Leggendo questa silloge, ma forse tutta la poesia della Curci, si ha come l’impressione di ascoltare il Beethoven del triplo concerto per violino piano e violoncello: in quella stupenda composizione, il violino risuona nella testa, il pianoforte nel cuore, il violoncello nella “pancia” e tutti e tre dialogano con l’orchestra, l’anima beethoveniana che li lega. Così nella raccolta – non a caso divisa in tre sezioni, Tragedia e idillio, Quando tace il latrato e Tolle, lege – la cifra poetica dell’Autrice si fraziona per poter parlare dritta alla mente, al cuore, alla “pancia”: “Queste sono le note per gli accordi/ il controcanto a pifferi e trombette/ i vocalizzi muti i ponti a mente”. Eppure, in queste tre voci, non smarrisce l’interezza, né il percorso, raggiunti con un labor che evoca il “matto e disperatissimo” studio leopardiano “Questa è la storia di appunti fatti a pezzi/ di fogli sminuzzati/ di righe cancellate.//Questo è il puntiglio d’un frammento perso…” per esprimere una comunicazione diretta, e per questo autentica, di voce e di suoni “da muro a muro” (nella “casa” dimora del sé e del noi) contrapposti ad un “fuori” di frapposizioni, di apparenza e falsità.
Ho voluto evidenziare questa poesia- non a caso riportata integralmente nella quarta di copertina – perché è paradigma dell’intento e dell’impegno di Anna Maria.
Ai miti della prima sezione, seguono dolori e inquietudini vissute nel silenzio che segue il latrato – la confusione di idee parole e interpretazioni – e infine l’ultima sezione del “prendi, leggi” l’invito rivolto ad Agostino a convertirsi attraverso la Parola letta, e, nel caso dell’Autrice, invito per sé, a guardare, immergendosi nuovamente, “oltre” i libri dietro i vetri, per ritrovare il filo tenace che li lega.
Perché i miti, che senso ha riproporseli? La risposta è nei versi in esergo “sguardo volgemmo in alto a confermare” – che riecheggia magnificamente il dantesco“uscimmo fuori a riveder le stelle” – ancor più bello nel contrasto con le “sortite impreparate…con le pianelle” racconto del quotidiano, degli imprevisti, e delle sorprese, celate dentro ogni giorno.
E non dimentica Anna Maria, anzi esalta, lo straordinario del viaggio e della ricerca, accanto al “misurare le stanze” dell’attesa, “le rotte dell’eloquio/ da muro a muro e gli schiaffi sull’acqua/ di tutte le odissee…”; consapevole che nessuno sfugge a questa contraddizione, perché insita nella natura umana, tra due “poli” più vicini di quanto si creda. Infatti ecco, nell’altra sezione, “quando tace il latrato cambia voce” che dice ben oltre ciò che si legge: l’indagare nel buio, più che ardire è “tastare cauto” accostare l’esistenza e narrarla con la poesia che “scava, fruga e sprofonda” nella persona-poeta, ma senza condannare chi fa il male. Nella comprensione del male c’è la radice della cura e non dell’offesa; dalla comprensione del male nasce anche la denuncia alla quale l’Autrice non si sottrae. Ricorda infatti in coinvolgenti versi il giorno di scontri e dell’uccisione di Giorgiana Masi (Vorace s’acquatta,12 Maggio 1977); la tragedia di Ustica (Ustica,27 giugno); il delitto mafioso di padre Pino Puglisi (Quindici settembre); la strage di Piazza Fontana (Dodici dicembre) “Ogni giorno nell’oggi negli anni/compone la memoria con l’affanno/il terrore lo strazio l’esplosione”. La prima denuncia è dunque la memoria, che vive ancora una volta nella testa, nel cuore e nella pancia.
Infine, a chiudere il percorso della silloge, ecco il “Tolle, lege” radice d’ogni sapere e interpretazione, di ciascuna domanda e ricerca, oltre ogni risposta, che diviene a sua volta domanda: senza fermarsi “E ogni giorno, bellezza, ogni giorno/ sia camminare a fianco/ oppure salutarsi…tra narrare e narrarsi” ascoltando la sete “compagna di viandanza”; e magari lasciare che la borraccia (vuota?) serva almeno a segnare il “ritmo di passo”. Nulla è inutile.
Non so se Anna Maria si senta una moderna Trobairitz; per quanto mi riguarda, sono certo che lo sia, poiché emerge dai suoi versi, sferzanti, ironici o lirici, ogni giorno che canta e canta ancora, la domanda “è vuota la parola?”; e In-sorte, pur dando risposte, non ci si accomoda, sapendo che già dopo un solo istante potrebbero non lenire l’inquietudine “di pianto e menestrella”.
Così, nell’insegnamento e nell’educazione, come nel suo percorso poetico, Anna Maria Curci continua, con risolutezza e speranza. a “vestire di luce il buio”.
Trobairitz al pianto
Al pianto che martella
replica trobadora:
tu rivolta il berretto,
non distogliere sguardo,
canta e poi canta ancora
Ě vuota la parola?
Te lo chiedi ogni giorno,
sopito e sulla strada,
ché si prosegue affianco,
messer lutto e scudiera.
Lunghi tratti in silenzio
e in sordina si accorda
la nota melodia
di pianto e menestrella:
vesti di luce il buio.
Ustica, 27 giugno
Cos’è la verità? Uno specchio ustorio
parabola a difesa dell’assedio
stra-vaganza stracciona e assetata
lazzara sulla soglia di madama
menzogna che festeggia il compleanno.
Gocciano le bugie nei candelabri
per un desco imbandito e imbandierato
con caccia armati a carico sganciato
su vite esplose in volo. Schermo piatto.
Scacco al re e alla sua torre di controllo.
Elce
Hanno attaccato al tronco una striscia
con l’altro nome tuo, quello maschile,
e “quercus ilex”, la doppia firma:
rifugio saldo, ramo sporgente,
appiglio a chi accede in altre stanze.
“Quercia di pietra” ti chiama un’altra lingua.
Una pena? Un passaggio? Un cambiamento?
Su squarcio di domande e all’erba secca
in silenzio offri ombra e riparo.
Si prova a galleggiare
sbracciandosi in affanno.
Oppure si fa il morto
chiudendo gli occhi al cielo.
Chi scalcia l’acqua inganna,
è falso movimento.
Con voce dico sommessa e con l’incanto
con voce dico sommessa e con l’incanto
di una folgorazione che si imbarca
e lo so che lo strazio si rinnova
e lo so che l’assenza spinge al fianco
per tutte le cadute ammonticchiate!
Rimbomba
incitazione
corda che si sgancia
srotolare di addii
pegni sospesi
non di ritorni canta
né di imprese
solo di un comico
eterno “arrivedorci”
Anna Maria Curci, Insorte, Il Convivio Ed. Castiglione di Sicilia (CT), 2022
Anna Maria Curci, nata a Roma nel 1960, insegna lingua e cultura tedesca in un liceo statale. È nella redazione della rivista “Periferie”, diretta da Vincenzo Luciani e Manuel Cohen; per il sito “Ticonzero” di PierLuigi Albini ha ideato e cura la rubrica “Il cielo indiviso”. Ha tradotto, tra l’altro, poesie di Lutz Seiler (La domenica pensavo a Dio/Sonntags dachte ich an Gott, Del Vecchio 2012), di Hilde Domin (Il coltello che ricorda, Del Vecchio 2016) e i romanzi Johanna (Del Vecchio 2014) e Pigafetta (Del Vecchio, 2021) di Felicitas Hoppe. Ha pubblicato i volumi di poesia Inciampi e marcapiano (LietoColle 2011), Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015), Nei giorni per versi (Arcipelago itaca 2019), Opera incerta (L’arcolaio 2020), Insorte (Il Convivio 2022).