Il neoromanesco di Tommasino

Nel libro "La Befana e er battiscopa"


20 novembre 2006 –
Si è parlato a ragione di neoromanesco a proposito della poesia di Pier Mattia Tommasino, il quale, in effetti, si allontana notevolmente dalla parlata del centro per creare una sua lingua periferica, originale nella sapiente utilizzazione del gergo giovanile e nel frequente apporto di conii personali (… na cornacchia / coll’occhi tristallini; … stévera / ner gnente; ecc.).


Ma un altro elemento mi pare di poter cogliere: ed è che la traduzione ha un indispensabile ruolo di comprimario. Qui essa non si assegna la funzione utilitaristica di agevolare la comprensione e non è neanche creazione altra rispetto al testo base, ma insieme ad esso tende a penetrare fin nei recessi più profondi dell’ispirazione: insomma, due testi che, muovendo da direzioni diverse, confluiscono entrambi a realizzare l’evento poetico, di cui, certo, la versione in dialetto rappresenta la melodia prinicipale, mentre quella in lingua fa da sfondo armonico o, se si preferisce, da controcanto. Sicché il lettore alternativamente pencola tra l’una e l’altra temperie in un gioco irrisolto di tensioni e di allentamenti, in cui l’accordo di posa prepara la nuova dissonanza.


Gergo, si diceva. E per di più da trivio: per colmare con una buona dose di autoironia un soffocante vuoto esistenziale; per evadere dall’arida banalità del quotidiano; per redimere le fruste frasi fatte mettendole in rovente frizione con una impossibile attesa: ma di che cosa, poi? Forse di un sogno, per esorcizzare la fuggevolezza della vita; forse dell’Amore con l’A maiuscola, nell’eterno binomio con la Morte, insieme invocata e ripugnante (Azzittamose ‘n attimo, / amó. Stasera pe fà robba ciabbasta / l’ottobbrata e sta voja de smicià, / nun me chiede de truccatte da mignotta. Stasera, / sarebbe da fà ‘r vento e nun pagà / er conto co la morte.//).


Nicola Fiorentino


Pier Mattia Tommasino, La befana e er battiscopa, Edizioni Cofine, 2006. Presentazione di Ugo Vignuzzi.