Il reale e il possibile, di Giovanni Di Lena

La Prefazione di Raffaele Pinto

A trent’anni dall’inizio del suo viaggio culturale nella poesia, ad oltre venti dall’uscita della sua prima raccolta, ‘Un giorno di libertà’, che costituì una ventata veramente nuova in un panorama letterario un po’ ingessato nei temi e nei modi di un certo meridionalismo nostalgico che riaffiora periodicamente, a quattro anni pieni dalla divulgazione di quel ‘Non solo un grido’ che era finalmente, dopo quattro esperienze letterarie di ricerca, di voluto scompaginamento di equilibri concettuali e linguistici, opera della maturità, giocata sui toni della scanzonata leggerezza, della commovente disillusione, della visione non più amara ma non meno triste del piccolo e del grande mondo a lui circostante, ebbene, con questo passato pieno di riflessioni, confronti, scontri con tutti i livelli della vita sociale (da quello economico a quello politico, da quello etico a quello culturale), Giovanni Di Lena si presenta, ma meglio direi ‘si offre’ ancora, si dona nuovamente al pubblico variegato dei suoi lettori e a quello non meno attento della critica con questa ultima plaquette intitolata, non a caso, ‘Il reale ed il possibile’.

Divisa in due corpose sezioni, la prima intitolata Terra, la seconda Aria, quest’opera ci consegna un autore al contempo noto e sempre originale, capace di leggere e rileggere, nel tempo, le piccole e grandi sofferenze della nostra regione con lo sguardo disincantato che non dovrebbe essere del poeta (per definizione proiettato verso dimensioni futuristiche, utopiche, ideali, a volte addirittura irreali, pur partendo dal contatto col presente, col contingente e con l’oggettivo) e invece in dovendo assegnare in modo severamente professorale un voto alle due sezioni, il nostro imbarazzo, e per nostro intendo l’imbarazzo di tutti noi che avremo il piacere di scoprire le tenerezze e le amarezze nascoste nei versi dileniani, ebbene, questo imbarazzo non finirebbe di diventare sempre più grande.
E si: perché questa scelta di due dei principi primordiali della cultura materiale e spirituale dell’Uomo, l’Aria e la Terra, ci rimandano a bisogni basilari che ognuno di noi cerca nella propria esistenza: la solidità degli affetti, la certezza del lavoro, la possibilità del dialogo costruttivo con gli altri, un contratto alla pari con il tempo, vale a dire con lo ieri (la storia) e con il domani (il futuro).

Nel mondo del Reale, in quella prima sezione intitolata Terra, molte, quasi tutte queste cose al poeta mancano: le vicende personali, quelle lavorative, quelle sociali, politiche, economiche hanno stretto Di Lena in un angolo, lo hanno aggredito, lo hanno lavorato ai fianchi e, come egli stesso ci suggerisce, lo hanno torturato ‘a fuoco lento’.
“Ubi consistam”? – pare chiedersi Di Lena, come i padri della nostra cultura: dove potrò mettere radici senza un lavoro, senza la possibilità di cambiare radicalmente la storia del mio territorio, senza che le voci del dissenso possano trovare un luogo di sintesi e di sublimazione? Ha un senso, ha una ragione, ha un motivo d’essere il mio scrivere versi, il mio intercettare i dolori e le gioie del mondo, le insoddisfazioni ma anche le indolenze delle terre del dolore le cui coordinate si trovano tutte a sud di Eboli?
Di Lena si dà delle risposte parlando di ‘terre sventrate’ in cui è difficile tenere viva la speranza; ci parla di ‘voragini silenti’ che inghiottono speranze ed illusioni; ci descrive contemporanee ‘alchimie industriali’ che ci ricordano bellissimi versi del passato (ricordate ‘Industrializzazione’? ‘Festosa/nelle valli del grano/s’insinuò/ la morte’); ci narra, dolente, ancora una volta, e siamo alla sesta raccolta, di un mondo precario, non più industrializzato e non ancora terziarizzato, globalizzato nella maniera più feroce e quindi sostanzialmente ‘non integrato’ di cui egli stesso da troppi anni fa parte senza riuscire a venirne fuori; ci dipinge universi sbagliati, negatività, alberi (cioè progetti di vita) tagliati, conflitti, stasi, desideri di fuga, alienazioni vere o recitate, parole inutili ed inutili chiusure.

E ancora una domanda insegue, incalza, tormenta il poeta ed è una domanda che egli fa a se stesso: dove dovrà avere radici il mio essere? Dove e perché dovrò, ad un certo punto, lanciare l’ancora? Dove troverò o ritroverò la bussola di questa mia vita scossa da troppi venti?

Le risposte Di Lena cerca di darsele nella seconda parte, quella che, ad onta del titolo Aria, è al contrario, quella in cui la quiete del sentimento e della ragione incontra le luci delle certezze. E le certezze del poeta di Marconia sono quelle di sempre: la visione rasserenante della natura ancora in parte incontaminata, pura; il verseggiare come risposta ad un’esigenza profonda, incontenibile, assoluta d’espressione e di dialogo; il trovare in diverse forme del dolore (deliziosa è la poesia ‘Le due rose’) inaspettate ragioni di vita; l’Amore come principio e come fine ma soprattutto come aspirazione perenne; il bisogno di scoprire o riscoprire potenzialità nascoste in sé e negli altri; la necessità di non dimenticare, soprattutto i parenti, gli amici, i conoscenti che la Morte ci ha sottratto.
E’ tutto questo ma molto di più questo libro e sono certo che ogni lettore vi troverà qualcosa di sé, come in tutte le opere di reale valore: in questi versi non c’è esibizione di artificiosità retorica, non c’è epifania di virtuosismo concettuale o metrico, non c’è ostentazione di superiorità sentimentale ed intellettuale. Nelle diverse poesie delle due sezioni di quest’ultima, pregevole opera del Di Lena troverete ancora una volta il poeta che conoscete ma anche il riflesso, inespresso o inesprimibile, di molti pensieri e molte emozioni che costituiscono, dentro di voi, l’unica ricchezza che nessuno potrà togliervi mai.

Raffaele Pinto

Giovanni Di Lena è nato a Pisticci (Matera) nel 1958. Attento e sensibile osservatore della realtà quotidiana, la percepisce con un coinvolgimento emozionale totale. Il travaglio generazionale e personale di Giovanni Di Lena ha trovato la propria dimensione in sei opere letterarie delle quali “Il reale e il possibile è cronologicamente l’ultima (2011). E’ autore anche delle raccolte “Un giorno di libertà”, “Non si schiara il cielo”, “Il morso della ragione”, “Coraggio e debolezza” e “Non solo un grido”.

Il reale e il possibile
Ad Enrico Mattei che credette in un’Italia migliore ed in una Lucania più felice

La freccia infuocata
– spietatamente innocente –
che le sorelle
per gioco
lanciarono nel vuoto
spezzò le ali di un airone
che s’apprestava a voli reali
e conquiste possibili.
Fu fatalità – forse –
che fulminò la causa
di chi aveva le idee chiare.
L’oro che sgorga nella valle
non è una ricchezza
ma un dono
offerto a quelle sorelle
che sfruttano ogni giorno
la nostra inettitudine.
È fatalità – forse – anche questa.
Il naturale scippo
lo subiscono gli aironi senza nido
capaci di voli vertiginosi
ma costretti
al dolente supplizio
della migrazione!
Sarà fatalità, forse.

Avevo voglia di scappare

Avevo voglia di scappare
ma sono rimasto
perché t’appartengo,
terra mia.
Le tue debolezze
gonfiano di rabbia il mio cuore
ma rimango qui
dove ho le radici.
Riciclando denaro pulito
infanghi la tua dignità
ma rimango qui
senza più forzare il cervello
a cercare un rifugio oltre Eboli.
Avevo voglia di scappare
ma sono rimasto qui
e sogno che un giorno
un riflusso di scrupolo
cancelli la tua ostinata depravazione.

Infanzia

Non ti arrivò nessun aiuto
per costruirti una vita normale.
Le vie impervie
bloccavano il tuo futuro.
Non avevi scampo.
Con le macerie nel petto
continuasti a vivere.
Sei sopravvissuto
respirando profumi consumati
e raccogliendo sogni lunari.
Adesso non hai scelta:
continui a vivere con la perdizione dentro.

Due rose

Due rose
fioriscono nel mio giardino:
una fa crescere il mio dolore
l’altra aumenta il mio dispiacere.
Non so quale
è la mia preferita.