Krankenhaus di Luigi Carotenuto

Nota di Maria Gabriella Canfarelli

Una scrittura che si muove tra scatti e indolenza, breve eloquio e allusioni, informa le pagine di Luigi Carotenuto in Krankenhaus (Gattomerlino, 2020); disincantata forma espositiva di constatazioni/riflessioni fulminee di un discorso poetico che a volte pare subire una secca battuta d’arresto come di fronte a una porta chiusa.

Il dolore della mente è tale che mai lo si nomina in modo diretto; amplifica la presenza, il peso della sua indicibilità la sosta dell’io in una zona d’attesa o anticamera ospedaliera dei sentimenti del tutto o parzialmente inespressi mentre si attende il responso di guarigione di un “tu” familiare (di cui si paventa la perdita) e dell’io che ne scrive; ma il dolore interiorizzato, imploso, opprime e incombe alla stregua di una notte senza soluzione di continuità, davanti/alle spalle/ sempre/in agguato./ Non puoi grattarla via, scrive Carotenuto in questi, come altri della raccolta; versi ruvidi talora sconfinanti in duro disincanto, talaltra in dichiarazioni di inadeguatezza, disagio, straniamento persino. Nella presentazione a questo piccolo libro Leonardo Barbera pone l’accento sull’effetto fonico del termine tedesco Krankenhaus (in italiano, ospedale), fonema che rimanda al rumore secco di un osso spezzato, rumore interno che all’esterno si riproduce in forma di sordo ma distinto rimbombo; sono testi che “raccontano un evento, (…) una cronaca di come si costruisce un’assenza, quando l’oggetto di questa assenza non è ancora sparito, ma si immagina la sparizione. (…) Direi che è una cronaca fantastica, in presa diretta, degli spostamenti continui della psiche per arrendersi al vuoto o riempirlo con ciò che rimane: la memoria”.

In forma confessionale l’autore sistematizza il proprio percorso di vita a partire dal dato relazionale tu/io, della comunicazione dimezzata o assente se persino la sede dell’oralità, la bocca è spalancata / a ingurgitare il niente; se anche i ricordi difettano di consistenza, di realtà senziente: non hanno sangue,/muscoli, odore. /Non puoi stringerli,/succhiarli, /sono coperte/ fatte di niente. Talora spiazzante poiché sincera sino allo stremo del coraggio umano la poesia di Carotenuto procede per assunti a volte inclini a un timbro beffardo, ed è al contempo lucida presa d’atto dell’eterna dicotomia essere/apparire: il poeta, dunque, rifugge l’apparire e sceglie la nuda e cruda autenticità a partire dalla particella di negazione presente in alcuni tra i più significativi testi: Non sono capace di devozione./Se vuoi, però, so trovarti/ i difetti migliori, quei pregi/ presentabili che non destano invidia. E ancora, confessa l’inabilità di non sapere né poter dare ad alcuno lezioni su come si soffre /garbatamente sul filo del mondo, / questa è roba da equilibristi come del resto è inutile, davvero non serve trovare scuse/per tirare avanti, (…) fingerci interi di fronte alla vita-maestra che ogni giorno ci interroga, e sempre al suo cospetto ci si trova impreparati; alle sue domande cogenti, il poeta risponde: non ho ripassato la lezione.

Nota biobibliografica

Luigi Carotenuto, nato nel 1981 a Giarre (Catania), ha pubblicato con Prova d’Autore i libri di poesia L’amico di famiglia (Catania, 2008) e Vi porto via (Catania, 2011): Un suo poemetto inedito in volume, Taccuino olandese, è apparso sul n. 48 – Anno 2015- di Gradiva – Rivista internazionale di Poesia italiana(rubrica Sguardi, a cura di Mario Fresa). Altre poesie sono apparse su La Terrazza – Rivista di Letteratura e Ricerca n. 10 (Edizioni Novecento, 2018).