La lingua della realtà e la lingua della poesia

Recensione di Walter Cremonte a "gí e ní" di Ombretta Ciurnelli

 

Ad accompagnarci (almeno provvisoriamente) fuori dall’angoscia di questo tempo cupo ecco il libro bellissimo di Ombretta Ciurnelli, gí e ní, edito nel marzo di quest’anno da Cofine, Roma, che è un Editore di prestigio nel campo, in particolare, della poesia dialettale italiana. E infatti questo è un libro, come già dal titolo si intuisce, di poesia nel dialetto perugino; non tanto nel più diffuso – e talvolta un po’ convenzionale – perugino “di città”, quanto piuttosto nella parlata dai tratti arcaizzanti, non priva di qualche asprezza pietrosa, del contado di San Martino in Campo: una lingua probabilmente scomparsa nell’uso in queste forme, studiata con rigore filologico dall’Autrice e recuperata a una sua valenza decisamente poetica , come sua propria “lingua della poesia”.

Di fronte a un’operazione di tale valore (letterario, ma anche linguistico e, direi, antropologico) torna alla mente la considerazione decisiva di Franco Brevini, nel suo imprescindibile Le parole perdute (Einaudi, 1990), da cui si origina, credo, questa rinnovata consapevolezza culturale che caratterizza i nuovi poeti dialettali: “Mancando o allontanandosi il vincolo rappresentato dall’uso, il dialetto, divenuto sempre più codice personale, strumento di espressione della soggettività, viene adottato dal poeta in straordinaria libertà” (una libertà tuttavia controllatissima nel caso di Ombretta Ciurnelli). E si conferma, su questa base, l’intuizione del poeta Fernando Bandini, per cui la scelta dialettale coinciderebbe, oggi, con il passaggio dalla “lingua della realtà” alla “lingua della poesia”.

Ma naturalmente non è un “passaggio” così facile e scontato: mi viene da pensare, leggendo i migliori nostri poeti dialettali (tra cui, certamente, Ombretta Ciurnelli), che sia piuttosto il frutto di una lotta intima, anche sofferta, per raggiungere di volta in volta un difficile punto di equilibrio artistico tra quello che è un insopprimibile mondo sentimentale, lirico, tutto memoriale, di affetti e di ricordanze, e un mondo (prevalentemente linguistico, ma anche sociale) che, oggettivamente, mostra i segni dello sfacelo. E penso che sia proprio questa tensione a garantire in larga misura l’originalità e la piena riuscita di questo libro. O è piuttosto la tensione tra un dialetto – lingua concreta, lingua “della realtà”, dove a ogni parola corrisponde un oggetto o un atto definito, e una lingua poetica ricca viceversa di possibilità astrattivo-simboliche e metaforiche a rendere così straordinario il lavoro sulla poesia di Ombretta Ciurnelli. La quale, ricordiamolo, è autrice di un recente ottimo saggio sull’autotraduzione nella poesia dialettale, e che quindi si muove con piena consapevolezza tra le due lingue, sul filo di quella “tensione” che dicevo.

Si pensi per esempio a come è resa qui in dialetto la parola “immagine”, che è tanto rilevante in ogni discorso sulla poesia: con un approssimativo eppure efficacissimo e sorprendente arsumíje. Ma le sorprese più forti e coinvolgenti vengono dalla traduzione italiana (sempre di grande bellezza) che la Ciurnelli trova di volta in volta per l’espressione eponima gí e ní, la quale compare in tutti i 24 testi che compongono il libro. Opportunamente l’autrice elenca all’inizio del libro tutte le varianti di significato della locuzione in italiano, in rapporto ai diversi contesti: così il semplice e letterale “andare e venire”, o”viavai”, o “andirivieni” diventa di volta in volta “attimo”, “baleno”, o anche “girare”, “alternarsi”, “volteggiare”, fino ai poeticissimi “tremolio” e “dondolio”. Quest’ultimo significato è quello decisivo, perché attribuito all’altalena (la bilimbènza) che nel suo movimento di va e vieni rievocato dalla memoria appare come il vero centro originario d’ispirazione di tutto il libro. In quel dondolio (andare e venire, ma anche venire e andare) si riassume il senso del nostro esistere precario. Già, ma quale è il senso? Ch’arà volsuto dí / la bilimbènza?

La recensione è apparsa il 1 luglio 2020 in Micropolis