In ‘Ppi-mia fussi’ la Ragusa di Umberto Migliorisi

Una recensione all'ultima silloge di Renato Pennisi
Umberto Migliorisi venne definito in anni lontani da Giuseppe Zagarrio “poeta di frontiera”. La sua Ragusa è il sud più a sud del nostro Paese, quindi osservatorio privilegiato di tensioni, movimenti, del mosso transitare da una fase a una nuova della storia.
 
Migliorisi ha scritto molto, in italiano e, soprattutto in dialetto. Ma è la sua produzione in dialetto che, sin dal suo primo apparire negli anni sessanta, si caratterizza come poesia civile e indignata, polemica nei confronti della piccola e nuova borghesia, una volta contadina, che ostenta nuovi e goffi comportamenti consumistici. Di questa fase, che possiamo definire politica, ne è rappresentazione il libro Ntâ mpaisi tranquillu (In un paese tranquillo, 1986), dove con un linguaggio corrosivo e feroce, e spesso espresso nell’andamento cantilenante della filastrocca, Migliorisi ironizza sui nuovi ricchi, sul malcostume delle raccomandazioni, sulla miseria sempre in agguato, sul degrado delle città e della campagna, e sulla illusione determinata dalla legge 183 che non riuscì a risolvere il problema della occupazione nel mezzogiorno, e che anzi mortificò le giovani e qualificate intelligenze meridionali obbligandole a scegliere lavori inutili e mortificanti.
 
L’evoluzione della poesia di Migliorisi passa per il successivo Cuppê l’acqua (Colpa dell’acqua, con prefazione di Dante Maffia, 1996), dove la polemica per la corsa al denaro e per tutto quello che esso di negativo rappresenta, e per una sconfortata e profetica disillusione per l’avvenire, viene stemperata dall’intimistico recupero della dolcezza dell’infanzia, con i suoi luoghi, i suoi gesti, i suoi riti, i suoi passaggi fondamentali (l’attesa della domenica, la celebrazione della Messa, il primo innamoramento, la guerra, la figura paterna, la fame, l’arrivo degli americani, la borsa nera…).
 
Più ci si addentra nella poesia di Migliorisi più ci si rende conto della assoluta forza di questa scrittura, quasi sempre destinata a edizioni rare e quindi introvabili, esili, pochissimo frequentate dalla critica (e penso alla saggezza di Giacinto Spagnoletti, che molti anni fa mi disse che sono pochi i critici che vengono portati dalla loro insaziabile curiosità a scovare i misteriosi e sfuggentissimi,  e per di più pigri, autori dell’estremo sud…).
 
Altra tappa importante di questa poesia è Farfalli e scintilli (Farfalle e scintille, 1999), libro elegantissimo e compatto, sospeso tra l’incantamento dell’infanzia, rappresentato nel luogo magico dove nascono le farfalle che avvolgono in un meraviglioso soffio di migliaia di ali colorate il bambino che cerca rifugio, per gioco, in un albero cavo, e il pietoso orrore della morte raffigurato in una poesia A scatula, tra le più significative di Migliorisi.
 
Un percorso che culmina nelle diciotto poesie di Ppi-mia fussi (Se fosse per me, Cofine 2012), dove il poeta, oggi ottantaquattrenne, dà alla propria scrittura una inclinazione lirica, meno indignata e più cantabile, come avverte Giuseppe Traina nella prefazione.
 
La poesia consente di esprimere il proprio amore per vita, si accende di una luce inattesa, anzi è un invito a cogliere tutti gli ammaestramenti che la vita, a volte in maniera sorprendente, riesce a proporre, anche, in un episodio lontano, marinando la scuola per andare al mulino dove c’erano i lavanneri cch’è cosci di fora (le lavandaie con le cosce di fuori).
 
In questa nuova stagione, Migliorisi afferma i valori dell’amicizia e della semplicità francescana, e abbassa lo sguardo, in Rrausa ri na vota, sulla sua Ragusa, che non è più il paese che profumava degli odori della campagna, ma una città divenuta, come tutte le altre, caotica e senza anima.
 
Renato Pennisi