza alcun timore; o alla fiamma che mette ali/ per additarTi; ove la religione diviene indicare la meta quando ancora si è ognuno al suo posto, anche nell’ultimo immobile istante ”Moriamo allora-dicevi-/ abbandonandoti di nuovo in quell’ altrove/ già diventato luogo familiare” ; poi, l’aiuola d’edera ferrosa è nuda, come nuda la pietra senza fotografia, perché quale vita c’è nei “ritratti mutati/ e in petali che presto appassiranno?” Ecco ancora la pietra salvata, perché liberata da sovrastrutture , fosse anche una figura, illusione ( ricordo) di un affaccio alla finestra, o l’emozione d’un gesto lieve, ma carico d’emozione, come “farfalla che si posa nel saluto”. La pietra salvata ritorna ad essere segno, simbolo nudo di ciò che realmente resta, dell’amore dei morti che vince sui vivi; non certo vittoria come esito di lotta, ma “preghiera muta che tocca le cime delle montagne come una scala tra chi attende e chi è atteso.

L’ascolto dell’io, la discesa in sé, non è per Maria Grazia solo un punto di arrivo; quando lo è, diviene subito spinta ad una nuova ricerca, ad uscire da sé, per inginocchiarsi a guardare i mughetti, “diventare loro compagna nel sottobosco” : non accontentandosi di ciò che è alla nostra altezza.

Allora, abbassandosi, semplificandosi, tra l’umiltà dei burattini di legno, si riconosce Gesù, come “il più bello tra i figli dell’uomo”; Maria prende il volto delle trentasette donne che attendono fuori della miniera del Sulcis, a Natale, la liberazione dei loro uomini “occhi braccati…che balenano nel buio dietro i cancelli”; ci si muove in un camminare per noi e per gli altri…“lungo le vie diritte dell’Esplanade/ già si piegano i passi del corteo”. Occorre piegare i passi, per seguire le vie dritte, e in questo non c’è contraddizione, così come possono coesistere la preghiera e il silenzio, il fuoco e la pioggia: “preghiera…danza indiana/ che invoca la pioggia-/ e il silenzio è di fuoco.”

Tutto è possibile, nell’Amen.

Blog

Mai avevo salutato qualcuno

in partenza per la Terra del Fuoco

non è un libro di Chatwin

né l’epopea in motocicletta del Che

ma il sorriso grande di un amico

che già risale l’America da solo

e altre stagioni mentre noi restiamo qui

intorno a un tavolo d pizzeria.

Sarà un sogno nei sogni del tuo zaino

passi mancati tramutati in versi

cuciti come una camicia lunga

che ti regalerò al tuo ritorno…

Campo del Cinabro

Ora che ad aspettarti rimane solo la casa

comprendi finalmente cos’è una casa

come a nostra insaputa invecchi e respiri

appendendo specchi a d ogni istante.

Riportare a casa il chi

dice il gran maestro Li Rong Mei

e intende quel centro nostro tantien

– l’antico campo del cinabro-

dove ogni volta bisogna tornare

per avere un punto da cui ripartire.

Ora che ad aspettarti rimane solo la casa

ascolta finalmente quante cose ha da dirti

quanta vita conservi e te ne faccia custode

e come tutta in te voglia abitare.

Fotografia

Se cerco la casa dove hai abitato

ha pareti d’aria

e pavimento di tegole rosse

rotolano bolle di canzoni

sui tetti di via Cialdini

due ragazzi con le chitarre

non si vedrà più niente di simile

il futuro negli occhi

e la musica per raggiungerlo.

La bambina non c’è

ma sta già aspettando

timida con un libro in mano

e il desiderio di una somiglianza.

Ortensia del miracolo

L’ortensia del miracolo

ha attraversato temporali

conservando il bianco immacolato

del suo bouquet da sposa

ha raccolto sospiri senza tremare

la sua cupola di pace

dallo stelo breve

ha fatto nascere Bretagne.

A te

Prendo i vostri versi come ostie

amici- da silenzio a silenzio

passando per un lento scioglimento

di parole tra lingua e palato

con le mani e le orecchie tese

ad ascoltare impalpabili suoni

che ci guardano come stagliati

sulla pagina bianca.

Abitare i vostri paesaggi – amici-

è il terzo occhio che si apre

goccia rubata al miele della mente.

5

Ora di cena-

che bacio ricordare

fino alle labbra?

Nella chiesa di Cana

Ti sposo nella chiesa di Cana

come le coppie salite all’altare

di una lunga vita insieme-

dovete credermi sulla parola

ho perduto l’anello da benedire

ma quello che porto è ancora amore

moltiplicarsi del vino e del pane

giorno di festa- promessa vergata

sulla pergamena del cuore

dove disegnano i nostri due nomi

giorno dopo giorno le linee

di riti meravigliosi.

Maria Grazia Maiorino, La pietra salvata, Progetti editoriali, Ancona, 2016

Maurizio Rossi

Pubblicato 28/7/2019