La bisbetica napoletana

di Dino Artone (libera versione in italiano e napoletano de' La bisbetica domata)

[aprile 2009] La bisbetica napoletana (da W. Shakespeare, The taming of the shrew – La bisbetica domata) – Libera versione in italiano e napoletano, con presentazione di Plinio Perilli, pp. 144 (cm 16,5×23,5 – in copertina disegno di Lara Artone), Edizioni Cofine, Roma, aprile 2009, euro 15,00.
Il libro sarà presentato a Roma il 4 giugno 2009 alle ore 17 presso la Biblioteca comunale Gianni Rodari in via F. Tovaglieri 237a. Interverranno, olte all’autore, l’assessore del Municipio Roma 7 Leonardo Galli, il poeta e critico Plinio Perilli, il poeta Achille Serrao, l’editore Vincenzo Luciani.
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La bisbetica napoletana di Dino Artone, è una libera versione in italiano ed in dialetto napoletano della famosa commedia di Shakespeare “La bisbetica domata”. (E’ pronta ma ancora inedita la versione in romanesco.)

L’operazione mitopoietica e insieme lessicale di Artone sull’opera shakespeariana convince e rammemora gli illustri precedenti che, si direbbe, vengono un po’ tutti assommati, centrifugati in una deliziosa, multivitaminica bevanda ristoratrice… perché il vero linguaggio ha sempre sete di Linguaggio e potendo, o giocando, lo vampirizza, lo “tantalizza”.

L’AUTORE             

Dino Artone (nato a Scauri, in provincia di Latina) è poeta di pregio, metaforico-concettuale, autore di raffinate, significative raccolte (tra cui Crono e Mnemósine, 1988; Nel verso del tempo, 2002; Le voci precluse, 2006; Identità e appartenenza, 2007; Quello che conta, id.), ma anche narratore, gustosamente esistenzialista (La cenere e il fuoco, racconti, 2007) e romanziere di grande fascino psicologico (Il buio e la veglia, 2005; Quisling, 2006; Il broker e la robinia, 2008).

NEL LIBRO                     

Dalla presentazione di Plinio Perilli

(…) Alla maniera del geniale Roman Polanski che parodizza il Conte Drakula, Principe di Transilvania, il nostro eclettico, infaticabile Dino Artone (il quale come un maestro scacchista si diverte a giocare – da par suo – su diverse scacchiere contemporaneamente: tanto per intenderci, quelle della poesia, del racconto thriller, del romanzo di formazione, della divagazione saggistica, del repertorio o moralità di costume, del teatro comico universale…) carnevalizza lo Shakespeare ameno ferocemente mascherandosi proprio da Shakespeare ameno, e approda con trama, stilemi e relative battute immortali direttamente sotto le pendici del Vesuvio, o nei pressi del Colosseo… insomma dove la sua inesauribile fantasia linguistica e vis polemica lo conducano per evangelizzare il presente, e aggreghino o s’inventino scenari adeguati, parodiati, si badi bene, ma tanto più rigorosi, fervorosi!

Oreste – E che àto pòzzo rìcere, cchiù ’e chést’? ’Sta fémmen’e ’nu riàvulo cu’ ciént’ còrne… e tène ’na léngua comm’a ’nu curtiéll’affilàte, pure si è bella e à studiate, pecché ’o pàte è nòbbele e tèn’e sòrd’, e cià tenùt’a ’ffà studià a’ guagliòna! Ma nisciùn’a vò pe’ còmm’è ’ntussecósa. Accussì stànn’i ccòse. Onestamènte, si fosse pe’mmé rumanésse zitèlla finn’acché campa!

Non pago della “traduzione” nella lingua neapoletana (vedi Progetto Bisbetica), in una versione in romanesco (ancora inedita) il Nostro Artone raddoppia per giunta lo sforzo e l’amenità, sùbito addentrandosi e mascherandosi nell’etimo delle vie e viuzze e vicoli romaneschi di Trastevere, questa volta rapportandosi, concretamente e idealmente alla psiche e alla lengua che fu di Belli e Trilussa, Giggi Zanazzo e Cesare Pascarella e infine Mario Dell’Arco o Mauro Marè:

Oreste – E che àntro ciò da dìvve, ppiù de’ quésto? ’Sta fémmina è ’n diàvolo co’ cènto còrna…  e cià ’na linguaccia com’a ’n cortèllo tajènte, puro si è bella e bbòna, e à studiato, pecché er pàtre è nòbbile e zeppo de sòrdi, e cià tenùt’a mannà a studià ’ste ddu’ fìje! Ma nissùno ’a vòle pe’ còmm’è sbibbètica, garosa e rugantina. Così stànn’e còse. Parlànno cor còre, si fusse pe’mmé quéla arimanèsse zitèlla finn’acché campa! è troppo ’nfojàta!

Il risultato ovviamente è riuscitissimo, mordace, delizioso e volgare (in senso etimologico: umore, destino e stile proprio del volgo), insomma vaporosamente, accentuatamente nazionalpopolare, quanto affilato e intrigante d’intelletto, reboante ed esaustivo al massimo grado…

Oreste – Che altro mai potrei dire più di quel che ho detto? Questa femmina è un diavolo con cento corna… e la sua lingua è un coltello affilato, anche se è bella e ha studiato, perché il padre ha un titolo nobiliare e ci ha tenuto alla sua educazione. Ma nessuno la vuole per come è bisbetica. Così stanno le cose! Sinceramente, se fosse per me resterebbe zitella finché campa!

(…)

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(Atto primo) SCENA SECONDA   A casa di Oreste.

Entra in scena Pasquale col suo servitore Giustino.

Pasquale – Sono davvero contento, Giustino, di essere venuto qua da Caserta a trovare il mio amico Oreste. Questa dev’essere la sua casa. Su, batti!
Giustino – Chi debbo battere, padrone? Qua non c’è nessuno da picchiare… a parte voi.
Pasquale – Senti Giustino… non fare lo scemo! Ho detto batti contro la porta!
Giustino – Non v’arrabbiate, padrone… stavo solo scherzando. Ancora non è nato quello che vi batte, a voi! Questo può succedere solo per gioco!
Pasquale – Giustì! Prima volevi fare lo spiritoso, e ora vuoi fare il filosofo… Ma quand’è che farai il servitore e batterai su quella porta? O vuoi che prima io debba battere con una mazza su quella testa di rapa che ti trovi? Bussa e sbrigati! Hai capito?
Giustino – Sì… credo proprio di sì padrone… (Batte sulla porta.)
Oreste (entrando in scena e aprendo la porta) – Ehi! Chi si vede! Il mio amico Pasquale con quello spiritoso e ribaldo di Giustino! Come state? Come siete venuti?  Entrate… fammi sapere, Pasquale!
Pasquale – Te lo dico in due parole: è morto mio padre, il mese scorso. E m’è venuta grande insofferenza di restare a Caserta, e una smania di viaggiare! Ma voglio anche prendere moglie! Grazie a Dio denaro e proprietà non mi mancano… Così sono venuto a Napoli con due servitori: questo rompiscatole di Giustino, e un altro, Crispino, che ora mi sta facendo delle commissioni. Ed ho pensato di venire a trovare per primo proprio te, che sei mio buon amico, per farmi dare qualche buon consiglio… matrimoniale! Allora che mi dici? Hai da suggerirmi qualche opportunità?
Oreste – Qualcosa ce l’avrei… sì… ma non me la sento di consigliartela. Si tratta di una bella ragazza, per la verità, ma è assai bisbetica, velenosa e litigiosa. Certo… è piena di quattrini… ma tu sei troppo amico mio, e quindi ho il dovere di sconsigliartela… Per carità, Pasquale! Questa è una strega, e se tu te la sposassi faresti la figura del minchione.
Pasquale – Caro Oreste… lo sai che mi stanno un po’ attizzando queste notizie? Mi eccito solo a sentire quanto è diabolica questa donna! è mai possibile? A volte le femmine sono così perché sentono la mancanza del maschio… e mi riferisco a un maschio energico e duro, mi sono spiegato? Quando le donne sono fatte a questa maniera, caro Oreste, sono donne calde: hanno il fuoco in corpo, senti a me! Ah!… sì sì! Debbo conoscerla! E poi… hai detto che è piena di quattrini? Allora è proprio la donna che fa per me! Combina un appuntamento, fammela incontrare!
Giustino – Don Oreste! Fatelo per l’anima dei vostri morti! Dite tutto quello che sapete su questa donna, al mio padrone. Non vorrei che venissero fuori altre notizie che ora non si sanno. Il denaro è sempre una buona cosa, ma a volte rende cieco perfino l’uomo più intelligente e risoluto.
Oreste – Che altro mai potrei dire più? Questa femmina è un diavolo con cento corna… e la sua lingua è un coltello affilato, anche se è bella e ha studiato, perché il padre  ha un titolo nobiliare e ci ha tenuto alla sua educazione. Ma nessuno la vuole per come è bisbetica. Così stanno le cose! Sinceramente, se fosse per me resterebbe zitella finché campa!
Pasquale – Basta così, Oreste! Te l’ho detto come la penso. Per me è una donna che ha il fuoco nascosto e i quattrini in evidenza. Voglio conoscerla immediatamente! Datti da fare! Ora devi dirmi come si chiama suo padre.
Oreste – Il padre è Don Ferdinando Nuzzo. è una persona generosa ed onesta e ha il titolo di Cavaliere di non so che. T’ho già detto che è pieno di soldi e proprietà. Lei, la bisbetica, si chiama Caterina.
Pasquale – Ah!… Ma allora ho capito chi è! Mio padre buonanima lo conosceva bene! Non vedo l’ora di incontrarla, questa Caterina! Oreste! Vedi quel che c’è da fare. Portami subito a casa sua.
Giustino – Don Oreste… fate quello che il mio padrone vi chiede, altrimenti comincia a smaniare fin quando non la conosce, questa ragazza! E poi si fa nervoso e impaziente e se la prende anche con me! Voi non lo conoscete bene questo signore! Lui già tiene il fuoco in corpo… credete a me!
Oreste – Giustì, non ti preoccupare! Il tuo padrone è come un fratello per me! Ascolta, Pasquale… Ho da dirti un’altra cosa, molto importante per me: Don Ferdinando ha anche una figlia più giovane, si chiama Bianca, sorella di Caterina. Io sono davvero pazzo per questa ragazza e vorrei sposarla. è bella ed è buona, proprio il contrario della sorella. E ci sono molti pretendenti per lei. Ma il padre non la darà a nessuno se non marita prima Caterina. Ora cerca Maestri di Musica e di Letteratura per Bianca, e forse anche per Caterina se lei li accetta, e io ho avuto un’idea: mi farò passare per Maestro di Musica, perché un po’ me ne intendo, per poterla incontrare ed entrarci in confidenza per accattivarmela. Cosa ne pensi? (…)

(Atto primmo) SCENA SICÓNNA   A ’a casa ’e Oreste.

Tràsene Pascale c’o criato sùjo Giustino.

Pascale – Sóngo ’o veramente priàto, Giustì, ch’àmme vinùt’accà ’a Caserta, pe’ truvà l’amico mio Oreste. Add’èssere chésta ’a casa sòja. Vàtte!
Giustino – Acchì àggia vàttere, patro’!? Accà nu’nce stà nisciùno ’a vàttere… aspartàt’a vvùje!
Pascale – Ma pecché vuó fa sèmp’o’scèmo, Giustì… Vàtt’a pòrta, t’àgge dìtte!
Giustino – E nun’ve ’ncazzàte, i’ stavo sùlo pazziànn’! Ancor’àdda nascere chìll’ ca ve vàtt’a vvùje. Pecché vùje putìte essere vattùto sùlo pe’ pazzìa!
Pascale – Giustì! Prìmm’ facìv’o spassùso e mo’ bbuó fa ’o filòsufo… Ma quann’è ca fàje ’o sèrvitóre e vàtt’ ’n’fàccia a ’sta porta? O t’àggia vàttere ’na mazzata ’ncòpp’a ’sta càp’e rapésta ca nte truóve? Jàmme, vàtte e fa’ lèst’… aje capì?
Giustino – ’Mbè sì… me pare ch’àgge capìte! (Vàtte ’n’còpp’a porta.)
Oreste
(araprènn’a porta) – Uè chi se vére! L’amìcu mio Pascale co’ chìllu fetènte ’e Giustino! Comm’stàte? I’ che bellézza! Comm’è ca sì vinùte? Trasìte, e fàmme sapé Pascà!
Pascale – T’o ddìco ’int’a ddóje parole: murètte pàteme, ’o mese passàte… e m’è vinùta n’appecundrìa a rummané a Caserta! E tèng’a smàni’e fa’ ’e viàgge… ma tèngo pure gènio ’e’mme spusà! ’Ngràzzi’a Ddìe ’e sòrd’ nu’mme mànchene, e pure ’e proprietà… e vàco truànn’ ’na bbòna fémmena pe’ m’a spusà. Mèglie si tène ’e sòrd’assàje, t’o’ vvòglio dìcere sùbbete! Allora àggio penzàt’e passà prìmma ’a te, ca si’ ’o mègli’amìcu mio… Pe’ te salutà e puro pe’ mme fa rà, si ’o ttiéne, ’nu buóno cunzìglio. Tiéne caccòsa p’e mmàne, Orè?
Oreste – ’Mbè… tenésse caccòsa… sì… ma nu’mme fìre ’e t’a cunziglià. è ’na bella fémmena, ’a verità, ma è ’ntussecósa, zirriósa e recagliósa assàje. Cèrto ca… stà chìn’e dinàre, ma tu si’ tròpp’amicu mio… e perciò te l’àggia scunziglià… P’ammóre e’ Ddìe! è ’na janàra, Pascà! Si’ t’a spusàsse, a chésta, facìss’a figùrella ’do tòtaro!
Pascale – Nè… Orè! ’O ssàje ca me stóngh’allummànn’ cu’ ’sti nnutìzzie? M’àgge quàs’arrapàte sùl’a sèntere chésta fémmena quant’è malamènte! Po’ essere?!  Cert’i vvòte ’e fémmene so’ accussì pecché le mànca ’o màsculo… o’ màsculo màsto e tuósto, voglio rìcere… m’àggio spiegàt’? Quànn’e fémmene so’ fatt’a ’sta manèra, Orè… tènen’o ffuóco ’ncuórpo, siént’a mé! Ah… sì sì! L’àggia canóscere! E ppo’…tèn’e sòrd’assàje stìve ricènn’? Chést’è ’a mèglia fémmena pe’ mmé! Ià! Vìre che ’a fa! Apparìcchia ’n’appuntamènto, fammélla scuntrà!
Giustino – Don Orè! Facìtelo pe’ ll’ànema ’e chi v’è mmuórto! Ricìte tutt’e ccòse ca sapìte ’ncòppa a ’sta fémmena, a ’o patróne mìje. Nu’vvulésse ca po’ ièsce ’a fòre quacc’àta cosa ca mo’ nu’nze sàpe. ’E sòrde so’ sèmpe ’na bbòna cosa, ma cert’i vvòte fànne cecà pure l’òmme ’nzìsto e tuósto!
Oreste – E che àto pòzzo rìcere, cchiù ’e chést’? ’Sta fémmen’e ’nu riàvulo cu’ ciént’ còrne… e tène ’na léngua comm’a ’nu curtiéll’affilàte, pure si è bella e à studiate, pecché ’o pàte è nòbbele e tèn’e sòrd’, e cià tenùt’a ’ffà studià a’ guaglióna! Ma nisciùn’a vò pe’ còmm’è ’ntussecósa. Accussì stànn’i ccòse. Onestamènte, si fosse pe’mmé rumanésse zitèlla finn’acché campa!
Pascale – Basta Orè! T’àgge dìtt’cómm’a pènz’ ìo! Pe’ mmé è ’na fémmena ca tène ’e dinàre scupiérte e ’o fuóco annascùse. ’A vòglio canóscere prìmm’e mo’! Vìre che a’ fa’! Mo’ tu me a’sùle rìcere cómme se chiàmm’o pàte!
Oreste – ’O pàte se chiàmma Don Ferdinando Nuzzo. è ’na perzóna a ppòsto e ’o facèttere Cavaliere ’e ’nzàcce che. T’àgge già dìtte ca stà càrech’e dinàre e proprietà! E ’a figlia ’ntussecósa se chiàmma Catarina.
Pascale – Ah, ma allora ’o ssàcce chi è. Pàtemo bonànema ’o canuscéva bbuóno a  ’On Ferdinando! Nu’bbéco l’ora ’e veré ’sta Catarina, Orè! Vìre ch’uó fa! Accumpàgneme amprèss’a casa sòja!
Giustino – Don Orè! Facìte chéll’ ca ve cèrca! Sinnò ’o patróne mio accuménz’a sbarià fin’a quànn’ nu’nna canósce, a ’sta guaglióna! E ppe ’na via o ’n’àta po’ se fa ’nquartàto e smaniùso e po’ s’a pìglia pure cu’mmìco! Vùje nu’nn’o sapìte bbuóno a chìste! Ìsse già tène ’o fuóco ’ncuórpo… crerìt’a mmé!
Oreste – Nu’stà co’ penziéro Giustì! ’O patróne tùje m’è fràt’a mmé! Siént’ Pascà!  T’àggia dìcere ’n’ata cosa ’mpurtant’assàje, pe’ mmé! ’On Ferdinando tène pure ’n’àta figlia, sòre ’e Catarina, e se chiàmma Bianca, ’a cchiù piccerélla. Ie m’àgge ’mpazzùte pe’ ’sta guaglióna e m’a vulésse spusà: è tròppa bell’e brava, ’o ccuntràrie ’da sòra. E nce stànne cchiù càne appriéss’a essa. Ma ’o pàte rìce ca nu’nn’a dà a nisciùne si prìmma nu’ mmarìta a Catarina. Mo’ ’stu pàte va truvànne Maéstr’e Mùseche e Filosufia pe’ Bianca, e i’ àgge fàtta ’na penzàta: ’o fàccio io ’o Maést’, pecché i’ ne sàcce ’e mùseca, accussì ’a pòzzo ’ncuntrà tutt’e ghiuórn’ e nce pìglio cchiù cunferènza. Che ne piénze? (…)